Uno ° Il Primo Incontro

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Avery

Mia madre mi ripete sempre che le ricordo un geyser.
Mai calma, mai tranquilla, sempre pronta a esplodere.
Sono tutto il contrario di ciò che è lei -tutto il contrario di ciò che avrebbe desiderato per sua figlia- ma non mi sento in colpa per questo.
Io mi piaccio esattamente così come sono: costantemente in cerca di adrenalina, costantemente carica e pronta a scovare qualcosa di nuovo da sperimentare.
Non so stare ferma, e dovrebbe essere più che evidente ormai.
Eppure, dopo quattordici anni, mia madre ci prova ancora a farmi diventare quella figlia sistemata e composta che dalla notte dei tempi sogna io sia.
Ah, la testardaggine.
Qualcosa in comune a quanto pare l'avevamo dopotutto.
Ad ogni modo, per accontentare entrambe, ho dovuto cominciare a mentirle.
Non mi piace farlo -temo il giorno in cui inizi a sospettare di me e scopra tutto- ma se voglio guadagnarci la mia dose quotidiana di libertà, non ho scelta.
Basta che le dica che vado a studiare da Alyson, e poi posso gironzolare per la città senza sentirmi il suo fiato sul collo.
Ultimamente sono le piste da skateboard il luogo che frequento di più: lì ho conosciuto Jackson, un ragazzo della mia età che ha preso a farmi la corte, e a cui non ho mai concesso altro che il mio stare al suo gioco.
Non avevo mai avuto un ragazzo, io. E per quanto Jackson un po' mi piacesse e mi incuriosisse, non avevo il coraggio di permettergli di andare oltre.
Non mi sentivo pronta, e non me ne importava abbastanza.
Visto che di recente sta diventando parecchio insistente, oggi decido di stargli lontano e di provare qualcosa di nuovo.
Qualcosa di nuovo come il parkour.
Si tratta di uno sport che ho scoperto diverse sere fa grazie ad un film, e in questa settimana, sto provando a esercitarmi con le piccole cose: saltare da un marciapiede all'altro, arrampicarmi sugli alberi, sui cancelli.
Il mio corpo è già parecchio agile di suo, perciò spingerlo al limite non è un problema.
In questo pomeriggio soleggiato, mi accorgo che ho bisogno di osare ancora un po', e che mi sento pronta a provare un percorso per intero.
Mi avventuro verso la periferia -verso quella che mia madre definisce la parte meno nobile della città- dove so di trovare vecchi edifici e strutture la cui costruzione non è mai stata ultimata, che posso usare come pista improvvisata.
Ci arrivo in meno di mezz'ora.
Mi guardo intorno, mi assicuro che il posto sia deserto, e infine comincio a correre sui muretti non troppo alti, e a saltare gli ostacoli che mi si presentano davanti.
Quando mi trovo di fronte a un vuoto di poco più di un metro e mezzo di lunghezza per due di altezza, mi fermo, indecisa se rischiare o meno.
Ma sì, Avery.
Torno indietro di qualche passo, prendo la rincorsa, stendo la gamba più che posso, ma alla fine il mio piede sfiora appena il muretto di fronte prima che io lo manchi e finisca per terra.
Sbatto sul cemento con tutto il lato destro del corpo, ma è la caviglia la cosa che più mi fa male.
Dannazione, ho preso una storta.
Ho preso una storta e non riesco a muovermi, gemo di dolore, sono nel bel mezzo del nulla e non posso chiamare nessuno.
Non sono in grado di camminare, non sono in grado di tornare a casa.
All'improvviso, vengo assalita da un terrore puro.
Vado nel panico, cado nello sconforto, ho una paura del diavolo, e temo che resterò qui per sempre.
Nessuno penserà mai che possa essere finita in questo luogo dimenticato da Dio, e se mai i miei genitori dovessero trovarmi mi ucciderebbero senza pensarci due volte.
Per non parlare del dolore atroce che non fa che peggiorare, e che fra poco potrebbe anche farmi svenire.
Stupida, stupida, stupida.
