2.

100 17 13
                                    


I ventidue anni non si dimenticano con facilità.
Ti senti onnipotente, piena di forze e di vita. Ma, allo stesso istante, sei agli sgoccioli. È il momento in cui ti accorgi che il tempo sta correndo in fretta e se non lo afferri diventerai un'altra delle tante anime che passano su questa terra, senza lasciare traccia.
A qualcuno non importa di questo, a qualcuno non passa nemmeno per la mente un'idea simile mentre altri - oh i poveri sfortunati – non riescono a convivere con questa idea. Essere tutto e il nulla, l'ambiguità dei ventidue anni.

E io facevo parte di questi ultimi. Non riusciva ad accettare che lì da poco avrei finito la mia laurea triennale e avrei dovuto iniziare a lavorare per poi, un giorno, sposarmi e fare qualche marmocchio urlante che avrebbe iniziato lo stesso ciclo, fino all'infinito.
Vedevo la vita per quello che era: un enorme ammasso di filo che, indipendentemente dal suo utilizzo, rimaneva sempre lo stesso filo.
Ma non per questo mi vietavo il divertimento. Oh no, ogni momento era buono per viverlo a pieno.

La sera calda del 25 Maggio indossai un vestito semplice e, nonostante le tue proteste, Monica, e delle altre amiche, mi rifiutai categoricamente di truccarmi. Non avevo bisogno di fondotinta o di mascara per diventare bella, mi sentivo carina anche con la mia aria innocente e da bambina.

Tu mi trascinasti dentro il locale gremito di persone, faceva troppo caldo e intorno aleggiava lo sgradevole odore di fumo misto all'alcool.

"Vado a prendere qualcosa da bere, mi aspetti in pista?" chiesi, indicandoti alcuni compagni del corso.

Tu annuisti e mi infilasti in mano una banconota da venti, prima di inoltrarti in mezzo alla folla. Mi diressi al bancone con passo sicuro, contenta di non aver indossato tacchi vertiginosi.

"Ciao Michael! Mi dai due gin tonic" urlai, sporgendomi verso il barman.

"Te li preparo subito. Dovresti fare un salto nel privé numero due, ma non dire che ti mando io" mi ripose all'orecchio.

Michael era un uomo sulla quarantina, da grossi bicipiti ornati da strani tatuaggi. Indossava sempre un berretto nero che copriva la sua testa grossa e lucida. Era un omone gentile anche se il suo aspetto sembrava minaccioso.

"Se mi cerca Monica, dille che sono uscita a prendere una boccata d'aria."

Michael mi fece l'occhiolino e io mi diressi con il bicchiere in mano verso la stanzetta indicatami dal barman. Il privé due era dedito al gioco, di solito c'erano principianti che si cementavano in partite folli, perdendo cifre esorbitanti, ma non abbastanza alte per desistere dal cadere in un circolo vizioso.
Ogni tanto, però, il privé ospitava abili giocatori e osservare le loro mosse era come avere un orgasmo di puro piacere. Mi perdevo nelle loro mosse subdole, nelle loro finte azioni e nelle beffe che si facevano tra di loro.
Erano passati mesi dall'ultima volta che avevo avuto la fortuna di assistere a una partita degna di essere chiamata tale.

Aprii la porta e mi fermai sulla soglia, cercando di abituarmi all'oscurità della stanza. La sala era intima, Michael l'aveva arredata con morbide poltroncine di pelle, ponendo al centro un enorme e sfarzoso tavolo rotondo di legno. Era stato mio padre ad intagliare ogni fogliolina che spuntava dal corpo centrale del tavolo.
Mi diressi verso la luce offuscata, pronta a subirmi occhiate sospettose da parte di giocatori esperti. Il lampadario di vetro fino illuminava il centro del tavolo, lasciando in penombra i cinque giocatori. Mi mossi con lentezza, non volevo disturbare la partita in corso. Passarono quelli che mi parvero infiniti minuti, quando un giocatore si accorse di me.

"Ti sei persa, bambina?"

Cercai di aguzzare la vista per capire a chi appartenesse quella voce profonda, ma riuscivo a scorgere solo un profilo deformato di un uomo. Questo, capendo le mie intenzioni, si sporse in avanti rivelando un volto di un uomo sulla cinquantina. I suoi occhi piccoli e scuri guizzarono vivaci e maliziosi alla mia vista, ma io cercai lo stesso di sostenere il suo sguardo. Non era il primo a guardarmi in quel modo. Studiai la sua espressione e, quando lo vidi sfiorare il sigaro, capii subito che stava perdendo. Sorrisi e mi avvicinai al tavolo con più sicurezza.

Viso d'angeloDove le storie prendono vita. Scoprilo ora