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Si era iscritto alla Garrison per diventare il numero uno, voleva essere il migliore, risplendere sugli altri.
Cosa che effettivamente era, ma c’era un ragazzo che lo superava. Lui non lo conosceva, ma sapeva che la sola presenza di quel ragazzo nell’accademia gli impediva di essere il migliore. Keith lo detestava, aveva la fama del miglior allievo la Garrison avesse mai avuto nella  storia.
Alla Garrison ogni giorno per i corridoi giravano voci su questo ragazzo, Takashi Shirogane. Keith non riusciva ad immaginarselo e il suo livello di socializzazione pari ad una camera blindata non l’aiutava.
Una volta aveva chiesto al comandante Iverson, ma lui ne aveva parlato talmente bene, che questo “Shirogane” aveva assunto un aspetto simile, nella mente di Keith, cosa che gli metteva i brividi.
Si riscosse quando per i corridoi scontrò una persona. Accidenti, ecco che lo stava pensando di nuovo! Non lo conosceva neanche e si ritrovava spesso con quel pensiero.
“Ehi, guarda dove vai, pivello!”
Sbatté gli occhi: quella voce l’aveva già sentita, ma non riusciva a capire dove, poi capì guardando la persona in questione. Un paio d’occhi scocciati lo stavano guardando (voleva litigare?), i capelli cortissimi castani scompigliati gli davano un’aria contemporaneamente pigra e ribelle. Si è appena svegliato? si ritrovò a pensare.
“Allora?” l’incalzò.
Keith decise finalmente di prestare attenzione a ciò che stava facendo: avevano la stessa divisa, ciò significava che… “Dai del pivello a me quando stiamo allo stesso anno?”
Il ragazzo s’irrigidì, si mise dritto puntandogli l’indice contro: “Lance!”
“Cosa?” Keith s’accigliò, ma che gli prendeva?
“Lance! È il mio nome, vedi di ricordartelo quando lo vedrai in cima alle classifiche!” e se ne andò impettito, sbattendo un po’ i piedi per terra.
Keith rimase interdetto: che voleva da lui?
Girato l’angolo, Lance si accovacciò mettendosi le mani tra i capelli: “Stupido! Stupido! Che modo terribile di attaccar bottone! Non potevi essere più gentile? Presentarti come una persona normale?!” si sporse per vedere se l’altro fosse ancora lì, ma lo vide svoltare a sinistra e decise che in quel momento era meglio ritornare in camera e testare la durezza delle pareti.

Keith decise di lasciar perdere quello strano ragazzo e si recò in caffetteria, voleva qualcosa di dolce. Ora che ci pensava, non aveva nemmeno fatto colazione.  C’era tantissima gente, ma lui riuscì a prendere l’agognato cornetto all’albicocca e trovare un tavolino vuoto.
Moltissimi ragazzi e professori gli passavano accanto, alcuni involontariamente lo spingevano anche. Keith s’innervosì e poggiò le mani sul tavolo per andarsene, ma una voce calda e tranquilla lo fermò: “È occupato, questo posto?”
Il moro alzò lo sguardo ed incrociò un paio di occhi taglienti grigi. Restò ipnotizzato da quelle iridi profonde che sembrava lo stessero mettendo a nudo. Keith si mosse sulla sedia, improvvisamente nervoso e non capendo il perché. “No.”
“Oh, bene! Stavo cercando da un po’ un posto, il caffè stava iniziando a raffreddarsi!” si sedette di fronte a lui sorridendo.
Keith lo guardò di sottecchi e per la seconda volta in quella giornata, ebbe come l’impressione d’averlo già visto, ma non riusciva a capire dove. Lo riscosse la voce dell’altro che ravviò il ciuffo dicendo: “Io sono Takashi Shirogane, comunque, piacere di conoscerti!” e gli sorrise di nuovo, un sorriso talmente candido, che Keith restò imbambolato borbottando il suo nome.
“Keith! Che bel nome!” Keith si ritrovò ad arrossire, perché il suo nome era così bello pronunciato dall’altro? Improvvisamente realizzò: quello che aveva davanti era la leggenda vivente che aveva tenuto il discorso d’apertura alla cerimonia! Lo stesso Takashi Shirogane che lui pensava fosse uguale al professore! Si dette dello stupido, si alzò di scatto sotto lo sguardo sorpreso di Shiro e di gran carriera si allontanò dal ragazzo che lo mandava in confusione semplicemente pronunciando il suo nome.
Da quel giorno, ogni volta che incrociava Shiro per i corridoi, gli occhi di Keith seguivano l’elegante eppure possente figura dell’altro finché egli non svoltava l’angolo.
Un altro paio di occhi facevano lo stesso, ma il soggetto osservato aveva una zazzera scompigliata e gli occhi viola. Lance non riusciva a capacitarsi di come avesse fatto quell’impedito di Keith ad avvicinarsi così tanto a Shiro. Lui avrebbe sempre voluto provarci, invece tutto quello che otteneva incrociandolo per i corridoi era un timido sollevarsi della mano per poi abbassare la testa ed arrossire. Il tutto aveva dei movimenti così piccoli, che Shiro non riusciva ad intercettarli. Se solo avesse saputo che gli sarebbe bastato alzare la mano per avvicinarlo…

Dream (Sheith - Voltron)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora