Capitolo 6.

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Sbuffo mentre raccolgo l'ennesimo pezzo di carta e lo infilo in una bustina. Dietro di me, Lucian si trascina svogliatamente con le mani infilate nelle tasche dei jeans. La pressione delle braccia gli ha leggermente abbassato i pantaloni, e se mi volto riesco a vedere la piccola fetta di pelle tra la maglietta e i boxer che mi fa imbarazzare. Ma non mi volto. Perché dovrei? Non ho nessuna intenzione di guardarlo!

«Vuoi renderti utile?» gli dico invece, ripetendo quelle parole per la quarta volta. Da quando abbiamo iniziato non ha fatto altro che stare in silenzio dietro di me. La sua presenza alle mie spalle mi mette un po' l'ansia, ma non ha più fatto cose strane da prima. Forse mi sono immaginata tutto per la paura. Forse non ha mai avuto cattive intenzioni in quel corridoio ieri.

«Mi sto rendendo utile. Ti sto degnano della mia compagnia.» Sbuffo ancora. «E poi la visuale che ho da qui quando ti inchini è insostituibile.»

Mi blocco, incredula a ciò che le mie orecchie hanno ascoltato. Lentamente mi volto e seguo la direzione dei suoi occhi. Sono puntati sul mio sedere. Sono così sbalordita e indignata che non riesco a muovermi. Ecco perché se ne è stato lì dietro tutto il tempo!

Torno in piedi e senza accorgermene sto alzando una mano per colpirlo. Non sono mai stata un tipo violento, ma l'impulso è stato più rapido di qualsiasi altro pensiero. Nonostante ciò, però, la sua mano è sul mio polso per bloccare il colpo prima che questo possa arrivare.

«Non ci provare. Non sai chi hai davanti» dice freddamente, muovendo appena le labbra. La sua voce è molto più profonda di prima, quando stava scherzando, e mi riverbera in testa.

«Va' a quel paese» gli dico, e cerco di sottrarmi alla sua presa. Mi lascia andare e riesco a riprendere la distanza di sicurezza da lui. Non so cosa sia appena successo, ma mi è parso così freddo, così... malvagio.

«"Va' a quel paese"? Cos'hai, dieci anni?» mi prende in giro lui. Ora la sua voce è completamente diversa, e anche la sua espressione. Meno fredda, meno... letale.

Mi volto e ricomincio a pulire senza dirgli altro, un po' perché sarebbe inutile e un po' perché mi spaventa il lato oscuro che è appena uscito fuori. Quando mi abbasso, cerco di farlo in modo che lui non abbia la visuale completa del mio fondoschiena.

«Che noia» si lamenta dopo un po'.

«Non siamo qui per divertirci, ma per scontare una punizione» gli faccio presente. «Insieme» ribadisco.

Lui fa un sorrisetto che vedo con la coda dell'occhio. «Ci sarebbero altre cose che vorrei fare insieme, di certo non questa.»

«Sei terribile!» sbotto.

«Grazie per il complimento.»

Trattengo un ringhio. «Se non volevi scontare la tua punizione non avresti dovuto metterci nei guai!»

Lui non nega, si limita a scrollare le spalle, come se sapesse già che è tutta colpa sua. «Era una cosa che dovevo fare.»

«Che cosa?» dico sbalordita, ma lui non mi risponde.

Per quanto insista, non fa più parola sull'argomento, e alla fine l'ora giunge al termine e noi rientriamo. Gabriel mi accoglie con la preoccupazione sul volto, quasi abbia temuto che la punizione fosse troppo dura per me. Alla fine ha stilato la mappa concettuale con la compagna di banco di Lucian, ma non esita a condividermela per aiutarmi.

Per quanto riguarda il ragazzo dagli occhi di ametista, non mi parla più per tutto il resto della mattinata, ma io non riesco a togliermelo dalla testa, nonostante i vari tentativi di Gabriel di farmi sorridere.

