Questa giornata è stata davvero strana per me. In effetti vacilla in uno strano limbo fra inquietante e piacevolmente diversa, ma sì, il modo migliore che ho di definirla è; Strana. La routine è letale per tutti o quasi, questo lo sappiamo. Ripetere le stesse cose ogni giorno.. C'è chi ne trae conforto, chi ne viene distrutto. Quando sei un ragazzo di diciassette anni con l'acne e la passione per i modellini navali del 1700 e la tua vita consiste nell'andare (male) a scuola, nel vivere in una casa dove la solitudine è il tuo unico conforto e nel vederti con due soli amici (separatamente) una volta al mese se tutto andava bene, beh, la routine era distruttiva. Alzati troppo presto, vestiti troppo male, curati troppo poco, esci al troppo freddo, parla troppo poco con i compagni di scuola, ascolta troppo poco la lezione, torna troppo volentieri a casa nella tua solitudine, mangia troppo poco, interagisci troppo poco con i tuoi genitori, lavora troppo ai modellini navali, studia troppo poco (o meglio per niente) ,dormi troppo poco.
E ripeti.
Come vi sembra?
Già.
Ma andiamo per gradi. Questa giornata è iniziata come al solito, come tutte le altre. Mi sono alzato e ho fatto le cose che vi ho elencato, quelle piene di "troppo". La differenza sostanziale è che oggi ricevevano visite dalle 15 alle 18 all'ospizio dove è ricoverata mia nonna. Ha l'Alzheimer e sta lì da più di un anno. Prima viveva a casa con noi, c'ero molto affezionato. Nonostante la malattia si poteva tranquillamente sopportare, ma mio padre ha deciso di punto in bianco di rinchiuderla lì. Senza un perché. E cosa più grave, mi ha proibito di vederla, dice che è diventata troppo grave ed è pericolosa per chi le sta vicino, essendo aggressiva.
E indovinate un po'? Tutte stronzate. Io conosco mia nonna. Quando era a casa passavo molto tempo con lei, mi guardava spesso fare i modellini navali mentre mi raccontava sempre le solite cose a ripetizione della sua infanzia. Ma non mi pesava. Era tranquillissima. E dovrei credere che da un momento all'altro sia diventata una bestia aggressiva a tal punto da minacciare la mia incolumità? Non credo proprio. Quindi mi sono informato senza dirlo ai miei sugli orari di ricevimento dell'ospizio e oggi sono andato. Non avevo una ragione in particolare se non quella che mi mancava mia nonna e volevo rivederla, e si devo ammettere che il senso di trasgressione a diciassette anni fa figo. Alla reception dell'ospizio c'era una donna più vecchia di mia nonna che probabilmente era ricoverata lì oltre che a lavorarci. "Qual'è la stanza di Elisabeth Hengon?" Chiesi, e fu così che venni indirizzato alla 42b, terzo piano. La cosa interessante che subito notai mentre attraversavo il corridoio del terzo piano era un'infermiera che non doveva avere più di trent'anni, bella come poche ne avevo viste. Il seno stretto dall'uniforme mi fece vibrare il caro amico di noi puberali maschi fra le gambe e mi ritrovai ad aprire la 42b nel mentre fantasticavo di chiudermi in uno stanzino con quell'infermiera e di fare del sesso molto vivace con lei. Tutta la mia eccitazione sparì quando vidi mia nonna. Era lei ma non era lei. Il volto scarno e gli occhi spenti, i capelli grigi e bianchi dritti in testa, un tempo belli forse, la bocca, oh, la bocca, aperta e ansimante, che trangugiava ossigeno. Non c'erano denti e nemmeno la dentiera a quanto pareva. In qualche modo la luce del sole che filtrava dalla finestra illuminava l'orifizio facendo risplendere i tessuti orali viscidi di bava, sotto i quali la lingua annerita giaceva inerme. Lo sguardo di nonna era rivolto verso l'alto, contemplando l'intonaco bianco a chiazze verdi del soffitto. Quella non era più una donna, era un'ameba antropomorfa che attendeva la morte, immersa nel tempo.
"Ciao, nonna" dissi mentre pensavo tutte quelle cose. Prima di rispondermi, la nonna abbassò gli occhi verso di me ed emise un rantolo sommesso. Poi chiuse la bocca ingoiando la saliva accumulata a causa della prolungata apertura, infine tirò fuori la lingua scura inumidificandosi le labbra. Tutta questa serie di movimenti Produsse vari suoni viscidi e acquosi rivoltanti. Ogni sua parola era poco comprensibile a causa dell'assenza della dentiera.
"Robert? Sei tu Robert?"
"No nonna, Robert è mio padre. Sono Daniel, tuo nipote"
"Daniel..Daniel..Oh..Daniel! Il mio Daniel!" Mi avvicinai al letto baciandola sulla fronte, piangeva.