Hai esagerato.
Perché devi sempre esagerare?
Perché hai bisogno di cercare emozioni forti per sopravvivere ad ogni nuovo giorno?
Perché devi costantemente sfiorare il limite? Perché non puoi startene buona a prendere il tè e a fare gossip come tutte le ragazze della tua età?
Col cuore a mille e il fiato corto, comincio a piangere con una disperazione che non mi appartiene.
Morirò qui, morirò sola, morirò...
<<Ehy!>>
Una voce squarcia il silenzio, e una mano calda mi si posa leggera sulla spalla.
Presa alla sprovvista e già provata di mio, lancio un urlo.
Quando non sento più le dita sulla pelle, alzo gli occhi e incrocio quelli di un ragazzo che mi osserva perplesso, e che ora sta mostrando entrambe le sue mani come fanno sempre i colpevoli davanti alla polizia in tv.
Oh mio Dio.
È bellissimo.
Così fuori posto nel mio mondo, così differente dai ragazzi che frequento di solito, così lontano e... scompigliato.
È bellissimo.
Mi perdo nel momento, e mi incanto nello studiare quegli occhi scuri che mi scrutano curiosi, i capelli castani un po' lunghi e ribelli, la barba appena accennata e i lineamenti pronunciati.
Accidenti, deve essere il fascino dei ragazzi più grandi.
A scuola guardavo sempre ammaliata quelli dell'ultimo anno, e il mio sogno segreto era di conoscerne uno.
E adesso, un ragazzo più grande mi stava parlando davvero.
<<Ti sei fatta male?>> riprova cauto, quasi aspettandosi che io ricominci a urlare.
Ha la voce più dolce e gentile di quanto pensassi.
Ma alla sua domanda, mi riscuoto e sembro ricordarmi solo in quel momento del dolore alla caviglia che torna a pulsare, e delle condizioni in cui sono.
Distolgo lo sguardo perché all'improvviso mi vergogno, e annuisco tornando a fissare la fonte del mio dolore.
<<Sei caduta? Hai preso una storta?>>
<<O anche qualcosa di peggio. Fa malissimo>> mi lamento, dopo essermi schiarita la voce.
Poi altre lacrime cominciano a scorrermi sulle guance, e io mi sforzo di frenarle vergognandomi ancora di più.
Ma che diamine! Tu non sei questa, Avery. Non comportarti da bambina proprio ora.
<<Posso vedere?>> continua intanto il ragazzo, indicando la gamba.
<<Perché, te ne intendi?>> chiedo titubante.
<<In effetti, un po' sì>>
Cos'è quel tono? Cos'è quel retrogusto amaro che ci ho percepito dentro, e quell'ombra scura appena passata sul suo viso?
Annuisco ancora, e lascio che mi controlli la caviglia.
Si accovaccia per terra, mi alza il pantalone della tuta, e intanto io continuo a studiarlo.
Poi qualcosa che riflette la luce cattura la mia attenzione, e nella tasca della felpa gli vedo quello che sembra un coltellino svizzero, di quelli che si portano in giro i malintenzionati.
Il terrore mi assale di nuovo.
Stupida due volte!
Guarda dove sei, questo ragazzo potrebbe avere cattive intenzioni e tu ti fidi solo perché ti piace.
Qui non ti salverebbe nessuno se dovesse squartarti viva.
Mi faccio avanti, con un gesto fulmineo sfilo il coltello dal suo pessimo nascondiglio, e poi do una spinta al ragazzo che lo fa finire per terra.
Gli punto l'arma addosso.
Dio, ti prego, fa che non debba usarla.
<<Perché avevi questo in tasca? Chi sei, un criminale? Cosa vuoi davvero da me?>>
I suoi occhi ora sono spalancati e impauriti.
Alza di nuovo le mani e scrolla la testa.
<<Non voglio farti del male! Quello è per difendermi, non per attaccare>>
La gente normale non se ne va in giro con delle armi nel caso in cui debba difendersi.
Giusto?
O almeno, non dalle mie parti.
