PREFAZIONE
Gravissimi incidenti dopo il divieto di Cossiga alla manifestazione per il 12 maggio
ANCORA GUERRA A ROMA
Una studentessa di 19 anni uccisa e molti feriti dopo le cariche della polizia contro i radicali
(LA REPUBBLICA, 13 maggio 1977)
Il cadavere ritrovato in un’auto a pochi metri dalle sedi della Dc e del PCI
LʹASSASSINIO DI MORO
Il paese reagisce compatto alla sfida delle Br
(LA REPUBBLICA, 10 maggio 1978)
Sono passati più di trent’anni e ancora tutta quella serie di eventi che ha caratterizzato l’Italia degli “anni di piombo” e che è culminata nel caso Moro, rimane per molti versi un mistero quasi irrisolto.
Molto si è scritto, troppo si è detto, ma il punto di vista era ed è quasi sempre quello della storia, della politica; ma quale è stata la reazione di chi quel 12 maggio 1977 in piazza Campo deʹ Fiori, tra una pioggia di pietre e il fumo dei lacrimogeni, c’era?
Come poteva vivere questi eventi un bambino di otto anni (e mezzo) e come gli potevano apparire vicende così insensate anche per la logica di un adulto?
Possiamo farcene un’idea sfogliando le pagine di questo breve racconto dove, tra i ricordi d’infanzia delle estati passate a raccogliere granchi con il nonno sul lungomare della periferia romana e le passeggiate familiari con il canetto giallo, emerge lʹanalisi delle più importanti vicende della fine degli anni settanta fino ad arrivare, allʹinizio degli anni ottanta, alla lunghissima ed estenuante diretta televisiva che ha tenuto tutta l’Italia incollata allo schermo: il tentativo di salvataggio, miseramente fallito, del povero Alfredino Rampi caduto in un pozzo a Vermicino.
Tutto questo raccontato Con gli occhi di un bimbo.
CON GLI OCCHI DI UN BIMBO
All’Italia, il (bel) paese che mi ha visto nascere
e che di sicuro non si fermerà, un giorno, vedendomi morire…
Il bambino passeggiava col suo cane, fiero, sereno, ad un’ombra e mezzo dal nonno. Lillo era un canetto giallo, senza razza (o forse dentro di se ne aveva soltanto troppe), senza altri pensieri per la testa se non quello di vivere per giocare con il suo padrone, con la sua famiglia adottiva! Lillo, infatti, era un cane molto diverso dagli altri, non aveva dei padroni, lui. Soltanto un nonno, un papà, una mamma, un fratellino e una sorellina “a due zampe”! Forse di un’altra razza, loro, oppure soltanto una diversa evoluzione di una delle sue, chissà…
Era un bastardino, Lillo, o meglio un incrocio, come il bambino preferiva chiamarlo, ritenendo offensiva l’altra definizione. Un incrocio, proprio come quelli delle strade! Che buffa gli sembrava quella parola quando era riferita al suo cane “Sempre meglio di bastardo, e forse anche Lillo preferisce essere chiamato così!” Il bambino si domandava spesso cosa pensasse Lillo. Cosa pensasse di se stesso, del suo nome un po’ ridicolo, della vita, dei suoi pasti abbondanti e strani, in tutto simili a quelli dei suoi fratellini a due zampe, forchetta a parte. Già, a volte il bambino pensava che l’unica differenza tra se stesso e il cane fosse in quel piccolo e insignificante dettaglio: l’uso della forchetta! Era per questo che il suo fratellino peloso non poteva stare a tavola insieme a lui e a tutta la famiglia, nonostante fosse più buono, più garbato, più intelligente e disponibile di lui, di sua sorella e di tutti gli altri commensali!