Nicola guardò la stanza intorno a lui ormai vuota. Sentì un senso di nostalgia in essa. Quelle quattro pareti erano state la sua casa negli ultimi cinque anni, e dovergli dire addio adesso, era più difficile di quanto non avrebbe detto.
Aveva tolto tutto, ma non il poster di Fear of the Dark, dove lo scheletro Eddy fuoriesce dall’albero. Quello no. Era il suo preferito, e toglierlo, arrotolarlo, e metterlo via, non gli sembrava giusto. Non era fatto per star in un angolo a prendere polvere, ma per ricordarti che devi sempre avere paura del buio. Chiunque avesse ereditato la camera in quella casa avrebbe deciso cosa farne di Eddy.
Mise il portatile in borsa, indossò la giacca, sentì il biglietto del treno nella tasca interna, prese il tutto e uscì.
Riccardo lo stava aspettando sulla porta d’ingresso per un ultimo saluto.
“Sicuro?”
Nicola annuì “Ormai.”
Erano rimasti gli ultimi due in quell’appartamento. Lentamente tutti avevano abbandonato Firenze, per trasferirsi all’estero o in altre città. Ora toccava a lui, ma un giorno sarebbe toccato anche a Riccardo.
“Se è per lei che te ne vai, sei solo uno stupido.”
“Sai che non è per lei, è per il lavoro.” Era per lei.
“Non mentirmi, ti conosco e conosco lei. Non ti merita.”
Nicola sorrise, un sorriso finto.
“Lo so, fidati, non è per lei”
Riccardo lo guardò poco convinto, poi scosse le spalle. Sapeva che fargli cambiare idea ormai non era più possibile.
“Voglio ben credere che sia anche per il lavoro. Non solo per lei.”
A Riccardo, non si mentiva.
Si abbracciarono; uno di quegli abbracci che sanno di addio, ma fai finta di niente.
“Sicuro non vuoi ti accompagni fino alla stazione?”
“Sicuro, ci sono ancora un paio di cose che devo fare.”
Riccardo abbozzò.
“Chiama ogni tanto, cazzo. O almeno scrivi.”
Nicola rise. “Lo farò.”
Si strinsero la mano forte, con vigore, come due fratelli sanno fare.
Vide gli occhi di Riccardo inumidirsi dietro gli occhiali, ma non disse niente. Anche i suoi si tinsero di bagnato.
Si caricò il borsone sulle spalle, e scese le scale senza voltarsi indietro.
Aveva assistito a quella scena tante volte, ma non era mai quello che restava, era sempre quello che rimaneva. Era andata così con Giulio, a Copenaghen per lavoro; con Jessica, per studi alternativi in nord Europa, e con Diletta, a Milano per una collaborazione a un progetto. Si erano tutti scritti per un po', e poi, come nuvole all’orizzonte si erano dissolti.
Ma non sarebbe andata così con Riccardo. Fu più un’imposizione che un pensiero.
Si sbatté alle spalle il portone di casa, guardò la facciata del palazzo un’ultima volta, poi si mise in cammino.
L’aria fresca dell’autunno presto sarebbe diventata fredda, i fiori avrebbero iniziato ad appassire, e la prima neve a cadere. E lui non sarebbe lì per vedere Firenze sotto il gelo. Non si sarebbe più alzato la mattina correndo davanti al campanile di Giotto per arrivare in ritardo a lezione, non avrebbe più passeggiato su Ponte Vecchio alle due del mattino, ascoltando il quiete rumore dello scorrere dell’Arno.
Cinque anni in quella splendida città, storie, amori, amicizie, ma adesso era tempo di andare avanti: avrebbe passeggiato lungo la senna, si sarebbe svegliato all’ombra di Notre-Dame, e avrebbe parlato francese.
Nicola Fano, apprendista-restauratore della squadra di Jean – Pierre Lamar. Suonava bene. Suonava dannatamente bene.
Si era laureato con il massimo dei voti, aveva ricevuto qualche offerta di lavoro anche in Italia, ma aveva accettato quella più lontano possibile. Si, anche per lei.
L’aveva fatto perché non si sentiva più il protagonista della sua vita. Non era più Eddy nel poster, ma l’albero che da dietro dona oscurità alla scena. Stava vivendo la sua vita nell’ombra, ed era tempo di uscire, tempo di abbandonare l’oscurità; non avere più paura del buio, ma uscire e vincerlo.
Il suo treno era fissato per le 11.45, aveva ancora mezz’ora, non gli serviva di più.
Svoltò a destra, incrociando un negozio di fiori, forse il più piccolo che la città ospitava. Dentro un vaso di ceramica, uno tra i tanti in vetrina, figuravano tre fiori: viole.
“Le viole in autunno?” chiese al proprietario seduto davanti all’ingresso.
