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Alla fine, dice, gli piace il lato di se stesso mostrato nel post di Swift. Da bambino, si metteva i brillantini sugli occhi per far ridere i genitori. È cresciuto con quindici cugine, «intrecciando capelli e pitturando unghie. Forse ho un lato un po’ più femminile – ma è così. Ecco perché sono diventato come sono».
Sta iniziando ad apprezzare il fatto di abbassare la guardia anche nella musica. In My Blood – la più grande hit del nuovo album, con oltre trecento milioni di ascolti su Spotify – si distingue per le chitarre spacca-arene e il ritornello in stile King of Leon, ma anche per il suo testo disperato:”Disteso sul pavimento del bagno, non sento nulla/Sono sopraffatto e insicuro, datemi qualcosa/Che possa prendere per placare lentamente la mia testa./Bevi qualcosa e ti sentirai meglio./Portala a casa e ti sentirai meglio./Continua a dirmi che va meglio./Succederà mai?”

Quando a marzo è uscita la canzone, Mendes era al cinema a vedere Tuo, Simon – una commedia drammatica su un adolescente introverso la cui identità sessuale viene scoperta dai compagni di classe. Durante la proiezione ha avuto un attacco di panico ed è dovuto uscire prima. Poi è andato su Twitter e ha trovato messaggi di gente che si immedesimava nel suo pezzo, dagli amici fino a una donna che l’aveva fatta ascoltare alla figlia in ospedale. È rimasto in piedi fino alle tre del mattino per leggere i commenti. «Sono crollato nella mia camera d’albergo» racconta. «Ho iniziato a piangere, e il mio pensiero era: “Ecco perché parli di cose che sono vere. E non chiederti mai più se è il caso di scrivere cose vere”».

Da qualche parte sopra l’Europa centrale, a bordo dell’Embraer 650E c’è un po’ di trambusto. Dalla toilette arriva una sequela di urla e rumori sordi. Una hostess bussa alla porta per vedere cosa sta succedendo, ma non è nulla di allarmante: è Mendes, rinchiusosi in bagno con la chitarra acustica per cercare di scrivere un pezzo. Lui recepisce il segnale e va a rilassarsi nel salottino del jet da quattordici passeggeri. «C’è una grande influenza di Taylor Swift» mi dice degli ultimi brani a cui sta lavorando. «Ne registro una versione grezza col telefono, e se mi ritrovo ad ascoltarla per più di una settimana allora significa che è buono».
Il jet privato è una novità per lui. Di solito viaggia con voli di linea, ma la sua etichetta ha speso migliaia di dollari per fargli toccare diversi paesi – Danimarca, Portogallo, Ungheria, Regno Unito, Canada, Stati Uniti e Giappone – per una serie di esibizioni in festival e programmi televisivi. Intanto, il suo staff se la sta godendo: Stirling, il responsabile del marketing, sta assaggiando il piatto di pesce, mentre Mendes e altri discutono su chi vincerebbe una sfida uno contro uno tra Michael Jordan e LeBron James. (Mendes sta con LeBron.)
Pochi anni fa, era il 2014, Mendes ha fatto il suo primo viaggio di lavoro, per un evento itinerante chiamato MAGCON, che permetteva ad adolescenti con un largo seguito sui social di incontrare i loro fan. Mendes ricorda l’invito ricevuto da una di quelle star, Cameron Dallas, un ragazzino fotogenico famoso per fare scherzi ai suoi famigliari: «Mi ha detto, ehi fratello, ti daremo duecento dollari per incontrare cinquecento ragazze».

All’epoca Mendes stava cominciando a guadagnare popolarità su Vine. Aveva tentato di caricare della musica su YouTube, con scarso successo, ma ora stava attirando decine di migliaia di like al giorno facendo cover di pezzi come As Long as You Love Me di Bieber, Hello di Adele e Don’t di Sheeran. I suoi video duravano soltanto sei secondi, sebbene alcuni fossero stati realizzati in sei ore. «Era una faticaccia, ma ne valeva davvero la pena» ricorda. «Le suonavo, e poi continuavo a rifarle finché non avevo sensazioni positive, che fosse per come sorridevo verso la videocamera o per il tono della mia voce».

Al primo evento di MAGCON, a Dallas, insieme al padre avevano incontrato tipi come Nash Grier, diventato famoso su Vine vandalizzando supermercati e ricoprendosi il volto di farina. La maggior parte delle celebrità dei social intratteneva i fan saltando dai trampolini o ballando molto male. Il fatto che Mendes suonasse la chitarra in maniera accettabile, era un notevole plus. «Eravamo degli animali da zoo. I fan ci fissavano e scattavano foto insieme a noi. Facevamo qualunque cosa ci chiedessero».
Mendes ritiene che al suo primo spettacolo ci fossero 500 persone. Nella città successiva erano 800, e in quella dopo 1300. Andrew Gertler, un giovane responsabile del marketing al Warner Music Group, chiese alla famiglia di permettergli di occuparsi di Shawn dopo aver assistito a una di quelle esibizioni. A distanza di pochi mesi, gli organizzò un incontro con David Massey, che dieci anni prima aveva scoperto i Jonas Brothers e che all’epoca era un dirigente della Universal. Nell’estate dopo la seconda superiore, Mendes era in tour con la Swift. «Ero andato solo a un paio di feste, e poi avevo smesso di andare a scuola» dice. «La festa successiva a cui ho partecipato è stata quella di Taylor Swift, e cazzo, c’erano Beyoncé e Jay-Z».

