Martedì - 26 dicembre 2017
Appoggiata contro il finestrino, ascoltavo distrattamente il rumore incessante della pioggia e osservavo il cielo, ricolmo di dense nuvole grigie, che incorniciava il panorama metropolitano di Madrid. Scorreva velocemente davanti ai miei occhi. In men che non si dica mi ritrovai a guardare strade sterrate e una moltitudine di alberi, invece che fredde case.
Il silenzio era accompagnato anche dal forte borbottio del motore, che, fra parentesi, sembrava sul punto di cedere.
Distolsi lo sguardo e lo puntai sul bizzarro uomo al volante. Lo scrutai nuovamente, non tralasciando nulla: era circa sulla quarantina, moro e con una leggera barba. Indossava un completo grigio, a prima vista vecchio, e degli occhiali da vista abbastanza grandi.
« Dovrebbe farlo controllare... » mormorai indicando il cofano con un cenno del capo « O cambiare direttamente auto. »
Allora non lo sapevo ancora, ma quella persona che mi si era presentata quella mattina su una logora Seat Ibiza del 92 sarebbe presto diventata il mio angelo custode.
Lui sorrise e alzò leggermente le spalle.
« Magari più avanti. » rispose ricordandomi velatamente che, forse, molto presto avrebbe potuto comprarsene più di una e senza preoccuparsi del prezzo.
Passai il resto del viaggio a domandargli alcune mie curiosità.
Non fraintendete, non ero per niente una persona loquace, ma quando si trattava di guadagnare soldi lo diventavo eccome. E lì non si parlava di una piccola cifra.
Arrivammo a Toledo dopo un'ora.
Di fronte a noi si stagliava una piccola villa in pietra, probabilmente disabitata da anni, con al suo interno spessi strati di polvere e altrettanti teli a ricoprire il tutto.
Ad accoglierci al piano di sopra, invece, in una piccola stanza le cui pareti erano tappezzate di pagine, c'era il resto del gruppo che avrebbe preso parte a questo suicidio. Seduti ai loro piccoli banchi, cercavano di far scorrere il tempo: alcuni chiacchieravano, altri si perdevano nei loro pensieri e altri ancora scarabocchiavano, distratti, su dei block notes.
Al nostro arrivo, però, tutti si fermarono. Avevo decisamente la loro attenzione.
Ci avvicinammo alla scrivania; io mi appoggiai ad essa mentre il professore rimase in piedi al mio fianco.
« Come vi avevo anticipato, oggi, finalmente, si unisce a noi il nostro decimo e ultimo membro. » annunciò indicandomi con un leggero movimento della mano e rimarcando il fatto che lo avevo fatto aspettare più del necessario. Più di quanto avesse previsto.
Si presentarono. Avrei voluto dirgli che sapevo già tutto di loro, che si potevano saltare i convenevoli, ma non lo feci.
« Io sono Tokyo. » iniziò la donna seduta di fronte a me.
Trentacinque anni, ladra di professione e ricercata a causa di una rapina finita male. Il suo volto era su tutti i telegiornali.
« Mosca. »
Cinquantaquattro anni e noto scassinatore. La prigione non era, senza alcun dubbio, un luogo a lui sconosciuto.
« Denver. » disse il terzo, con un sorriso beffardo.
Venticinque anni, spacciatore ma conosciuto principalmente per le sue innumerevoli risse. Una testa calda come Tokyo.
« Nairobi. » affermò a voce alta la seconda donna, con una leggera risata, alzando una mano per farsi notare ulteriormente.
Quarant'anni, falsificava banconote da quando ne aveva tredici. Aveva avuto problemi di dipendenza dalla droga.
« Berlino. » proseguì un uomo con indosso un elegante smoking.
Quarantacinque anni, noto rapinatore di gioiellerie. Il suo colpo più grande? Gli Champs-Elysées a Parigi. Misogino con una forte personalità. Era a capo dell'operazione.
« Rio. » disse sorridendo il ragazzino.
Ventun anni, programmatore informatico ed esperto di allarmi. Si sarebbe occupato della parte tecnica. Si capiva con un semplice sguardo che era il bonaccione del gruppo.
« Helsinki e Oslo »
Ex militari serbi, reclutati semplicemente per la loro forza bruta e conoscenza delle armi. Non parlavano molto, specialmente il secondo, e a prima vista non sembrava nemmeno che possedessero un cervello.
Il silenzio invase la stanza: era il mio turno. Mi alzai, lanciando dei veloci sguardi ad ognuno di loro.
« Sono Lione. » mormorai, semplice e concisa come loro.
Avevo trentatré anni e sarei stata il medico del gruppo.
Un compito semplice per un piano perfetto, adoravo ripetere allora... quando non sapevo che in realtà era fragile come un castello di carte.
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La casa de papel - Lione
FanfictionMi chiamo Lione. Lo so che è inutile dirlo ma lo faccio comunque, per ricordarlo a me stessa: prima non mi chiamavo così. Ero un medico; ora sono una dei ladri che hanno rapinato la zecca spagnola. Curiosa la vita, eh? Questa è la mia storia. « U...