La voce della Morte.

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Dedicato a Venny, con tanto amore. 
Grazie per essere sempre, per sempre, la voce della mia coscienza.
La voce della mia vita. 

They can say, they can say it all sounds crazyThey can say, they can say I've lost my mind I don't care, I don't care, if they call me crazy

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They can say, they can say it all sounds crazy
They can say, they can say I've lost my mind
I don't care, I don't care, if they call me crazy.
'Cause every night I lie in bed
The brightest colors fill my head
A million dreams are keeping me awake.
- A million dream, The Greatest Showman.

Una folla festosa tutte le vie affollava, tra balli, canti, e note stonate a cui nessuno dava importanza; persone abbandonate al giubilo per una serata, estasiati - in qualche modo - in quella poco duratura tregua dal dolore quotidiano, inebriati dalle risate e dalla moltitudine di voci che si accalcavano le une sulle altre in un fortino di rumori sempre più forti, chiassosi, ma allo stesso tempo liberatori. Erano anime tutte dissolte per un palpito in quella precisa sfumatura di felicità – che era, sì, radicata, ma rimaneva pur sempre superficiale - alla stregua di coriandoli di infinite tonalità di gioia abbandonati al vento. Vorticavano nell'aria leggera un nugolo di pensieri spensierati, uno stormo di idee folli che oscuravano gli astri nella volta celeste dipinta di un blu cobalto, punteggiato qui e lì da scintillanti gemme lontane e irraggiungibili.

Le ombre della notte e i demoni di ogni insana mente si erano abbandonati per un momento in un cantuccio, attendendo nel silenzioso buio che il piacere si sfiancasse con lo scorrere del tempo fino a volare via distante. Attendevano, pazienti, di sfuriare la loro vendetta per quel fugace tempo di pace, sotto le sembianze di incubi diurni e tormenti notturni.

Orde rumorose e schiamazzanti di pargoletti correvano per le stradicciole illuminate dal tenue e dolce bagliore delle torce accese nei muri, ridendo, scherzando e chi anche piangendo per la contentezza.

Cortei civettuoli e starnazzanti di donne lanciavano languidi sorrisi - dissimulati da riflessi negli occhi del tutto innocenti - ai giovani che passavano loro a fianco, chi distogliendo lo sguardo, chi invece ricambiandolo in maniera altrettanto passionale.

Dovunque, chiunque aveva maschere di spensieratezza abilmente pitturate sul viso, a celare - anche solo per un istante - le fatiche di quella miserabile vita a cui erano costretti non per propria scelta e a cui non potevano sfuggire per timore dell'ignoto dopo la Morte. Case addobbate a festa si affacciavano su strade animate da spiriti ornati dei riflessi di altri spiriti, in un perpetuo arcobaleno sotto il candore lunare.

E in quel caleidoscopio eterno e infinito di teneri sussurri, allegre parole, estasiate grida, ben pochi si accorsero di quel losco figuro che, con passo quieto, si avvicinava alla pira eretta al centro della piazza comune, la quale - illuminata dalle fiamme che lambivano in seducenti e lente volte il legno secco - era mosaicata in un'immagine confusa e disordinata di anziani, giovani e bambini. Quell'ombra scura, ancor più buia delle sconfinate tenebre, pareva ammantata di desolante tristezza, come fosse composta di brandelli di disperazione cuciti insieme con fili di solitudine: una macchia di catrame in un prisma di colori. Un'anima, o forse un demonio?, pareva muoversi irrequieta all'interno del manto, come desiderosa di abbandonare della prigione di carni cedenti e solcati dalle cicatrici del tempo. Un'atmosfera senza tempo si avviluppava alle pieghe del mantello grigio sporco, come se il Signore del Tempo si fosse inchinato al suo cospetto per timor reverenziale o solo rispetto: l'aria che smuoveva le curve della stoffa - la quale lasciava intravvedere solo la forma delle gambe magre – era satura di amara dolcezza, un sentore strano quanto familiare al mondo.

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