Nel 2016 Vine ha annunciato la chiusura della piattaforma, ma ormai Mendes aveva voltato pagina. «Quando ho cominciato a parlare con Shawn, una delle prime cose che gli ho detto è che avrebbe dovuto costruire qualcosa per sé» racconta Gertler. «Guardo al rapporto tra John Landau e Bruce Springsteen. Saremo capaci di fare tournée per oltre quarant’anni?». Si sono subito trovati d’accordo sul fatto che Mendes avrebbe avuto sempre con sé la chitarra, evidenziando che era lui a scrivere le sue canzoni.
Anche la sua personalità socievole e aperta che aveva fatto centro a MAGCON è stata d’aiuto. «Avrebbe potuto comportarsi da stronzetto, perché giovane e famoso» spiega Sheeran, diventato nel frattempo un amico e una figura di riferimento per Mendes. «Invece, è davvero uno dei tipi più affabili dell’industria musicale».
Il jet atterra a Budapest, e il telefono della sua guardia del corpo suona quasi all’istante. «Ci sono dei fan» dice. Shawn fa passare i suoi bagagli dai controlli della sicurezza e si esamina subito allo specchio, pettinandosi all’indietro con la mano. «You got the look» canta con un falsetto alla Prince. Dal parcheggio si alza un’ondata di grida. Centinaia di ragazzine con il telefono pronto, che scandiscono il suo nome e urlano: «Ti amo!».

Si fa immortalare con ognuna di loro, il sorriso stampato sul volto. Dopo essere riuscito a farsi largo, manda un ultimo bacio da lontano e sale su un altro van. «Ma qui sono tutte così belle?» dice. «Mi sono imbattuto nel paese più meraviglioso del mondo, o cosa? Hanno tutte splendidi occhi azzurri». Si infila gli auricolari e chiude gli occhi mentre passiamo davanti a edifici gotici di pietra. «È davvero bello qui» dice prima di tornare silenzioso per un po’.

Il giorno dopo, Mendes è seduto sul bracciolo di un divano giallo dentro una roulotte al Sziget Festival, e discute delle sue capacità culinarie. Eventi come questo – una festa di una settimana su un’isola in mezzo al Danubio, una sorta di Burning Man dell’Europa dell’Est – sono una priorità per lui se vuole allargare il suo pubblico, e questo include rapide interviste con la stampa locale che vuole sapere quali siano il suo attore preferito (Jake Gyllenhal), i suoi hobby («Adoro il fitness») e la sua soluzione al problema della povertà nel mondo.
In questo momento Mendes non è dell’umore giusto. Ha passato tutta la notte sentendosi depresso e stamattina la sua voce non era al massimo, e in più il reporter ungherese continua a tempestarlo con domande assurde. «In realtà, sono un pessimo cuoco» risponde. «È un’informazione non veritiera quella che ha».
E quindi cosa cucina? «Uova strapazzate. Non sono bravo a cucinare, l’ho appena detto».
Il cronista insiste. Come ti trovi a essere definito il nuovo Justin Bieber? «Adoro Justin» risponde con voce piatta.

Quando due ore più tardi comincia il suo show, è di nuovo al massimo del suo fascino. «Cantate!» grida mentre sale sul palco con una tenuta alla Springsteen, maglietta bianca e jeans stretti. In seguito, durante Youth – un inno accorato scritto dopo l’attentato al concerto di Ariana Grande a Manchester dello scorso anno – china la testa e strimpella una sola corda della sua chitarra acustica. Rimane su quella corda per un lungo momento, toccandola in maniera sempre più intensa. Sembra che si stia togliendo un peso.
Dopo il concerto, Mendes resta nella lounge del backstage sotto un albero adornato con luci natalizie. Mi dice di sentirsi giù, che il caldo e il viaggio lo hanno sfinito. «Hai presente quando ti trovi uno stato di infelicità e non avresti nessun motivo per esserlo? È una cosa che odio». Ha un trucco per quando si sente così: «Lo so, può sembrare ridicolo, ma è dimostrato che funzioni per scacciare la depressione. Mi metto davanti allo specchio vestito così, e comincio a scuotere la testa, tiro fuori la lingua e mi immagino in uno stadio pieno di gente che mi ama».

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