ABBRACCI LETALI

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Un forte stridio di gomme contro l'asfalto, mezzo giro di scatto, non faccio in tempo ad evitare la macchina che sopraggiunge alle mie spalle, due fari accecanti poi un tonfo. Una scarpa mi vola via come un proiettile, finisco gambe all'aria come un fantoccio di pezza. Ricado con un ruzzolone sopra il cofano, poi su, verso il parabrezza. Lo sento cedere sotto l'urto del mio corpo, la mia mente registra l'aprirsi di schianto del cassetto del cruscotto da cui schizza fuori un numero imprecisato di pupazzetti coloratissimi scompagnati. Automaticamente li riconosco: erano tanto di moda una decina di anni fa, credo che si chiamassero gli "Hugs".
L'auto s'inchioda bruscamente, rifaccio il percorso inverso finendo la carambola rovinosamente a terra.
- Dio che botta!
La testa mi girava come una giostra impazzita da Luna Park, tutto il mio corpo urlava dolore. Nel frattempo, si era radunata intorno una piccola folla. L'aspirante killer motorizzato scese di corsa dall'auto e, come a cercare consensi tra i passanti che sbucavano da ogni parte, gridava istericamente: - È sbucato dal nulla, all'improvviso, ve lo giuro. Credetemi, non è colpa mia, non è colpa mia!-
Portai le mani alle orecchie che mi fischiavano come due turbine d'aereo in fase di decollo: - Vi prego, qualcuno faccia tacere quel criminale e chiamate un'ambulanza. -
Ma nessuno sembrava dar peso alle mie parole. Provai a muovermi, riuscii ad alzarmi da quella posa innaturale. Frastornato, mandai tutti al diavolo e me ne andai barcollando, passando attraverso l'unico varco che intravidi tra i curiosi. Nonostante il colpo subìto, i dolori erano svaniti rapidamente. Potevo muovermi e così mi allontanai in fretta, senza una direzione né una meta precisa, dal momento che non avevo neanche una casa.

Mi chiamo Louis Johnson e...
Eh, già! Sono uno dei tanti homeless del paese, uno dei tanti "invisibili" talmente invisibili che ci prendono sotto senza neanche accorgersene.
Tanto che perfino la gente accorsa sul luogo si stava preoccupando più dell'investitore che di me, l'investito... Ho sentito alcuni dire perfino: "Poveretto, adesso passerà anche un bel guaio...".
-Fanculo a loro. E io? Sappiate che anch'io sono un essere umano. Bastardi! -, gli gridai contro.
Ma ormai ero distante e comunque nessuno mi avrebbe sentito. Inciampai con qualcosa nell'oscurità della notte e, nel cadere faccia avanti, intravidi di sbieco che erano anche sopraggiunti i soccorsi. Allora qualcuno si era accorto di me, pensai: polizia e ambulanza, rutilanti di quelle luci colorate e scintillanti come quelle degli alberi di Natale fuori delle case, che danzano sotto aliti di vento. Rimasi seduto in terra per diversi minuti a guardare la scena, con le ginocchia rialzate, avvolte dalle mie braccia e, favorito dal buio, mi lasciai andare in un pianto.
Era tanto che non lo facevo, pensavo di aver finito le lacrime e invece eccole lì, spuntare di nuovo, solcandomi il viso sporco di polvere e terra, tumefatto e stanco. Infilai la mano nella tasca di quella giacca lercia e logora cercando qualcosa per asciugarmi, ma ciò che tirai fuori fu un lembo di quella che una volta era una foto: un lontanissimo momento di gioia con me e mia figlia Emily in braccio; ancora bambina e la parziale immagine di mia moglie sorridente e felice.

Una foto sbrindellata dagli inesorabili morsi del fuoco. Il fuoco: quello appiccato a un mio giaciglio da cinque balordi che volevano divertirsi in modo diverso, quella sera. Fortunatamente non mi ero ancora addormentato del tutto e, nel tentativo di domare le fiamme con la giacca, la foto saltò fuori finendo su un tizzone ardente che ne bruciò una parte. Quello era l'unico ricordo che mi legava ad un passato ormai lontano.
Mi diedi una ripulita al viso (si fa per dire) con la manica della giacca, poi rimisi in tasca quel residuo di felicità fuligginosa e mi rialzai.
Dai pantaloni tirai fuori un accendino di plastica e un mozzicone di sigaretta, mi voltai di fianco per ripararmi da un leggero venticello e l'accesi. In quell'attimo il sangue mi si gelò.

Dalla fioca luce che emanava l'accendino, nel punto esatto dove avevo inciampato, intravidi quello che aveva tutte le sembianze del corpo esanime di una bambina semi nascosta dalla vegetazione. Spalancai la bocca per l'incredulità, il mozzicone cadde, le sopracciglia s' inarcarono come due dei quattro archi di pietra che sono sulla spiaggia di Puerto Vallarta in Messico; gli occhi protesi fuori dalle orbite. La pelle mi si accapponò al punto che ebbi la sensazione di essere posseduto. Mi irrigidii e poi stramazzai un'altra volta in terra, come un sacco vuoto. Svenni.

PICCOLI EVENTI COLLATERALIDove le storie prendono vita. Scoprilo ora