Capitolo 1

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Era nuovamente a casa.
Osservava la foresta, morta e spenta come non mai.
La sentiva piangere, lamentarsi per le ferite subìte. Sentore di morte e strazianti urla di dolore che gli facevano accapponare la pelle e gelare le ossa.
E pensare che un tempo era un luogo forte e rigoglioso.
Invece, ora, davanti ai suoi occhi tristi si presentava come un posto rovinato e colmo di ferite...proprio come lui.
Aveva vagato a lungo prima di fare ritorno in patria.
Qual'era adesso, il suo scopo?
Il nucleo magico era vuoto, lo sentiva. E senza di esso, non poteva salvare la sua casa.
Era tornato in disgrazia, come il giorno in cui venne bandito per un crimine che non aveva commesso.
Nonostante ciò...nonostante la rabbia che provava, sentiva qualcosa. Sembravano echi di pensieri.
Cosa dicevano?
Lo stavano chiamando, forse?
"Tutto è iniziato con l'oscuro fuoco di Lapis Onychinus, Lucifer. Ed è stato quello stesso fuoco a distruggere la tua patria."
Quella voce...chi era? Gli suonava familiare ma forse era solo una sua impressione.
Eppure qualcosa gli suggeriva che la conosceva. Qualcosa gli diceva che quella stessa voce aveva sussurrato alla sua mente con delicatezza.
In quel momento, però, le sue parole mettevano in subbuglio il suo cuore già addolorato.
"Chi sei, voce che parli alla mia mente?" si domandò "Sei qualcuno del mio passato? O del mio presente? Forse non sei nessuno e la tua voce è solo frutto della mia immaginazione. Forse sto davvero impazzendo, come mi ha detto Sapphirus, l'Araldo del Mare."
Nessuna risposta dalla misteriosa voce.
"Forse sei colui che mi ha guidato attraverso l'intero continente per compiere il suo volere" ipotizzò, mentre le sue gambe cedevano e lui si ritrovava a sedere a terra.
L'aveva fatto. Aveva percorso chilometri di strade di campagna, di foreste abitate da bestie feroci e sentieri di montagne che sembravano salire fino al cielo. Aveva sofferto la fame, la sete, combattuto con tutte le mie forze per salvare la sua vita.
E per cosa?
A cos'era servito, tutto quello, se della sua casa non era rimasto nulla se non rami secchi e cenere?
Aveva confidato nei Leggendari Araldi. Aveva creduto nel loro aiuto ma così non era stato.
"Ho dovuto combattere anche loro e, che Vento Verde mi sia testimone, non è stato affatto facile. Adesso cosa dovrei pensare? Che sono stato solo una pedina? Possibile. E se così fosse, ora che tutto si è concluso, vengo buttato via come qualcosa di rotto e vecchio. È questa la ricompensa per i miei sacrifici? Un giorno, una fanciulla...una fata speciale mi disse che il mondo aveva bisogno di essere guarito da persone come lei e difeso da persone come me. E l'ho fatto. Ho combattuto in ogni angolo di questo vasto continente. Ho difeso i deboli ed eliminato gli oppressori. Eppure mi sento come se avessi fallito in ogni cosa. E solo perché non sono riuscito a salvare l'unico posto che mi stava davvero a cuore."
Mise un freno ai suoi pensieri, a tutte quelle domande che gli stavano facendo scoppiare la testa.
Era stanco e non aveva più la forza di fare nulla. Si abbandonò sul manto argilloso della terra e chiuse gli occhi.
Tentò di scacciare i quesiti che lo affliggevano per riposare.
Non serviva a nulla arrovellarsi il cervello se le risposte si rivelavano più sfuggenti della nebbia.

