Introduzione

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Sono secondi, minuti, forse ore che cammino mano nella mano con la mia mamma. Entriamo ed usciamo ripetutamente da svariati negozi di quello che penso sia il centro della città. Prima siamo andate in un elegantissimo negozio di scarpe. È da tempo che continua a ripetere che le servirebbero delle scarpe "decenti", come dice lei. Io veramente non riesco a capire, ne ha già così tante.
Dopo essere uscite da lì siamo entrate in un negozio di vestiti. Era letteralmente enorme, e lei ha comprato tre o quattro abiti, a mio parere parecchio sofisticati. Sono quasi sicura che, da un giorno all'altro, molteplici uomini in giacca e cravatta e donne molto belle ed eleganti invaderanno la mia piccola casetta di campagna, dando inizio ad una di quelle grasse cene di lavoro.
In questo momento stiamo entrando in un altro negozio, anche se molto differente dagli altri. L'insegna è colorata con colori molto accesi. Le pareti sono altrettanto colorate, tanto all'esterno quanto all'interno. Alle grucce sono appesi capi d'abbigliamento molto carini che vanno dai vestitini per le bimbe, alle giocose tutine per i bimbi. È tutto un altro mondo, un mondo bellissimo e magico. Girando la testa leggermente a destra, si estende proprio davanti ai miei occhi una grande prateria di giocattoli. Bambole, macchinine, animaletti parlanti, casette, supereroi e tanto altro. Questo è un vero e proprio paradiso. Ma poi, girando la testa a sinistra scorgo quello che potrei definirei il paradiso del paradiso. Sembra fatto apposta per me. Un mare di peluche dalle forme e grandezze più stravaganti. Ma che dico un mare, questo è un vero e proprio oceano. Sgrano gli occhi e spalanco leggermente la bocca dall'entusiasmo. Mamma se ne accorge e mi porta verso gli scaffali immensi e morbidi che si estendono su due intere pareti. Subito iniziò a correre di qua e di là, indecisa su quale morbido amico riceverà per primo un mio abbraccio. Vedo prima una rana dalle lunghe zampe, poi un piccolo pollo rotondo dagli occhi piccoli e dolci, poi, ancora, una grande coccinella sulla quale vorrei tanto sdraiarmi, e, infine, corro in direzione di due grandi orsi cicciotti, uno color cioccolato, e un altro color beige, entrambi con un grande e vellutato fiocco rosso come papillon. Ma poi, rallentando, mi accorgo di un piccolo coniglietto color nocciola a pancia all'aria, caduto dagli scaffali in un minuto angolino. Mi avvicino cautamente a lui, quasi fosse un adorabile cucciolo addormentato, come se non volessi svegliarlo e spaventarlo. Lo prendo delicatamente tra le mani e lo stringo forte al petto.
Vado insieme alla mia mamma a pagare l'oggetto alla cassa, varcando successivamente l'uscio per poi ritrovarmi sul marciapiede assolato. Il piccolo peluche è adorabile. Scruto attentamente il mio nuovo acquisto da capo a fondo più e più volte, prima di alzarlo al cielo come se fossi nel film de Il Re Leone.
«Si chiama Micky.» affermo poi con soddisfazione. Mamma mi guarda a lungo e sorride debolmente. Io sorrido a mia volta, ma con più enfasi. Lei ha sempre detto che quando le persone sorridono, sono più belle, ma da quando il mio papà l'ha lasciata per un'altra donna, è raro vederla felice, allegra e spensierata come era solita essere. A volte penso a lui, e credo che mi manchi. Ma sono già due anni che viviamo separati, e noi donne ce la stiamo cavando abbastanza bene anche da sole, perciò non c'è motivo di preoccuparsi. Anche se, infondo, un abbraccio paterno non mi farebbe affatto male. Mi ricordo quando mi prendeva in braccio e mi faceva volare su in cielo. E io mi sentivo un uccellino, un angelo, una fata. Da lì su vedevo la mia mamma sorridere, ma si vedeva dai suoi lineamenti che era preoccupata per me. Ma io mi fidavo del mio papà, mai mi avrebbe lasciata cadere, mai avrebbe lasciato che mi facessi del male, e io lo adoravo per questo.
Continuiamo a camminare sul marciapiede affollato, mano nella mano, ma questa volta c'è anche Micky. Guardo i miei piccoli piedini in basso muoversi velocemente. Poi guardo le nuvole in alto nel cielo. Guardo intorno a me le tante persone che camminano sulla stradina ciottolata ammirando le vetrine. Alcuni ragazzi grandi parlano tra di loro e ridono allegramente. Uno ha una sigaretta in mano, altri due, un maschio e una femmina non smettono di darsi leggeri baci sulla bocca. Subito faccio una smorfia, ma poi penso che possa essere una cosa dolce.
Ad un tratto, un forte boato mi distrae dai miei pensieri. Un sonoro BOOM che rimbomba nell'aria. Mi guardo intorno spaventata. Le persone che prima camminavano, i ragazzi che prima ridevano, ora sono tutti voltati a guardare me. Hanno l'aria sorpresa. Mi giro per cercare con gli occhi lo sguardo alto della mia mamma, ma l'unica cosa che trovo è la disperazione. La disperazione più totale. Schizzi di colore rosso si sono ormai sparsi sui miei vestiti e sul piccolo coniglietto che ancora tengo tra le braccia. Percepisco il dolore nei suoi lineamenti. Tutto sembra rallentare, tutto sembra non avere più un senso. Ho paura. Una fitta folla intanto si è radunata rumorosamente intorno a noi. Sento delle sirene in lontananza, sempre più vicine, sempre più spaventose. Continuo a guardarmi attorno, ma non capisco. Donne si portano le mani alla bocca, uomini prendono i figli per mano per allontanarli il più possibile. Ma la mia mamma rimane distesa lì di fianco a me. Perché non si alza? Perché non mi rassicura dicendomi che è tutto a posto? Mi guardò attorno un'ultima volta prima di sentire una voce debole e sottile frantumarsi nell'aria dietro di me.
«Ti voglio bene amore» dice. Mi giro appena in tempo per vedere un altro dei suoi bellissimi, ma addolorati sorrisi, e i suoi occhi pieni di speranza color verde smeraldo socchiudersi leggermente, venendo circondati da piccole rughette che accompagnano il sorriso sincero che mi porge. Il suo volto torna normale, la bocca si socchiude e gli occhi rimangono semi aperti fissando me, vuoti e privi di emozioni.
«Mamma?» sussurro avvicinandomi.
«Mamma?». Continuo a ripetere quella parola iniziando a singhiozzare sempre più forte. Non faccio in tempo ad avvicinarmi ancora che un signore vestito di blu mi prende in spalla. Io non smetto, però, di fissare il corpo immobile della mia mamma disteso sull'asfalto caldo illuminato dal sole.
«Mamma» sussurro un'ultima volta prima di allungare una mano verso di lei come per afferrarla, ma il poliziotto mi porta sempre più lontano da quella sagoma ormai coperta da un pesante telo bianco.
Mi giro poi a guardare i giovani lineamenti dell'uomo in uniforme che mi tiene in braccio e, nel farlo, noto una figura maschile all'angolo della strada voltarsi con discrezione ed allontanarsi. Papà.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Aug 20, 2017 ⏰

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