<<Perché dovrei crederti?>>
<<Tienilo tu, ok? È assurdo, ti sto aiutando!>> si indigna, aggrottando le sue splendide sopracciglia.
Avery, basta sbavare mentalmente.
Sono combattuta.
Infine, chiudo il coltello e me lo infilo in tasca.
Lui torna sulla mia caviglia, e comincia a passarci su le dita facendomi sobbalzare.
Sussulto di dolore.
Ma rabbrividisco anche.
Nessun ragazzo mi aveva toccata mai, se escludiamo gli abbracci di Jackson.
<<Da quanto sei qui? Ti serve subito del ghiaccio>> decreta.
Scrollo le spalle.
<<Cinque minuti? Dieci? E dove pensi di trovare del ghiaccio?>>
<<C'è un vecchio bar a circa trecento metri, posso andare a chiederne un po'>>
Riprendo a tremare.
<<Mi lasci qui? Non tornerai, vero? No, ti prego, non...>>
Non abbandonarmi.
<<Ehy, certo che torno. Non ti lascio da sola, voglio aiutarti. Prometto, ok?>>
È di nuovo così dolce che mi ammalia, e io mi ritrovo ad annuire in automatico.
Intanto lui mi si accovaccia di nuovo vicino, e i miei occhi si spalancano quando porta due dita sulle mie guance.
Non riesco comunque a muovermi, e restiamo lì a fissarci mentre capisco che mi sta asciugando le ultime lacrime rimaste.
<<Non piangere. Starai bene, d'accordo?>>
<<Si. D'accordo>>
Poi comincia a correre sparendo in una stradina alle mie spalle, e mi lascia lì a fare i conti col dolore, e con quello che mi sta succedendo dentro.
Un ragazzo mi ha appena toccata in modo del tutto disinteressato e innocente, e io sono tutta un brivido. Un brivido che non è né di paura, e né di adrenalina stavolta.
E non è come quando mi abbraccia Jackson, è più bello. Molto più bello.
Perché quel tocco non l'ho sentito solo fuori, ma anche da qualche parte dentro.
Quando neanche dieci minuti dopo lo vedo tornare, il mio cuore emette un enorme sospiro di sollievo.
Mi raggiunge, mi fa un sorriso, ammicca in pieno stile "te lo avevo detto che sarei tornato", e si siede accanto alla mia caviglia con un bicchiere di ghiaccio tra le mani.
<<Hai qualcosa con cui avvolgerlo? Non posso metterlo direttamente a contatto con la pelle>>
Apro lo zaino, ma dentro ci sono soltanto una bottiglietta d'acqua e un libro di scuola.
Scuoto la testa e lui si fa pensieroso. Si guarda intorno, poi si morde un labbro, posa il bicchiere per terra, porta le mani ai lati della sua maglietta, e se la toglie.
Oh.
Oh, cielo.
Un ragazzo si sta spogliando davanti a me.
Non oso immaginare la mia espressione in questo esatto istante, e se lui se ne accorge decide di far finta di nulla. Avvolge invece il ghiaccio nella maglietta, e me lo accosta alla caviglia.
<<Grazie. E scusa per averti puntato questo addosso>> gli dico, restituendolo.
Lui lo prende, e lo rimette in tasca annuendo.
<<Quindi, è una brutta zona questa?>> indago, tanto per fare due chiacchiere.
<<Be', non è di certo una delle migliori. Come ci sei finita qui? E come sei caduta?>>
<<Io, ehm... stavo facendo parkour>> ammetto pianissimo.
I suoi occhi si fanno interessati. Pensavo mi deridesse.
<<Parkour? Sei venuta qui per fare parkour?>>
<<Si, quello sport dove si corre, si salta e...>>
<<So cos'è>> mi interrompe. <<Soltanto, non me lo aspettavo. Non è una zona dove venire a fare sport, e non da sola soprattutto, avresti potuto farti molto male. E restare qui chissà per quanto tempo. E incontrare gente davvero pericolosa>>
<<Non ricordarmelo>> gemo, massaggiandomi la tempia.
