Che prospettive ha la mia vita?

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***Ho scritto a freddo, dopo l'ennesima delusione nella mia vita. Questa volta ho deluso me stessa. Avevo bisogno di buttare fuori più cose possibili, ma non sono riuscita comunque ad arrivare a un punto e a fare un discorso con un senso logico. Poco importa. Magari tra un paio di mesi riprenderò in mano tutto e darò ordine a questo flusso di pensieri (non privi di errori grammaticali).***

Qualche anno fa partecipai a una vita comune con la comunità pastorale in cui il tema era la paura. Il primo giorno ci era stato chiesto di pensare alla nostra paura più grande e scriverla su un sasso, sintetizzandola. Ci avevano dato 5 minuti e scrissi una qualsiasi cosa che ora nemmeno ricorso. Ci dissero di prenderci l'intera settimana per rifletterci e in più ci preannunciarono che molto probabilmente quella paura sarebbe cambiata nella riflessione. L'ultima sera di quella settimana avevamo il compito di raccontarci quale fosse la nostra paura più grande io in realtà ci misi poco a comprenderla, solo un paio di giorni. Mi ero promessa che l'avrei condivisa con il gruppo solo se mio fratello non avesse partecipato quella sera a causa di un impegno. Magicamente però quel suo impegno è svanito e l'ultima sera era presente anche lui. Decisi di non raccontare niente o al massimo di dire una delle tante stronzate.

Dopo una breve introduzione Walter, il nostro "catechista" chiede: "chi vuole iniziare?" seguono secondi di silenzio poi naturalmente mio fratello prende la parola. Si, deve fare sempre la prima donna lui. Ebbene, la sua più grande paura è quella che i suoi compagni di basket possano escluderlo perché alla sua età frequenta ancora il catechismo.

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Ma è davvero una paura? Voglio dire non devono essere i tuoi amici o presunti tali a dover decidere cosa tu possa fare a una certa età. Pensano che sia da bambini far catechismo? E allora sono loro gli immaturi. Boh, probabilmente non lo capisco io e ci sta come paura. Ma è addirittura la sua paura più grande? È serio? Non ha altre preoccupazioni nella vita? La cosa mi fa davvero ribollire di rabbia. Perché lui vive una vita tutta tranquilla e io no? Tutti questi pensieri si affollano nella mia mente. Decisi che dovevo buttargli addosso la mia più grande paura, per fargli capire che i problemi nella vita sono altri. Non rischiare di non essere accettato dai compagni di basket per una stronzata.

Venne il mio turno, pensai di iniziare con una piccola premessa perché non tutte quelle poche persone nella stanza sapevano della mia storia. Iniziai a dire "nel 2012 mi hanno diagnosticato una malattia rara..." e niente, già singhiozzavo come un'idiota. Decisi di stroncare la premessa ed arrivare subito al punto. Dissi che in quegli anni dovetti rinunciare a tante cose, tante cose che contribuivano un tempo a rendermi felice e che la mia più grande paura era, ed è tutt'ora, quella che tutto quello che è passato continuasse anche nel futuro, di dover passare la mia vita a fare rinunce per colpa di questa maledetta malattia.

Sono passati 3 anni da quella sera. Inutile dire che mio fratello non si è mai preso la briga di chiedermi qualcosa a riguardo, di interessarsi. Dopo tre anni quella paura naturalmente l'ho ancora. Niente è cambiato. E a distanza di 6 anni dal famoso anno della diagnosi penso che questa paura non se ne andrà mai. Perché, diciamocelo, dovrò sempre rinunciare ai miei desideri. Ogni volta che ci penso il mio io sia azzera. Ormai non ho più passioni, desideri, sogni. Cos'è un uomo senza questi? D'Avenia scrive che "L'inferno è il posto in cui lo spazio per i desideri è già tutto occupato." Ebbene io al momento mi sento in un inferno. Ci sono dentro da sei anni e non so ancora per quanto riuscirò a sopportare questo stato.

Mi sto rendendo conto che sono stanca di andare avanti come un automa, un fantoccio senza cuore che fa le cose perché deve e non perché le desidera in prospettiva del raggiungimento di qualcosa di più grande, di un sogno. Alla fine del mio percorso di studi cosa avrò davanti? La possibilità di fare il lavoro dei miei sogni? Il lavoro dei miei sogni so già che non potrei farlo. È uno di quei tanti sogni troncati ancora prima che si possa pensare cosa si deve fare per raggiungerli.

Quindi alla fine dei miei studi sarò ancora un automa, ma uno di quelli che ormai non è più buono a fare niente. Una domanda sorge spontanea: allora perché continuare a fare quello che sto facendo?


Una Malattia. PensieriDove le storie prendono vita. Scoprilo ora