"Come stai nonna?"
"Il mio Daniel..il mio ometto! Ti ricordi la minestra al pomodoro che ti piaceva tanto quando eri piccolo? Assomigliavi tanto a tuo padre da piccolo!"
"Si nonna, la ricordo, era buonissima."
"Il mio Daniel!"
Trascorsi due ore e mezza seduto sulla poltrona di fianco al letto tenendole la mano e ascoltando le solite storie della sua infanzia e vita passata che mi raccontava sempre dimenticandosi ogni volta di averlo fatto. "Ti ricordi il signor Burmers? Oh che vecchia canaglia era quello. Veniva sempre al negozio a farmi la corte (mia nonna aveva sempre lavorato in un negozio di alimentari), nonostante sapesse benissimo fossi sposata con tuo padre!"
"Con mio nonno, nonna. Con nonno Owen, mio padre è Robert, vostro figlio."
"Oh Il mio caro Owen, senza di lui non so come avrei fatto. Daniel, caro, ti ricordi la minestra al pomodoro che ti piaceva tanto quando eri piccolo? Assomigliavi tanto a tuo padre da piccolo! Se non fosse che poi lui ha ucciso quella donna e la ha rinchiusa nella cantina. Era tanto bella lei. Lavorava qui. Mi ricordo quel giorno in cui zia Annie mi portò lo stufato di cipolle migliore della mia vita, fu davvero.."
"Nonna! Nonna che cosa dicevi riguardo a mio padre e alla donna che ha ucciso?" Mi si era fermato il cuore. Ascoltavo mia nonna distrattamente mentre ripeteva le solite cose e di colpo se ne era uscita con una affermazione tanto assurda da essere inconcepibile.
"Ma si! Non te l'ha detto eh?" Rise di gusto, la voce roca che sembrava un gracchiare di cornacchia mentre schizzi umidi volavano dalla bocca al mento e alle lenzuola.
"Lui non vuole che nessuno lo sappia."
"Perché? Che cosa ha fatto?"
Seguì un breve silenzio.
"Mi ricordo il giorno in cui zia Annie mi portò lo stufato di cipolle migliore della mia vita, oh era così buono!"
Non stava chiaramente funzionando. Dovevo cercare di usare il metodo associativo che regnava nella sua mente danneggiata a mio vantaggio.
"Nonna, ti ricordi la minestra al pomodoro che mi facevi da piccolo?"
"Oh si! Ti piaceva tanto! Assomigliavi tanto a tuo padre da piccolo."
"Mio padre, Robert.." ingoiai un grumo d'ansia "Lui ha ucciso una ragazza, vero?"
Spalanco' gli occhi azzurri tanto che intravidi i capillari rossi guizzare sul bianco. "Oh si si! Lui l'ha uccisa! Lei lavorava in questo posto! Se la spassavano nella cantina di casa vostra dove nessuno li poteva sentire, ma tua madre non lo sapeva. Nessuno lo sapeva. Io si! Li ho visti entrare li più volte di nascosto. Poi ricordo anche quella canaglia del signor Burmers che mi faceva la corte nonostante stessi con mio marito da diverso tempo.." stava divagando, ancora. Dannato Alzheimer. "Nonna! Perché mio padre Robert ha ucciso quella ragazza nella cantina?"
"Era molto più giovane di lui. Voleva lui stesse con lei e le pagasse gli studi all'estero, e minacciava di dire tutto a tua madre. Li ho sentiti perché la porta della cantina era socchiusa, stavano per uscire perché tua madre stava per tornare dal lavoro. Lui ovviamente non voleva, voleva continuare a spassarsela senza perdere tutto. Lei veniva dall'estero e nessuno la avrebbe cercata perché era scappata di casa. Mi sono informata dopo. Per questo l'ha uccisa e chiusa nella cantina."
"Quindi tu li hai visti?"
"Si Robert era tutto sporco di sangue quando è uscito e aveva le mani spaccate. Mi ha detto che si era fatto male mentre lavorava con i suoi attrezzi. Non sospettava io sapessi tutto.
Ma niente era più buono dello stufato di cipolle di Zia Annie! Quello è il meglio!"
A stento riuscivo a parlare. A pensare.
"Ma dov'è lei ora?"
"Zia Annie?"
"No! La ragazza che mio padre ha ucciso"
"Ma nella cantina, ovviamente. Dov'è sempre stata. Grida ma nessuno la sente, e spesso sbatte sulla porta."
Mi alzai e decisi che era abbastanza. La salutai e mentre uscivo dalla 42b mi chiese se mi ricordavo la minestra al pomodoro che mi faceva quando ero piccolo e che mi piaceva tanto. Assomigliavo tanto a mio padre da piccolo!