Fine della storia

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Lei, prima o poi, si sarebbe rifatta una nuova vita. Erano i bimbi, che mi straziavano il cuore, sapendo che sarebbero dovuto crescere senza il loro papà. Mi sforzai a giocare un po' con loro. Lo avevo tanto desiderato, ma fu tutta una dannata finta. Come si fa a ridere e scherzare quando si ha il fiele nel cuore? Fino ad allora, sembravano non aver subìto alcun trauma. Il loro comportamento appariva assoluta-mente normale. "Papà è andato in cielo, dal buon Gesù."

Aveva detto loro, la madre, fra tante altre cose. "Meglio per loro, che sono ancora piccoli di età e non capiscono mol-to". Pensavo dentro di me.

Solo nei giorni che seguirono, mi fu detto da mio figlio, durante una nostra chiacchierata a telefono, che i bambini sentivano la mancanza del loro papà. Soprattutto alla femminuccia, venivano delle vere e proprie crisi isteriche di pianto. Per il resto della serata, rimasi con mio figlio ancora un po', dopo che i bambini erano andati via. Poi, mi feci accompagnare a casa di mio nipote. Ero stanco morto per il viaggio. Gianfranco non era ancora tornato a casa dal la-voro. Scambiai solo qualche parola con sua moglie prima di ritirarmi nella mia stanza. Andai subito a letto, con la speranza di riposare un po'. Poggi il capo sul guanciale con il forte desiderio che, quando ti svegli, niente sia successo, che sia tutto come prima, ma i fantasmi della notte fanno sì che ciò non avvenga.

Le visite sarebbero dovute iniziare verso le cinque, ma già quando giungemmo sul posto, poco dopo le quattro, una lunga fila di persone attendeva, in rispettoso silenzio, da-vanti all'ingresso della villetta delle onoranze funebri. In paese, era conosciuto e benvoluto da tutti: amici, ex compagni di scuola e tanti dei suoi clienti che andavano a mangiare nel suo ristorante, del quale ero stato proprietario in passato, e che ora mandava avanti insieme con suo fratello. Molti furono i miei vecchi amici ed ex colleghi di lavoro, italiani e non, che non vedevo da parecchi anni. Erano venuti tutti ad esprimere il loro cordoglio. Mi trat-tenni a parlare, un po', con loro e ringraziarli per la loro visita. Alcuni di loro, mi dissero che avrebbero fatto tutto il possibile per venire, il mattino dopo, alla cerimonia di sepoltura.

La giornata iniziò con una pioggerellina, fina e insistente, che sarebbe perdurata fino a tardo pomeriggio, dopo che i primi giorni di Ottobre erano stati miti e soleggiati. La messa funebre durò circa un'ora. Alla fine di essa, io, mio figlio Chris e altri due giovani portantini, trasportammo la bara nel carro funebre usando le quattro maniglie laterali. Una fila di una dozzina di macchine era parcheggiata lungo il marciapiede laterale della chiesa. Presi posto in una delle limousine dove c'erano anche mio figlio, i miei due nipotini e la loro madre. Una decina di minuti di macchina e arri-vammo al "Salvation Catholic Cemetery".

Benché fossi presente alla cerimonia di sepoltura, mi limitai ad osservare la scena mantenendomi ad una certa distanza alle spalle del gruppo dei presenti. La verità è che non ce la facevo a guardare, così da vicino, mentre calavano la bara nella fossa. Era come se volessi convincermi che il fatto non mi riguardava. Non era possibile che mio figlio stesse per essere sepolto tre metri sotto terra. Ancora una volta, mi ostinavo ad accettare la realtà delle cose. Come parte della loro usanza, dopo il rito di sepoltura, si andò tutti a mangiare in un locale con il servizio "buffet." Anche se, in oltre venti anni di mia permanenza negli Stati Uniti, ero andato ad alcune veglie funebri, non avevo mai preso parte, poi, a uno di quei ricevimenti. Avevo sempre trovato molto strano il fatto che, dopo aver partecipato ad un evento funebre, una persona avesse voglia di andare a mangiare. Spesse volte, però, molti parenti e amici del defunto, vengono da parecchio lontano, come in questo caso, e non si può mandarli alle loro case a stomaco vuoto dopo una mezza giornata di digiuno. Anch'io, dopo essere stato tre giorni a mangiare solo qualche merendina, riuscii a mandar giù un paio di panini con prosciutto e formaggio.

