L'acuto strillo della campanella, poi la generazione dell'impossibile uscì urlante per il cortiletto, lasciandosi alle spalle la scuola. La loro età era quella giusta, quella in cui tutto è realmente possibile: puoi diventare un astronauta, un cowboy, un assassino. Erano in tempo per percorrere le strade che la vita ancora per un po' gli avrebbe lasciato aperte. Avrebbero potuto fare di tutto. Avrebbero vinto e avrebbero perso, sarebbe arrivato l'amore e da lì a poco le loro mani avrebbero sudato, i visi sarebbero diventati rossi e il cuore pronto a schizzare dal petto e ancora le mani, pronte a strapparlo, quel cuore, se avesse continuato a battere così forte. Le campane finirono di strillare e ricordo ancora il colore del cielo. Era grigio, quel grigio che non avevamo mai conosciuto. Quelli lì in alto erano nuvoloni spessi e carichi d'acqua e lo stesso vento che tirava forte, non riusciva a spostarli. Erano le 13.45, la campanella aveva finito di strillare quando cominciò la gente.
Le 8 in punto e il mattino non si accendeva della solita luce settembrina. Quella luce che sta in bilico fra un autunno che ha fretta e un'estate invadente. Il cielo restava spento e la generazione dell'impossibile entrava a scuola, salutata dal sorriso benevolo del vecchio preside:
<<morirò presto, ma esattamente come loro. Con l'animo che si stupisce per ogni cosa. Per ogni arcobaleno e per ogni temporale... per ogni estate e per l'ultimo mio autunno>>.
Il sorriso perdurava sulle sue labbra, mentre avanzava sorretto da un vecchio e rugoso bastone. Il bidello si aggiustò il berretto e scosse il capo, togliendo il paffuto indice dall'interruttore che azionava lo strillo che dava inizio a un altro giorno di scuola <<svelti, svelti!>> esclamò battendo più volte quelle mani ruvide e callose. <<aaah. Che tempaccio oggi, signor preside>>.
<<E' finita la bella stagione, mio caro. Il cielo promette acqua>>;
<<Lo spero. Qui non piove mai...>>.
Quella mattina come le altre, le cose andavano per il solito verso; c'è chi dice per quello giusto: i bambini entrarono a scuola e come ogni volta si parlò del tempo, del sole e della pioggia... il sole e la pioggia, si. Sono loro che fanno parlare quando non c'è niente da dire e si sta chiusi in un'ascensore. Sono loro che fecero parlare, in quel caso, un preside acciaccato dall'età e un bidello che dimostrava una decina d'anni in più di quelli che realmente portava sullo stomaco.
Intanto da qualche altra parte...
<<E' più o meno così che andrà a finire>> osservò con raucedine un uomo curvo su una macchinetta da poker, sistemandosi la montatura d'oro degli occhiali quando arrivò la risposta annoiata del commesso: <<se lo dici tu. Vuoi altri gettoni?>>;
<<si. Oggi la fortuna mi dice poker d'assi>> disse Rock.Ore 11 e la maestra era un po' nervosa con Raffaele, che subì un ceffone in pieno volto. Volto che iniziò a raggiungere quella lieve tonalità di rosso. La classe si zittì e Raffaele aveva avuto solo un'incertezza, una banale e stupida incertezza che adesso gli faceva mordere il labbro inferiore mentre una lacrima percorreva la curva del suo volto paffuto. <<ma-mamma>>. Frignò il piccoletto cercando di darsi un contegno, di riempirsi d'orgoglio. Un orgoglio che conosce bene un bambino di appena sette anni che porta il peso delle attenzioni crudeli dei compagni.
<<Non vorrai iniziare a piangere, adesso?! Per l'amor del cielo>> replicò la maestra, accomodandosi alla cattedra con grande classe... un portamento fisico che non pareggiava con la sua integrità morale. Nel mentre Raffaele abbassò il volto, strinse i pugni e tirò su col naso. Rimase in silenzio, impassibile, mentre Giulia all'ultimo banco sbuffava preservando la sua immatura bellezza e il disinteresse per il mondo <<Sharon... sta per piovere>>.
