6. REGNI (REV)

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«Vedevo la mia mano sfiorare una parete ruvida e candida. La accarezzavo e avvertivo le sporgenze della pietra sotto il palmo.

Mentre cercavo di comprendere dove mi trovassi, alzavo il capo e, sopra la mia testa, c'era un'incisione in un arco di marmo: era un'aquila dalle ali spiegate che reggeva tra gli artigli una targa in cui c'era scritto 'SPQR'.

E fu allora che sentii voci, urla e pianto provenire dalle mie spalle. Il cuore iniziò a palpitare, mentre cercavo di soffocare un urlo con entrambe le mani.

Di fronte a me vedevo uomini e donne con abiti lunghi fino ai piedi, che si spingevano, buttandomisi addosso. Ma era come se non esistessi ai loro occhi spenti e pieni di odio, perché mentre mi strattonavano, li sentivo urlare solo una parola:

"Crocifiggilo! Crocifiggilo!"

Non sapevo a chi si stessero riferendo, ma sentivo nelle mie vene scorrere il timore che, purtroppo, i miei occhi avrebbero presto visto l'uomo a cui quell'odio era rivolto.

Mi spingevano, mi spingevano violentemente, e mentre lo sguardo andava in cerca di aiuto, vidi una donna. Una donna dallo sguardo spento, che abbracciava una colonna marmorea dal capitello Corinzio. Era oltre quella moltitudine furibonda, avvolta da un manto nero che lasciava intravedere solo il viso rigato da lacrime silenziose.

Mosse il braccio, come a voler toccare un punto verso la mia direzione.

Poi, sentii fischiare alle orecchie uno schiocco.

Poi un altro e un gemito.

Una voce che pronunciava un numero, in latino.

Triginta!

Urlava una voce maschile.

Mi voltai, e fu allora che il respiro mi si mozzò in gola.

Volevo gridare per l'orrore di quello a cui stavo assistendo, ma le urla mi furono bloccate da una mano sbucata dall'oscurità, alle mie spalle. Le lacrime traboccavano dai miei occhi e le ingurgitavo, senza sapere il perché.

Eppure, non conoscevo quell'uomo rigato di sangue, coperto di ferite provocate dalle continue frustate che fendevano l'aria e che lo facevano sobbalzare con scatti irregolari al suolo, dove ormai giaceva inerme, immerso in una pozza di color rosso scarlatto.

Quei pochi centimetri di pelle nuda non ferita erano di un bianco pallido, ma non riuscivo a vederlo in viso, perché aveva dei capelli lunghi che gli si erano incollati al viso e alla barba. Anch'essi avevano assunto un colore scuro.

Sul suo capo una corona di spine pendeva da un lato.

Volevo salvarlo, ma quella mano era ancora sopra le mie labbra e quando finalmente riuscì a tirarla giù con forza, mi sentì afferrare il polso. Al che, girandomi, vidi degli occhi di ghiaccio che mi fissavano sbarrati.

Era un ragazzo. Lo vedevo muovere le labbra, ma non riuscivo a sentire il suono della sua voce.

Mi voltai nuovamente, scossa dall'urlo disperato di quella donna dal manto nero, che veniva trascinata via da un giovane in lacrime. Ella gridava, gridava una parola, un nome a me conosciuto.

Ma, mentre cercavo di capire il nome urlato da quella donna, mi voltai verso il ragazzo che ormai mi era di fronte.

'Non puoi salvarlo, lui ha scelto questo destino, di sua volontà'. Sentenziò glaciale.

I miei occhi venivano irrorati di nuove lacrime e nel fissare ancora una volta quell'uomo martoriato, lo vedevo di spalle, mentre un soldato romano lo copriva con una tunica purpurea come il sangue che stava seccandosi alla sua pelle.

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