“Sono fiori che se ben curati, resistono” disse senza distogliere gli occhi dal suo giornale.
Nicola accennò un sorriso. “Me ne dia uno, per favore.”
“Ragazza?” disse ancora senza guardarlo.
“Si” disse senza aggiungere altro.
Pagò e si allontanò.
Guardò l’orologio: 20 minuti. Bastavano.
Si incamminò per Via Santa Croce, poi a sinistra. Aveva fatto quel percorso centinaia di migliaia di volte, eppure adesso era più pesante e più lungo che mai.
Se avesse visto le cose dal punto di vista di Riccardo, scrittore a tempo perso, frequentante dell’università di lettere, quel momento in letteratura si sarebbe chiamato turning point: il protagonista prende una decisione che cambia il resto della narrazione, portando il lettore verso una direzione sperata.
La viola che stringeva tra le mani era il suo turning point.
Si ricordò di una conversazione con l’amico…
“Riccardo devo confessarti una cosa”
“Dimmi”
“Mi sono innamorato di…”
“Lo so di chi.”
“Lo sai?”
“Si vede, Nicola.”
“Ho deciso di dirglielo.”
“Tu sei matto… è fidanzata. Non ti caga proprio.”
“Ma dai l’hai visto lui, è un coglione. Pensa solo a farsi delle canne.”
“Anche tu ti fai le canne.”
“Si, ma per compagnia. E poi dai li hai visti insieme, non possono durare”
“Stanno insieme da un anno, e a lei piacciono quei tipi. Ti ricordi quello di prima? Come cazzo si chiamava…Marco, quello che la trattava sempre male.”
“E magari adesso è il turno di uno che la tratta bene.”
“Ma va.”
“Va cosa?”
“La conosco: è il classico personaggio della bella ragazza che fa sempre scelte sbagliate in fatto di ragazzi.”
“Smettila con le storie dei libri che leggi.”
“Ehi, io almeno leggo. E sai che è così. Ma tanto non mi ascolterai: ci proverai, ci sbatterai la testa, verrai a piangere qui, e toccherà a me Jessica, Diletta e Giulio sopportarti, almeno fino alla prossima ragazza.”
“Nah, se non va con lei basta”
“Basta cosa? Hai ventiquattr’anni, cazzo!”
“Ma lei è lei… mi ha preso tutto, anche l’anima”
“Anche l’anima? Ma sei serio?”
“È lei Riccardo”
“Rovinerai la vostra amicizia.”
“Preferisco rischiare che rimanere con il dubbio.”
“Non ci sono dubbi, lo sai, smettila dai…”
“Riccardo ho deciso, stop.”
“E allora cosa volevi da me?”
“Voglio che la inviti alla cena di domenica.”
“Ma invitala tu, è tanto amica tua quanto mia.”
“Si, ma tu puoi dirle di venire senza il suo ragazzo.”
“Uh, che piano malefico. E vuoi dirglielo domenica sera?”
“Si”
“Davanti a tutti?”
“No, tu farai in modo che io sarò l’unico a accompagnarla a casa…”
“Sempre io…”
“Lo farai?”
“Lo farò, ma ricordati che in questa storia non sei il protagonista, sei solo il personaggio secondario. Quello che resta nell’ombra e prende due di picche.”
“Sono l’albero nel poster di Fear of the Dark?”
“Nel che?”
E aveva avuto ragione lui. Aveva preso due di picche, era rimasta con il suo ragazzo, aveva rovinato l’amicizia, e adesso se ne andava via. Aveva dovuto passare l’estate a vedere foto di lei al mare con lui per capire che non era più cosa possibile.
Nuova città. Nuova vita.
Arrivò davanti al palazzo di lei, suonò cinque o sei campanelli a caso, e qualcuno aprì il portone.
Salì le scale, terzo piano, appartamento b. Guardò quella porta come si guarda un sogno infranto.
Aprì la borsa, prese una scatola non tanto grande, un biglietto, e posò sopra la viola.
Toccò la porta un’ultima volta.
Guardò l’orologio, 10 minuti.
Stazione di Firenze, biglietto per Parigi.
Solo andata.
Viola sentì dei passi fuori dalla porta, ma quando aprì non c’era nessuno. Guardò per terra, e una viola troneggiava sopra un biglietto e una piccola scatola. Lo raccolse, lo portò dentro, odorò il fiore, poi aprì il biglietto:
Aprila solo quando ne sarai sicura.
Addio, Nicola.
Viola lasciò cadere il biglietto sul tavolo, e una lacrima le rigò la guancia, per cadere sul fiore.
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Come Le Viole In Autunno
RomanceUna storia intrigante e semplice...una storia di amicizia di amore e avventura...buona lettura