Restai in America altri quattro giorni, prima del mio ritorno in Italia. Io, che avevo vissuto lì, per oltre vent'anni, adesso mi sentivo come un pesce fuori dall'acqua, come fossi d'impiccio. Ad esempio, dover alloggiare a casa di mio nipote, anche se magari non era così. Dal momento che era stato un viaggio di emergenza e non di piacere, non era stato pianificato niente in anticipo, ma fatto tutto in fretta e furia. Nessun' auto noleggiata, nessun albergo prenotato, ecc. Non ero per niente autonomo. Dovevo sempre di-pendere da mio figlio, o mio nipote o qualche amico per poter andare da qualche parte o fare qualche cosa. Co-munque, cercai di spendere quanto più tempo possibile con mio figlio e i miei due nipotini. Finalmente venne il giorno della partenza. Il distacco da mio figlio, all'aeroporto, fu duro per entrambi noi. Mi promise, con le lacrime agli occhi, che sarebbe venuto presto in Italia.

Erano trascorse più di tre settimane dal mio ritorno a Napoli. Mia moglie, che prima del tragico evento non riu-sciva a stare in casa senza la radio accesa ad ascoltare le sue canzoni preferite, adesso ne faceva, volentieri, a meno di essa. Fu così per molti mesi a venire. A distanza di molti anni, ancora prego mia moglie di non esporre fotografie incorniciate, di Robert, sulle pareti o sui mobili di casa. In quelle prime settimane, parlai spesso con mio figlio, Jen-nifer e i bambini. Fu proprio durante la nostra ultima chiacchierata al telefono che Chris mi parlò di un fatto abbastanza sconcertante che, da allora, mi ha dato sempre da pensare. Mi disse che lui e sua madre erano andati, al-cuni giorni addietro, da una veggente. Non una semplice ciarlatana, come ci tenne a precisare lui, ma una medium molto famosa in America, con il dono di poter comunicare con i defunti dell'aldilà. Sua madre, mi disse Chris, aveva molti sensi di colpa per tutti i litigi che aveva avuto con Robert e che lo sognava molto spesso.

Gli feci subito notare che il mio scetticismo per quelle cose era totale. Ero fermamente convinto che un simile contatto non era possibile. Dal mio punto di vista, erano solo fan-donie. Lui andava avanti, elencando tutte le cose che la donna aveva indovinato tramite il suo contatto con Robert. Tra le altre cose, la veggente disse che lui voleva far sapere ai suoi familiari che stava bene in un luogo tranquillo e di non piangere per lui. Che lui vigilava sui suoi bambini e su suo fratello minore. Che sua madre doveva smetterla di avere i suoi continui sensi di colpa. E che io, il padre, non dovevo più essere arrabbiato, con lui, per il gesto che aveva compiuto. Sebbene dovevo riconoscerlo che tutte queste cose dette dalla donna corrispondessero alla verità, con-tinuavo a ripetere a mio figlio che per me erano soltanto delle semplici coincidenze . Ad un certo punto, mio figlio disse. "Magari sarà anche come dici tu, papà..."

"Certo che è come dico io!" Lo interruppi, subito.

"Ma, allora, se è come dici tu, come faceva la donna a sapere del mio tatuaggio che avevo sul braccio?" Ribatté, lui. "Quale tatuaggio?" Gli chiesi.

"Il tatuaggio che mi son fatto fare quel giorno che arrivasti a casa mia, ricordi? La veggente disse che a Robert gli era piaciuto molto e che lo trovava un gesto molto carino verso di lui."

Ascoltai in silenzio, poi dissi. "Cosa vuoi dire? Non capi-sco."

"Se non è vero che glielo aveva detto Robert, come faceva la medium a saperlo di suo? Indossavo una maglia a ma-niche lunghe con sopra di essa un giubbotto che non mi ero mai tolto per tutto il tempo che eravamo stati lì."


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