<<Giulia, qui non piove mai.>>
La lancetta dei minuti completò il suo giro ed erano le 12 in punto. Il preside puntava i suoi gomiti sulla scrivania in mogano e chiudendo gli occhi si pronunciò con un <<Avanti>>.
<<Signor preside, abbiamo bisogno di lei per la foto>>. La segretaria si espresse con freddezza. Aveva un buio negli occhi che avrebbe fatto deglutire anche i più forti d'animo.
<<Ricordi alla mia stanca e povera mente di cosa si tratta...>>
<<Foto annuali. Le quinte sono in cortile>>
<<Perché in cortile? Il cielo promette acqua>> contrariato si alzò a stento dalla sedia.<<Qui non piove da un pezzo>> gli rispose la segretaria, portando via con sé un ghigno.
<<Vuol dire che se vogliamo un arcobaleno lo immagineremo>>. Si rimise a sedere.
Io continuo a scrivere, a raccontarvi questa storia mentre i miei ricordi sfuggono. Forse devo fare in fretta, prima che nel mio cervello non resti più un'istantanea che vi suggerisca quello che dovete sapere. Forse ero uno dei bambini, magari il vecchio preside che spera nell'arcobaleno, o semplicemente sono sempre stato al di sopra di tutto e in un lampo sto per consumare l'ultima scintilla della mia essenza. Forse ero Rock, il giocatore di poker incallito che camminava proprio alle 13:30 davanti al campanile della chiesa che segnava l'orario. Quel campanile... lui è l'unica cosa che ricordo con certezza. Potrei disegnarne i contorni e lo stile, senza ricordare neanche una delle facce della gente che cominciò a scappare invano.
Rock tirò fuori un vecchio orologio tondo da taschino. Probabilmente un ricordo del padre. Con quel gesto sembrò volersi accertare se l'ora che segnava il grande orologio fosse quella esatta ed era proprio così, mentre la sua sigaretta si consumava più velocemente per colpa del vento.
<<Sai che oggi è il mio turno. Tocca a me prenderlo>>. Irritato, avvicinandosi a una mamma in mezzo alle altre, che si intratteneva in chiacchiere poco prima che la campana suonasse.
<<puoi sempre salutarlo e andare via. Se non gli farà schifo il tuo alito>> Lei non si curò della presenza di altri occhi e questo fece imbestialire Rock: le sue labbra si bagnarono di saliva e i denti ingialliti dal fumo e da una scarsa cura, furono evidenti.Erano le 13 e 43, mancavano due minuti alla fine e i miei ricordi si fanno da qui in avanti ancora più cupi mentre il tempo si ripiega sullo spazio, un mondo si accavalla a un altro e si vede più di una luna in cielo.
13 e 44 e non mi resta più tempo... sembra che io non stia raccontando, ma stia vivendo ciò che realmente scrivo. Le parole vanno sempre molto veloci per essere trascritte nella loro interezza. Solo impressioni, disagi, vuoti all'anima.
Ci fu un urlo collettivo e il tempo si fermò, le immagini sbiadirono fino a diventare grigie, poi nere, il nulla. Tutto era scomparso ed ero... sono scomparso anch'io. Morto sulla mia scrivania, col bastone che mi scivola di mano... Una sola domanda ancora mi pongo, mentre cammino sempre più veloce in questo vortice nero con una luce bianca in fondo... E' ancora troppo piccola.<<Sono stato io a morire o il mondo ha cessato di esistere? >> adesso non so più chi sono, chi ero... E questi, i miei ultimi ricordi, probabilmente saranno inviati alla mente di qualcuno, come se fossero i propri, in uno dei tanti mondi possibili.
<<Matricola 56047M>> recitava una voce atona e femminile da quello che probabilmente era una sorta di altoparlante <<Procedure di recupero attivate, rigenerazione del programma in corso. Origine: Terra. Abitanti 12 miliardi. Razza umana, genere pericoloso. Cancellazione in corso, esplosione fra 3, 2, 1... che Lui ci perdoni>>.
Adesso. La Luce mi abbraccia.
STAI LEGGENDO
Quando l'inizio ebbe fine (COMPLETO)
Science FictionLa vita di un vecchio preside sembra essere legata a doppio filo con la fine del mondo. Riuscirà a raccontare un terribile segreto prima che sia troppo tardi?