Quando arriva l'ora di pranzo entro in mensa. Azure non è con me e io non ho altre amiche altrettanto strette, perciò mi riempio un vassoio delle prime cose che mi capitano e levo il disturbo. Con la coda dell'occhio, prima di uscire dalla stanza scorgo Lucian, che mi attira quasi come una calamita. Guardo meglio e scorgo alcune ragazze al suo tavolo, tra cui una talmente bionda da poter passare per albina – mentre in realtà è solo ossigenata – e le labbra piene di rossetto nonostante stia mangiando. Stacey. Dovevo immaginarlo che gli avrebbe ronzato attorno, con quegli occhi dalle ciglia finte e le guance ricoperte di trucco appiccicoso.

Se separati mi danno sui nervi, insieme costituiscono un'accoppiata di arrabbiature e stress, quindi me ne vado in fretta prima che si accorgano che li ho visti. Peccato che Lucian per un attimo incrocia il mio sguardo.

Mi sistemo sulla panchina vicino l'entrata e respiro la tranquillità di fuori, ma proprio quando sto per dare un morso al panino, una voce mi interrompe.

«Brutta giornata?»

Alzo gli occhi e li stringo per guardare la figura che ho davanti controluce. Non ci vedo bene, ma ormai ho imparato a riconoscere la voce di Gabriel, anzi più che altro il tono gentile che la caratterizza.

«Lo era» gli dico. Guardo lo spazio vuoto sulla panchina per invitarlo a sedersi, e lui non se lo fa ripetere.

«Ora non lo è più?»

Mi sento un po' in imbarazzo a dire ad alta voce che sto meglio perché c'è lui, ma in fondo è la verità e non c'è alcun male, no? Ma non lo conosci nemmeno! fa una vocina nella mia testa. È vero, lo conosco a malapena, ma non posso ignorare la tranquillità che mi infonde quando è nelle vicinanze.

«A che pensi?» insiste.

Decido di rispondere alla domanda di prima, che è un po' anche la risposta a questa. «Mi trovo bene a parlare con te. Mi sento a mio agio» gli rivelo, senza sapere nemmeno perché. È come se non possa tenermelo per me.

Faccio per dire altro, ma improvvisamente la sua mano è sulla mia e la riscalda, proteggendola dal vento autunnale. I miei occhi corrono subito su quel contatto improvviso mentre il mio cuore perde un battito.

«Tu mi hai aiutato senza pensarci due volte ieri. Sono felice di poter ricambiare almeno un po'.»

Annuisco senza saper bene cosa pensare. L'intimità della situazione è qualcosa che mi avrebbe messo tremendamente a disagio con chiunque, ma con lui per qualche motivo sembra così normale.

Lui sorride, dando vita a due adorabili fossette. Mi guarda il collo e sento quel punto riscaldarsi.

«Hai davvero un bel ciondolo» dice. «Non permettere mai a nessuno di togliertelo.» Quest'ultima parte è sussurrata, quasi fosse un segreto.

«Ti ringrazio» rispondo in imbarazzo.

«Gabriel...» Vorrei chiedergli di più su di lui. Vorrei chiedergli da dove viene e qualcosa sulla sua vita, ma le parole mi muoiono in bocca.

Il freddo che mi circonda improvvisamente  dall'alto come una cascata mi spezza il respiro, e quando cerco di riprenderlo l'acqua mi entra nel naso. Un secondo dopo goccia ai miei piedi e io posso riprendere aria, ma tutto ciò che posso fare è tremare come una foglia. E guardare su.

Sul davanzale della finestra al primo piano – quella del bagno delle ragazze – se ne sta ribaltato un secchio vuoto dal quale colano le ultime gocce dell'acqua che mi ha infradiciata.

La mia visione trema per l'ira, ma un attimo dopo riesco a vedere qualche ciocca di capelli biondissimi che viene scossa dal vento. Mi alzo e niente esiste più per me, se non le due ragazze che stanno alla finestra cercando di non farsi vedere. Stacey e la sua amica, Hailey.

«Aziel, non...»

Ignoro Gabriel e parto come una furia. Questa me la pagano.

Lucifer - Daemon eyesDove le storie prendono vita. Scoprilo ora