Se mi avessero chiesto com'era studiare Nottingham Trent University avrei risposto semplicemente così: faticoso. Sì, faticoso. Faticoso perché le lezioni erano lunghe ed impegnative, faticoso perché gli orari non erano distribuiti molto bene, faticoso perché ero finito fuori corso di un anno. Ecco, era faticoso. Eppure, nonostante questo, nella fatica c'era una sensazione di pace, di benessere, di soddisfazione, perché so di star facendo la cosa giusta ogni momento in cui mi trovo con davanti un progetto di architettura. Il mio sogno è quello di ideare case, palazzi, edifici. Strutture che possono ospitare persone, animali, oggetti di valore morale o economico. Sono una persona abbastanza determinata, so di potercela fare. Posso conquistare il mondo, se continuo a credere in me stesso. O meglio, questa è la frase che mi dice sempre mia madre. Me la ripete ogni qualvolta le è possibile, e solo Iddio sa quanto le sono grato. Sin da bambino, la sua premura nei miei confronti è stata tantissima: "Harry, lavati i denti dopo aver pranzato", oppure "Harry, dovresti misurarti la febbre: scotti!". Poi le premure sono cambiate con il tempo, quando ho dato il mio primo bacio a Sophie, ad esempio. Ricordo ancora quel giorno come se fosse ieri: avevo tredici anni, sì. Ero pieno di boccoli all'epoca, quasi ridicolo, lei era una ragazzina simpatica e spesso ci vedavamo per studiare insieme. Credevo mi piacesse, così, un giorno, l'ho baciata. È stato impulsivo, del tutto fuori luogo. Ricordo che la sua bocca sapeva di fragola, ma che su di lei quel sapore non mi piaceva. Quando gliene parlai a mia madre, appunto, lei mi disse che probabilmente non era quella giusta. La realtà, però, è che nessuna sarebbe mai stata giusta, perché io ero alla ricerca di quello giusto. Una volta consapevole di questo, ebbi la fortuna di sentirmi appoggiato da tutti i miei cari. Fu un sollievo e una sorpresa. Il mio impulso mi è sempre stato d'aiuto, e tutte le mie scelte dettate dall'istinto si sono sempre rivelate abbastanza buone. Come scegliere di studiare architettura. Mai scelta fu migliore, se non per qualche naturale difficoltà in mezzo e per la fatica.
"Hazza." delle dita vengono schioccate davanti ai miei occhi e le mie palpebre sbattono un paio di volte. Torno con la mente al presente, ricordandomi di essere nella biblioteca dell'ateneo. Un sorriso radioso si siede di fronte a me.
"Oh, ciao, Elsa!"
Elsa Todd è una tra le mie più care amiche. L'ho conosciuta al primo anno e siamo sempre stati compagni di corso, ci siamo supportati e sopportati. Be', l'ho sopportata di più io. La sua relazione storica con Joe è stata un travaglio, ma finalmente è finita ed ha voltato pagina.
"Qualcosa non va? Sembravi pensieroso." Posa il suo quaderno ed un bicchiere di plastica con dentro un po' di caffè. I suoi occhi vigili mi scrutano. Alzo le spalle, quasi incurante.
"No, pensavo solo a quanto è faticoso studiare qui." rispondo, vago. Al che lei sorride ed annuisce, consapevole che io dica il vero.
"La vita è faticosa, Harold." mi beffeggia, sorseggiando il suo caffè. Roteo gli occhi e sospiro, poi vengo come catturato, quando l'architetto Louis Tomlinson prende posto al tavolo di fronte a quello dove siamo seduti io ed Elsa.
La prima volta che vidi Louis Tomlinson ero al terzo anno di università, e lui era già architetto. Ogni volta che entrava in questa biblioteca, il respiro mi si mozzava. Scoprii il suo nome dopo una serie di tentativi di sbirciare al meglio il suo raccogliotore, contenente centinaia di fogli. Trovai infinitamente tenero e vantaggioso il fatto che scrivesse ovunque come si chiamasse. In tutto questo tempo non gli ho mai parlato, mai una singola parola, mai un "ciao", mai niente. Mi limito a osservarlo, osservarlo, osservarlo. I suoi occhi azzurrissimi, i suoi capelli lisci e setosi, il suo sorriso. E lui non riesce nemmeno a guardarmi. La mia mente ha eleborato una teoria sulla sua persona: dal suo aspetto è sicuramente uno che ci tiene molto a mostrarsi ordinato ed impeccabile, il che lo rende tale anche nel suo lavoro, probabilmente si dedica talmente tanto ad esso da non avere tempo per niente, nemmeno per un'uscita con gli amici, o per un amore. Credo sia una persona autorevole, con una buona dose di sarcasmo, di vanità e di freddezza ad incorniciargli la sua personalità, il tutto però è solo una maschera, ed in realtà lui è una persona affettuosa e bisognosa di attenzioni. Ma queste sono solo teorie, per l'appunto. Sono ideali che mi sono fatto di lui, considerando che dopo di essi c'è la parte dove io gli entro nel cuore facendo sciogliere ogni ghiacciaio e noi ci innamoriamo a vicenda. O meglio, dove lui si innamora di me. Perché io sono consapevolmente interessato da lui, e basterebbe davvero poco, davvero pochissimo, per farmici innamorare del tutto. Per rendermi totalmente preso dalla sua persona, così tanto da annullare la mia.
Bravo Harry, vai così.
"Dovresti andare a parlarci."
Elsa indica con il capo la direzione di Louis, facendo lo sguardo di una che la sa lunga.
"No."
"Harry, sono anni che hai questo debole. Magari ci parli e capisci tante cose. Non puoi mica nasconderti dietro l'amore platonico o, peggio ancora, idealizzato." mi consiglia. Ed Elsa ha ragione, so che ha ragione.
Sono anni che continuo a guardare Louis Tomlinson, che continuo a rincorrerlo. Però, al tempo stesso, sono fermo sul posto, a fare nulla, costruendomi castelli di carte fatti di illusioni.
È tempo di iniziare a costruire mattoni, anche se non so da che parte cominciare.
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Le nostre mura - Larry Stylinson
FanfictionHarry Styles è uno studente di architettura che per studiare va spesso in biblioteca, dove incontra Louis Tomlinson, architetto importante, fidanzato (o meglio, quasi sposato) con una donna di nome Eleanor. Louis ha sempre dei progetti, è riflessivo...