Delle voci trasportate dal vento riempivano la via deserta, l'aria fredda e la poca luce avevano fatto rientrare tutti nelle proprie case, tranne un gruppo di bambini, che probabilmente aveva tardato il rientro a casa giocando nel parco lì vicino. Le loro voci innocenti scaldavo quella giornata cupa, "nati!... nati, sbrigati o ti lasciamo qui!". Un ragazzino vestito con un giaccone invernale, visibilmente troppo grande per lui, un cappellino di lana che gli copriva la fronte e ben due sciarpe stava richiamando l'attenzione di una buffa bambina che si era fermata in mezzo alla strada ad osservare una casa.
"Muoviti nati!", il ragazzino insisteva, ma lei non lo degnava nemmeno di uno sguardo, era come se fosse immobilizzata, persa in un limbo tra realtà e immaginazione, quella casa le suscitava una sensazione di angoscia e paura mista a nostalgia. Stava male senza conoscerne il motivo, spinta dalla sua curiosità alzò un braccio, lentamente e indicando la cancellata scura dell'abitazione, ruppe un silenzio surreale che si era creato in quel momento con una semplice domanda. "questa casa... di chi è? Ci vive qualcuno?", la voce della ragazzina risuonò per tutta la via e a giudicare dalle reazioni degli altri bambini, quelle parole risuonarono anche nelle teste dei fanciulli spegnendo la vivacità e il calore emanato dal gruppetto di amici.
"nati... noi... noi andiamo a casa..." il tono di voce del ragazzino cambiò drasticamente come erano cambiate le espressioni sui volti di tutto il gruppo.Ormai il gruppo di bambini era lontano, la ragazzina e un piccolo gruppetto di foglie secche facevano da protagonisti in quello scenario cupo. Non so come mai, ma la mia attenzione era stata catturata dalle foglie, probabilmente era per come si muovevano. Scivolavano a destra e a sinistra accompagnate dal vento sul manto stradale, sembravano danzare in un cerchio intorno alla bambina, la cosa che mi aveva incuriosito molto era, che ogni volta che si avvicinavano alla cancellata della casa, il loro muoversi leggiadro e coreografico diventava frenetico e caotico per poi tornare a danzare portate dal loro compagno che soffiava costante.
CRACK! [merda! Ho calpestato un ramo]
Al suono della rottura del legno, la ragazzina si girò di scatto verso il mio nascondiglio, un cespuglio dal lato opposto della strada rispetto alla casa. Lei non sembrava spaventata, nonostante fosse rimasta sola e al freddo, ormai anche la luce del giorno si stava allontanando per dar spazio all'oscurità della notte, ma lei non era spaventata. Nei suoi occhi si leggeva un misto di determinazione e curiosità come non avevo mai visto prima.
La buffa ragazzina si avvicinava piano piano al mio nascondiglio, scrutando ogni foglia, ramo e minimo movimento del cespuglio e di colpo si fermò ad un paio di metri da me, mi aveva visto. "Vattene!"... "Torna a casa..." Lei rimase immobile.
"Quella... è casa tua?" quella domanda mi colpì come un fulmine a ciel sereno, "quella... era casa mia...", "e adesso chi ci vive?" replicò lei, io non risposi, non perché non volevo rispondere, ma perché non potevo rispondere. "Comunque... Piacere, io sono Natura, tu come ti chiami?"... "Nati! Natiii!" una voce dal fondo della via richiamò l'attenzione della bambina, appena lei distolse lo sguardo corsi via... Quella ragazzina aveva qualcosa di strano, quando posò il suo sguardo su di me mi sentii braccato da una sensazione di angoscia e nostalgia senza sapere come mai, non riuscivo a muovermi.[... tu come ti chiami?... una domanda a cui no so rispondere... io come mi chiamo? Io, chi sono?]
