II - Casa
Manuele era ritto di fronte alla vetrina del negozio: il grembiule celeste legato malamente dietro la schiena e le mani callose sui fianchi larghi. Osservava i passanti al di fuori, indaffarati sul marciapiede logoro della via poco trafficata.
«Papà?» Lo chiamò Arianna, inclinando la testa e sospirando piano. In ginocchio sulla sedia dietro al bancone, era appoggiata su di esso con tutti gli avambracci.
«Papà?» Ripeté a voce più alta.
Lui si voltò per un solo istante, distrattamente. «Siediti bene, per l'amor del Cielo, o un giorno di questi ti ritroverai sul pavimento» borbottò. «Se entrasse un cliente faresti una pessima figura, per niente professionale.»
Lei sorrise, fece come le era stato detto. «Papà, non entrerà proprio nessuno se continuerai a fissare tutti in quel modo» commentò con tenerezza.
«Non li sto fissando. Sto aspettando» puntualizzò Manuele, incrociando le braccia al petto ed assumendo un'aria ancora più impaziente. La sua figura stonava con ciò che lo circondava, si ergeva imponente – ed ingombrante, come avrebbe detto la sua adorata moglie – tra gli stretti sentieri di passaggio lasciati sgombri da ceste di fiori e composizioni varie. Ognuna di esse contribuiva a regalare all'ambiente una manciata di colore, ognuna emanava una particolare fragranza dolciastra nell'aria: era l'atmosfera familiare nella quale Arianna aveva imparato a camminare e a distinguere una margherita da una gaillardia.
Arianna alzò un sopracciglio e scosse la testa. «Che ne dici di portarci avanti con il lavoro, nell'attesa?» Propose come ultima speranza. «Potremmo preparare le bomboniere per la Signora Alto.»
Manuele sbuffò sonoramente, si grattò il capo e riposò la mano tra i capelli ingrigiti. Alzò lo sguardo sull'orologio appeso ad una parete, incastrato tra mensole colme di prodotti ben assortiti, e si rivolse alla figlia. «Per te non è ora di andare?»
Arianna ci pensò su, ma era disposta a perdere qualche minuto pur di salvare la situazione. «E lasciarti qui a spaventare ogni possibile cliente?» Scherzò.
Lui si avvicinò lentamente con la fronte aggrottata: gli occhi piccoli e neri mal celavano un'inquietudine che il suo viso paffuto si ostinava a non voler mostrare. «Mi occupo di questo negozio da prima ancora che tu nascessi, sono piuttosto sicuro di poter restare solo per poche ore» le fece presente con l'ombra di un sorriso.
«Non ne dubito, è che...»
«Arianna» la interruppe Manuele, con lo stesso tono di voce che lei aveva imparato ad usare con la testarda Sofia quando voleva ammonirla.
Lei alzò gli occhi al cielo, sbuffando in modo teatrale: «Sei impossibile» decretò con arrendevolezza.
«Mi vuoi bene anche per questo» le ricordò lui con aria vittoriosa. «Oggi pomeriggio badi alla piccola peste?»
Arianna appese il grembiule al suo posto e si sistemò i capelli raccolti in una coda, afferrando la giacca e la borsa. «No, ci pensano i genitori di Jun.»
«Quel povero disgraziato lavora di nuovo fino a tardi?» Indagò, sistemando una composizione sulla quale gli cadde l'attenzione.
«Tutto il contrario: oggi è in libera uscita» sorrise Arianna, raggiungendo Manuele per baciargli una guancia. Poi gli si avvicinò all'orecchio e gli confidò un segreto: «Ha un appuntamento, il povero disgraziato» sussurrò allegra. «Ma non dirlo a nessuno, sai come reagirebbe.»
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Il quarto punto
RomanceTorino. La città magica. La città della grandiosa Gran Madre illuminata, dell'onnipresente Mole Antonelliana e del maestoso Castello del Valentino. La città dei famigerati Murazzi, del Po notturno e scrosciante, di Piazza Castello e le sue fontane...