***

Era cresciuto con l'ammirazione per i Leggendari Araldi. Quando era piccolo, Ardesya era costantemente lacerata da qualche guerra. Umani contro Abomini, in scontri che sembravano durare anni. Ognuna di quelle guerre non arrivava mai a toccare la Foresta di Heaventhys, ma gli echi delle spade magiche e delle esplosioni giungevano fino alle sue orecchie, facendo tremare il suo cuore e le sue ali.
Sua madre lo teneva stretto a sé, cantando una canzone che riusciva a scacciare la paura che gli trasmetteva la guerra. E quando non si udiva più alcuna esplosione o risonanza magica, sua madre gli diceva "Senti? I Leggendari Araldi sono intervenuti e la guerra è finita. Grazie a loro, saremo sempre al sicuro."
E lui sorrideva, rassicurato da quelle parole e felice di sapere che nessun Abominio l'avrebbe mai sfiorato.
Non aveva idea di quanto si stesse sbagliando. Davvero, non ne aveva la più pallida idea.
Era nato per combattere ma ancora non lo sapeva.
Quando venne reputato pronto, suo padre lo mandò ad unirsi al Circolo del Vento, il gruppo di druido che vegliava sul ciclo naturale della foresta. Si addestrò con tutte le altre giovani fate, senza alcun privilegio dovuto al suo rango. Era il figlio del re, nato dal suo secondo matrimonio ma non per questo veniva trattato diversamente.
Nemmeno durante le feste organizzate dalla famiglia reale. Tutti si inchinavano al passaggio dei sovrani, tutte le dame ambivano a ballare con suo fratello (fratellastro, per la precisione) Jude, ma nessuno si curava di lui. Lo facevano sentire invisibile e, a lungo andare, la cosa fiaccava la sua autostima.
Eppure era il migliore.
Tra le giovani leve, era il migliore.
Non peccava di superbia, se diceva di essere superiore ai suoi compagni. Dopotutto, era la verità.
Nessuno sapeva combattere con la lancia come lui.
Nessuno sapeva usare la magia della natura come lui.
Eppure non veniva mai preso in considerazione.
C'era una missione d'esplorazione? Era bravo ma veniva scartato senza poter ribattere. Mandavano sempre quelli che non sapevano distinguere l'orma di un orso da quella di un lupo.
Bisognava montare la guardia notturna ai quattro confini della foresta? Lui riusciva a stare sveglio per diverse ore di seguito, eppure mandavano fate che rischiavano di addormentarsi sul posto.
Non capiva il motivo di tali decisioni. Provò anche a parlarne con il padre ma il sovrano rispondeva sempre in modo evasivo e lo congedava con la scusa di avere una riunione importante.
Comunque c'era una cosa che nessuno poteva impedirgli di fare: tirarsi indietro in caso di guerra.
Se Heaventhys veniva attaccata (il che accadeva molto raramente) nessuna fata poteva rifiutarsi di impugnare le armi e fronteggiare il nemico.
Se qualcuno disertava, veniva inseguito dai mastini e se tornava ancora vivo (altra cosa che accadeva molto raramente) veniva portato ai Gemelli del Supplizio.
Erano due grosse querce secolari, possenti, che il suo popolo usava anche come torri di vedetta.
Il disertore veniva posto nel mezzo dei due alberi, quindi veniva afferrato per le braccia da due liane. Una terza lo afferrava per il collo ed altre due per le gambe. Alla fine, le cinque corde verdi tiravano simultaneamente, strappando via le parti legate.
Sebbene fosse nato per combattere (come già detto), non si sentiva affatto un vero combattente. I suoni delle battaglie non riempivano il suo cuore di gioia, come accadeva ad altri. Vedeva la guerra come una realtà devastante, che spegneva la bellezza della natura e se ne andava portandosi dietro innumerevoli anime.
Sapeva bene che la morte era parte del cerchio naturale dell'esistenza. Lo vedeva con le piante ed i fiori.
Nascevano dai loro semi. Si innalzavano forti e splendidi e, al momento giusto, passavano a miglior vita.
In lui scorreva, comunque, l'istinto del combattente, che gli piacesse o meno.
Non era ancora adulto, quando la sua patria venne attaccata da un grosso golem e dai suoi piccoli tirapiedi.
Ogni singolo membro di Heaventhys aveva bandito la propria arma e si era lanciato all'attacco.
Lui non era stato da meno.
Su quei piccoli mostri sfogò la sua rabbia, la sua frustrazione per essere stato continuamente messo da parte. Il suo naturale talento per la magia e la sua ferocia lo resero un avversario temuto. Durante lo scontro, i tirapiedi tentarono di evitarlo ma non ebbe alcuna pietà per loro. Li distrusse senza esitazione, mostrando un sangue freddo ed una crudeltà mai vista in una fata.
Stimolati dalla sua furia battagliera, gli altri cavalieri del re, squarciarono le linee nemiche, dando fondo a tutte le loro forze.
E quel grosso golem.
Suo padre tentò di fermarlo mentre sua madre proteggeva il nucleo magico che manteneva in vita la foresta.
Ma anche ad un re delle fate poteva capitare di avere qualche difficoltà.
Quando vide che veniva scagliato via come fosse un fuscello, la rabbia si accentuò caricandolo ancora di più.
Il suo popolo non lo considerava affatto ma non per questo avrebbe permesso a quel bestione di distruggerli.
Scatenò tutto il suo potere.
Invocò la magia dei re.
Il Dio Vento Verde lo ascoltò e gli fece dono di Opalius, la sacra lancia delle profezie.

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