La prima volta che la vidi mi trovavo sulla metro di Milano, stringeva un borsone nero tra le braccia, io nella mano destra un giornale.
Pioveva quel giorno, cosa che nella metro non si può percepire, se non dalle impronte grigiastre sui pavimenti di gomma e gli ombrelli sgocciolanti.
Guardava impaziente fuori dal finestrino, giocherellando con i mille anelli che teneva alle dita.
Aveva il fascino di una ragazza che sa essere bella anche da stanca, con il viso poco truccato e due grossi occhi azzurri.
Gironzolavano, si posavano sulle porte, sul pavimento, sulle sue mani, sui visi degli altri pendolari, fino a quando toccò a me.
Quando si accorse che la punzecchiavo con lo sguardo già da prima che lei mi accarezzasse con il suo, si mise a studiarmi.
I lunghi capelli biondi le incorniciavano quello sguardo curioso, aveva gli occhi di chi vede sempre qualcosa di buono.
Le nostre pupille rimasero incastrate, come i pezzi di un puzzle.
Mi dedicò una smorfia vivace, quella di chi trattiene un sorriso perché non sa se donartelo o meno.
Poi si alzò di scatto e scese a quella fermata.
Per qualche secondo, smisi di sentire i binari cigolare, il chiacchiericcio di sottofondo dei pendolari stanchi, smisi anche di vedere tutti quelli che fino a qualche secondo fa le stavano intorno.
Vedevo solo il suo posto vuoto, il bianco candido dello schienale in plastica della gialla, fu come se tutto si fosse fermato.
Si può rimanere aggrappati ad uno sguardo?
Io non posso saperlo, eppure succede.
Guardo l'orario, sono le cinque, forse domani avrò fortuna.
Forse sarà ancora qui.Una settimana dopo la sto osservando giocherellare di nuovo con il suo anello preferito, davanti ad una tazza di caffè.
Si, ho avuto fortuna, alle cinque del giorno seguente era ancora lì.
Ed oggi siamo qui, in un bar di Milano tutto lucine e fiori che mi ha spiegato essere uno dei suoi preferiti.
Il cameriere già la conosce, le accarezza da dietro la nuca e le tende il suo solito caffè macchiato.
Dopo vari messaggi che ci siamo scambiati prima di uscire sono finalmente riuscito a dare un nome a quei grandi occhi blu.
Si chiama Sara, ha diciannove anni e ho scoperto che mi fa lo stesso effetto del mare.
Tra un sorso e l'altro mi racconta che le piace ballare, studia lingue in una università di Milano ed ha pochissimo tempo libero, anche se ne ha trovato un po' per conoscere meglio me.
È un complimento, forse, eppure mi sento un po' stretto.
Mi sono sempre sentito così davanti alle persone che emanano un'aurea del genere.
Sono così belle che mi chiedo cosa possa sembrare io al confronto.
Mi parla della nonna che adora, di suo fratello più piccolo, di come ami danzare.
Lo ribadisce spesso, ed ogni volta le si illuminano gli occhi.
Chissà come è, quando si destreggia tra passi di danza.
Ce la vedo, leggera, che si muove tra i corpi delle sue compagne o da sola, sempre in centro, sempre sotto i riflettori, forse perché è quella che ci mette un qualcosa in più, perché balla col cuore e non per gli applausi, forse perché lei è proprio come la vedi.
Un cuore a cielo aperto.
Credo possa aver letto i miei pensieri, ora stiamo discutendo di quanto sia solare, esplode in un sorriso, poi si fa cupa e piega la testa leggermente di lato.
"Ho sempre pensato che quando una cosa si rompe, darle la stessa forma non farà che permetterle di rompersi di nuovo"
Rimango attonito per qualche secondo.
Non capisco subito cosa stia cercando di dirmi, ma capisco che deve essere importante dal modo in cui si è spinta in avanti, sui gomiti, e si è sistemata un ciuffo di capelli biondi dietro l'orecchio prima di dirmelo.
"C'è stato un periodo in cui la mia vita è passata da un giallo accesso al grigio totale.
Gli amici erano grigi, la scuola era grigia, la fotografia era grigia, persino la musica lo era diventata.
Solo la danza mi faceva stare bene.
Un giorno ero così spezzata che il mio maestro mi ha presa da parte e mi ha chiesto che cosa volessi ballare.
Mi disse che il modo migliore per combattere il dolore è trasformarlo in arte, in qualcosa di buono.
Così pensa di essere lui quello fragile, e tu puoi respirare ancora.
Quel giorno ho ballato come non avevo ballato mai.
Gli ho detto "missed", è questa la canzone su cui voglio cambiare.
E ce l'ho fatta.
Passo dopo passo, il grigio è sfumato via, esattamente come le nuvole cariche di pioggia in estate.
Ho capito che meritavo di più, e sono cambiata.
L'amore a volte è davvero meschino.
Mi sono data una forma completamente diversa.
Il buio non mi ha mai spaventata, è una ragione in più per dimostrare quanta luce sappia sprigionare quando sono accesa..."
Rimando senza fiato.
D'impulso le stringo una mano e sussultiamo entrambi.
Come inizia un amore?
Forse in un bar pieno di lucine e fiori alle pareti.
Forse una sera d'inverno a Milano, davanti ad un caffè.
Forse con Sara.
La accompagno a casa mentre lei si perde ad ascoltare la musica di un ragazzo che suona il violino a lato della strada.
A volte mi chiedo come facciano certe stelle a passare inosservate.
Mi da un bacio sulla guancia, ci vedremo presto, mi dice.A casa il display si illumina di blu e mi compare un suo messaggio.
"Te l'ho mai detto come si scrive ti amo in russo?"
No Sara, non me lo hai mai detto.
Però se vuoi ti porto a vedere le stelle dall'alto e me lo racconti, che la vita mi ha insegnato che le cose sono più belle se viste dalla prospettiva sbagliata.
Ed io non so se si possa provare felicità pensando ad una persona che non conosci davvero, ma ti assicuro che io ti conosco nemmeno per metà e già mi sai di chi ti colora la vita.La vedo camminare verso di me stamattina, gli auricolari che le si aggrovigliano ai lunghi ciuffi biondi, armata del suo solito grande sorriso.
Attraversa la strada trafficata, tra i taxi e i venditori ambulanti ai bordi delle strade.
Si ferma ad annusare una rosa ad un banchetto, non mi può ancora vedere.
Lo sai, Sara, come si scrive ti amo in russo?
La rosa che ha scelto di annusare è rossa, e menomale.
Assomiglia tanto a quella che nascondo per lei dietro alla schiena.
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Ti amo, ma in russo
RandomMi sono sempre chiesto come facciano certe stelle a passare inosservate.