Non riuscivo a scappare, a separarlo da quel cielo notturno. Come l'ombra di un timore mi seguiva, svelta più di quanto la morte avrebbe mai fatto. Nell’esatto modo in cui un predatore attende il momento giusto per travolgere, lei mi puntava bramando l’indizio di una mia disattenta mancanza. Io ero la sua preda, nient’altro che questo, la vittima del più acerrimo e naturale nemico dell’uomo. Fragile come un ramo secco la mia esistenza si preparava ad essere spezzata, perché chiunque sarebbe nudo e vulnerabile di fronte a tanta potenza. Mi sentivo l’inerme coniglio sotto il fiato del lupo. Paura mista a rassegnazione, timore e sgomento; avevo perso il contatto con la realtà e quelli erano i passi falsi che ella aspettava. Calavo le mie difese proprio quando quell’essere era più vicino.
Non perse molto tempo e in un istante, con lo scatto di un fulmine in mare mi raggiunse e abbracciò. Era una grossa creatura nera dalle squame simili a quelle di uno squalo, ma più grandi e resistenti, di un metallo che fredda l'anima e svuota la coscienza. La stretta si fece più intensa e mi cinse saldamente il petto che si appesantiva, intorpidito fino alle ossa. Queste tremavano come avessero paura, il cuore però le dava questo effetto. Batteva così forte da sentirsi fino in gola e su all'orecchio. La creatura spalancò le fauci al cielo e mi azzannò la spalla sinistra. Non provai ad evitarlo o a liberarmi, ero consapevole del fatto che tutto sarebbe stato vano e così rimasi immobile, fermo ad attendere l’inevitabile fine dell’atto.
Quella sera, il silenzio delle notti estive che sono solito amare e in cui adoro perdermi, fu un incubo impensato. Sentivo ogni cosa. I denti della bestia masticavano la carne, rompevano le ossa, ed io in quella quiete ascoltavo. Era un dolore che non riesco, né posso descrivere ma non nego che quasi mi dava piacere. Mi sentivo trasportare da una corrente tranquilla, in una pace inaudita. Sognare, a questo riesco a paragonarlo con più naturalezza, ad un sogno però di un’incostante intermittenza a cui il dolore mi forzava.
Era fatta, non avevo scampo da ciò che presto sarebbe stata l'estrema beffa di quella mia fine. Una goccia di sangue sfuggì al banchetto del mio aggressore e mi scivolò sul petto. Era rossa, come la piccola scaglia di un rubino e si fermò, attratta da una forza magnetica, al centro del torace. Sbiadì, lentamente, filtrata dalla pelle nella quale era assorbita. Penetrò le ossa, i muscoli e raggiunse il cuore che ancora tamburellava senza resa. Lo calmò, per un qualche mistico incanto quella lacrima scarlatta fece tacere l’unico lato di me che voleva lottare, l’ultimo guerriero che ancora si ribellava. Era come se un dito avesse premuto un interruttore e spento la paura, segregando l’anima dentro ad un pozzo dalla quale non potevo sentire altro che la sua assenza.
La creatura scivolò via e mi lasciò solo, si dissolse come un miraggio sotto la pioggia estiva. Il cuore ormai infetto, ferito e stanco, si fermò. Ricominciò a battere poco dopo ma in modo strano, diverso. Non era più il mio. Ero rimasto vittima della più temibile natura dell'uomo, dell’anatema che conduce in un mondo assai strano. Quello che da lì in poi successe, sarebbe stato fuori da ogni mia forma di controllo. Col tempo, prigioniero in questa verità mi sono adattato, imparando a vivere nella mia nuova forma. Questo è quanto credo sia successo, così ricordo di essermi innamorato.
Non c’è mostro più spaventoso e gradevole dell’amore, nessuna creatura più aggraziata di una donna vista con gli occhi di un uomo che si ammala di lei. Ma cosa dico? Uomo, donna, bambino o anziano: non c’è scampo se il sentimento ti cerca. Lì la nostra forza cade e si disfa, come accade per il mondo sulla schiena dell’egoismo umano.