«Monica Dovizioso, Dio mio! Quando ti deciderai a cambiare atteggiamento?».
Sua madre la stava fissando dall'alto: uno sguardo infuocato, privo di emozione, tanto differente da quello dolce, caloroso e colmo d'amore di suo padre, sembrava stesse per annientarla. Un vento gelido le sfiorò la pelle candida, smuovendole il vestitino bianco, macchiato di fango.
«Scusa, mamma...», la bambina abbassò il capo verso la terra densa che le sporcava i piedi nudi, gli occhi fissi sull'orsetto rovinato che giaceva, ormai distrutto, accanto ad un piccolo germoglio che dì lì a poco fuoriusciva dal giardino.
«Lasciamo perdere, sei un caso perso!», la lapidò l'altra, con un tono tagliente, anch'esso privo d'emozione, voltandole le spalle per dirigersi verso la scala di legno del ristretto portico, a pochi centimetri da loro. «Come lo era tuo padre, del resto ...» aggiunse, quasi sottovoce, ma abbastanza chiaramente da permettere alla piccola di udire quelle parole che, come una scarica di mille proiettili, le giunsero addosso spietate, infuocate, talmente dolorose da farle offuscare la vista di lacrime amare.
Un'essenza d'odio si era liberata nell'aria, rimanendo allo stesso, identico posto, come una nuvola di sostanza tossica, persino dopo che sua madre si era rintanata in casa. Un'altra cicatrice le marchiò il cuore, accanto alle piaghe del passato, ancora fresche. Le gambe cedettero sotto il peso di quel dolore, e le ginocchia si scontrarono contro l'erba bagnata.
Nascondendo il viso tra le mani, la bambina si lasciò andare ad un pianto disperato, sebbene cauto e silenzioso: doveva stare molto attenta a piangere soltanto quando nessuno era in grado di vederla.
È nella natura dell'essere umano non pensare a nessuno al di fuori di sé stesso: puro istinto di sprovvivenza. Proprio come il "stai bene?", che con il passar del tempo diventa una semplice formalità e nient'altro se non questo.
«Ehy, sorellina.»
Una voce dal suono dolce e familiare le fece sgranare gli occhi di colpo. Qualcuno la stava osservando...
D'istinto, le bimba smise di piangere, ricacciando indietro, con tutte le sue forze, le lacrime amare che le appesantiviano la gola: tuttavia, il sordo suono dei suoi singhiozzi la tradiva.Attraverso il velo di pianto che le sfocava la vista, si focalzzarono i lineamenti di un bambino, di qualche anno più grande. Sedeva inginocchiato di fronte a lei, le sopracciglia corrugate, ed un' espressione preoccupata dipinta in volto.
«Sorellina, perché piangi?», domandò ingenuamente il bambino, ed una mano dalle lunghe dita andò a sfiorare la guancia bagnata e paffutella della più piccola. Egli spazzò via le sue lacrime, studiandone attentamente gli occhi tristi e lucidi.
«N-on s-sto pian-..gen-..do...», balbettò lei, scuotendo energicamente la testa, come per tentare di convincere entrambi.
Andrea, così il giovane si chiamava, posò lo sguardo sui resti del peluche distrutto che giaceva accanto a loro. Lo raccolse delicatamente, analizzando i pezzi scuciti e polverosi sparpagliati intorno: era l'orsetto che suo padre le aveva regalato il giorno del suo primo compleanno, lo ricordava bene. Come aveva fatto a ridursi in quel modo?
«Ridammelo! Ridammelo, cattivo! È mio!», gridò Monica, tra le lacrime, colpendo le gambe di suo fratello con i piccoli pugni chiusi.
Andrea sorrise, sincero, osservandola lottare contro di lui come una minuscola trigre. Era proprio vero, pensò: chi non comprende quanto un fratello ed una sorella possano amarsi al punto da volersi strozzare a vicenda, molto probabilmente è figlio unico.
«Sssh... traquilla, non voglio fargli del male, voglio solo cercare di aggiustarlo.» La rassicurò, carezzandole i riccioli neri con il palmo aperto. Lei, di colpo, smise di agitarsi, sotto il calore di quel tocco: era dolce, sincero, pieno d'amore e privo di cattiveria, esattamente come quello di suo padre.
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Faster | MotoGP
Fanfiction''Il vero disastro, è che io mi sono innamorata della parte peggiore di te.''