<<Io sono Mason>> si presenta poi, allungando una mano.
<<Avery>> replico stringendola.
Altra stretta allo stomaco.
E poi ancora silenzio. Lui abbassa lo sguardo sulle sue scarpe vecchie, e il mio finisce inevitabilmente sul suo petto e sul suo stomaco, dove intravedo dei lividi violacei.
Mason se ne accorge, e mi fissa, quasi aspettando la mia reazione.
Mi sembra stupido far finta di niente adesso.
<<Sono il motivo per cui vai in giro con un coltello?>> intuisco.
<<Si. Non guardarmi così, gli altri sono messi peggio>> scherza, provando a farmi sorridere.
Ma quel divertimento non coinvolge i suoi occhi ora molto tristi, e io non posso evitare di chiedermi cosa nasconda. Quale sia la sua storia.
La sua storia di sicuro parecchio  differente dalla mia.
Conosco un ragazzo da meno di un'ora, e già voglio sapere tutto di lui?
È normale?
Non oso chiedere nulla però.
<<Quanto è lontana casa tua da qui?>>
<<Almeno mezz'ora>>
Entrambi ci chiediamo come farò a tornare.
<<Ti porto in braccio, ok?>>
Cosa?
<<No, non devi, è troppo disturbo e...>>
<<Non hai scelta. Non puoi camminare>> mi fa notare.
Non ribatto perché mi rendo conto che ha ragione.
<<Ti aiuto a metterti in piedi>>
Prendo le sue mani, mi alzo a fatica, e lascio che Mason mi passi le braccia dietro alle ginocchia e alla schiena per sollevarmi contro di lui.
Non sono mai stata presa in braccio da un ragazzo.
Be'. Mi piace.
<<Non puoi camminare con me in braccio per due chilometri, non ce la farai mai>>
<<Non pesi niente, sta' tranquilla. Dimmi che strade devo prendere>>
Rassegnata -piacevolmente rassegnata- mi aggrappo alle sue spalle e gli do le indicazioni necessarie.
Intanto, il suo odore mi investe in pieno e il suo calore mi da alla testa.
Sono felice che stia facendo buio, perché temo di essere arrossita come una mela rossa più che matura.
<<Ti capita spesso di salvare ragazze ferite?>>
<<Purtroppo no>> ammicca.
<<Sono sicura che avevi di meglio da fare che star dietro a me>>
<<In verità, no>>
Poi noto che il suo respiro si è affaticato, e nessuno di noi parla più.
Mi faccio lasciare sul vialetto di casa circa mezz'ora dopo, e zoppico verso la porta mentre lui si mette le mani nelle tasche e scruta la mia casa.
Se è davvero della zona in cui mi ha trovato, immagino che questo sia lusso per lui.
<<Mi dispiace che tu debba farti un'altra mezz'ora per tornare indietro. Non so davvero come ringraziarti. Sono in debito>>
<<Ho solo fatto una buona azione. Mi ripagherà il mondo>>
Annuisco, e ricambio il sorriso.
<<Magari ci rivedremo>>
Abbozza un altro sorriso, e mi guarda come se fossi una piccola ingenua.
<<Non credo, Avery>>
<<Perché?>> mi esce di getto.
<<Perché tu appartieni a questo posto. E questo posto non ha niente a che vedere con il mio>>
Non so cosa dire, perciò resto in silenzio.
<<Mi ha fatto piacere conoscerti però>>
Sembra una di quelle stupide frasi fatte, ma il suo tono e l'espressione sul viso mi suggeriscono che è sincero.
<<Ha fatto piacere anche a me>>
E anche io sono sincera.
<<Ciao, Avery>>
<<Ciao, Mason>>
Fingo di perdere tempo per aprire la porta, e intanto lo guardo mentre si allontana.
Questa giornata è stata meglio di qualsiasi botta di adrenalina.
Eppure, adesso non sono soddisfatta come al solito.
Credo di provare qualcosa di simile alla malinconia.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Apr 27, 2020 ⏰

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