Un incubo ricorrente tormentava il mio sonno da molto tempo ormai, non ricordo di aver mai fatto sogni diversi da quello, non sapendo chi io fossi e cosa avessi fatto durante tutta la mia vita, non ci trovavo un senso. Sapevo solo che quella casa con la cancellata scura, una volta, era casa mia, io vivevo lì dentro, da solo o con una famiglia non sapevo dirlo. Divenni ossessionato da quella casa, ogni giorno mi nascondevo dietro al solito cespuglio e passavo intere giornate a fissare quel cancello, un senso di angoscia e nostalgia mi assaliva ogni volta che vedevo quella casa. Un giorno il mio senso di inquietudine si fece così forte che scoppiai a piangere come un bambino, uscii dal mio nascondiglio e mi buttai sul marciapiede ai piedi del cancello con la testa tra le braccia e un fiume di lacrime che lavava via lo sporco dalle guance. Ad un certo punto avvertii una presenza, girai il capo alla mia destra e vidi il ragazzino con due sciarpe, le lacrime smisero di scorrere sulla mia pelle, il ragazzino sembrava paralizzato, in volto aveva un'espressione terrorizzata. Un leggero movimento delle sue labbra catturò la mia attenzione, era quasi impercettibile, come se volesse urlare, ma la paura lo stesse bloccando "il mostro!". Il bambino riuscii finalmente a parlare... "io... un mostro?" che cosa avevo fatto, cosa cera nel mio passato da spaventare a tal punto un bambino, "ti prego spiegami, se tu sai chi sono, ti prego dimmelo! DIMMELO!" all'udir di quelle parole il ragazzino scappò via correndo come il vento senza voltarsi indietro scomparendo nell'oscurità che ormai aveva preso il posto della luce soffusa del tramonto. Avevo voglia di piangere e lasciarmi morire, ma le lacrime non scendevano più, la tristezza del non sapere chi io fossi e che cosa avessi fatto per essere considerato un mostro, lasciò spazio a una rabbia difficile da controllare, ero arrabbiato con me stesso perché non riuscivo a capire come mai la gente mi evitasse chi io fossi.
[io... un mostro?]
Pervaso da una rabbia mai provata prima mi auto convinsi che le risposte erano all'interno di quella casa, la rabbia mi diede la forza per vincere la paura e con un passo mi ritrovai dall'altro lato della cancellata scura. Percorsi il vialetto fino ad arrivare alla porta d'ingresso, era aperta. L'interno di quella abitazione era bello, accogliente, tutto era coperto da uno spesso strato di polvere come se fossi il primo a rimetterci piede dopo molto tempo. Il parquet che ricopriva l'intero pavimento, scricchiolava ad ogni passo, provai ad accendere una luce ma non c'era corrente. Ad un certo punto entrai in una stanza che sembrava essere il soggiorno, data la poca luce rimasta non riuscii a capire bene la disposizione dei mobili fino a che non raggiunsi il centro della stanza. Di fianco a me c'era il divano, era grande per una sola persona, quindi non vivevo da solo, di fronte al divano c'era un camino con delle fotografie sopra di esso, appese al muro. Mi avvicinai al camino, ai miei piedi trovai una scatola di fiammiferi, ne accesi uno per vedere cosa ritraessero le fotografie...
[non ci posso credere]
"SONO UN MOSTRO!" iniziai a gridare dalla disperazione, la testa mi esplodeva, il cuore sembrava che fosse stretto in una morsa e trafitto ripetutamente. "Io... io sono un mostro! Ecco cosa sono!" allora corsi fuori dalla casa, mi lanciai oltre il cancello e caddi a terra, non avevo la forza di rialzarmi. Rimasi un attimo sdraiato ad osservare il cielo scuro, poi chiusi gli occhi... I ricordi di ciò che avevo fatto, che si erano riversati nella mia testa dopo aver visto la fotografia mi scorrevano davanti agli occhi come un film, un film macabro che racconta la storia di un uomo violento, di un pazzo, di un uomo che impazzito perché incapace di amare se stesso e gli altri, un uomo che divorato dalla tristezza, durante uno scatto d'ira, finì per uccidere la moglie davanti agli occhi innocenti dei suoi due figli. Faceva male ricordare, forse era per alleviare il dolore che scelsi di non ricordare, forse era per questo che scelsi di dimenticare chi io fossi, perché quella volta, mia moglie, non fu l'unica a morire. Quando riaprii gli occhi non vidi il cielo scuro sopra di me, ma bensì un volto familiare, la buffa bambina era in piedi di fianco al mio corpo freddo e paralizzato, privo di energie, "tu sei il mio papà?", io risposi "bambina mia, il tuo papà non c'è più...", dopo aver pronunciato queste parole, gli occhi di lei si riempirono di lacrime, si voltò e si allontanò mano nella mano con il ragazzino con due sciarpe. Questa fu l'ultima volta che vidi i miei figli prima di abbandonarmi al sonno eterno.

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RICORDI DOLOROSI
Bí ẩn / Giật gânUn uomo che non ricorda il suo passato, un'atmosfera che fa raggelare il sangue e una casa abbandonata cos'hanno in comune? il buio della notte ormai è parte integrante dell'uomo, la solitudine è ormai la sua unica compagna fino a che un incontro in...