La capoblocco chiuse la porta con un calcio. Guardai le cuccette scheggiate e le pareti decrepite. Non c'era traccia della mia casa, e ogni minuto che passava c'era sempre meno traccia di me stessa. Isabel si sedette su una cuccetta.«Regola numero uno: non ci si siede». La capoblocco fece scoccare la frusta e lei balzò in piedi. Non c'erano guardie naziste a tartassare la baracca, nessuna SS a controllare dalla porta. Diedi un'occhiata alla capoblocco: braccia ossute ossute incrociate al suo petto, lo sguardo duro. Indossava una stella gialla: era una di noi.
«Regola numero due» continuò, con un forte accento polacco «Se trovo qualcosa nascosto sotto la vostra coperta: un torsolo di mela, un cucchiaino, del sapone...» sollevò una coperta da una cuccetta, facendo fuggire una famiglia di scarafaggi. «Ci saranno delle conseguenze»«Regola numero tre: non si parla» zittì una donna che aveva sussurrato, forse qualche insulto, con uno schiocco di dita.
«Regola numero quattro: vi verrà dato da mangiare tre volte al giorno. Caffè alle cinque del mattino, dopo pranzo e pane a cena. Se sarete fortunate avrete della margarina» La capoblocco indicò una scatola di cartone malconcia sul pavimento. «Prendete una tazza. Tenetela d'occhio. Se la perdete, restate senza mangiare».
Scelsi una tazza arrugginita dalla scatola e, copiando i movimenti della donna al mio fianco, infilai la cintura logora del vestito nel manico, in modo da tenerla appesa in vita.
La capoblocco ci ordinò di uscire e di metterci in fila indiana. Marciammo in silenzio, oltrepassando edifici numerati e senza nome, fino a che non raggiungemmo un blocco con l'insegna "Latrine". Una donna si buttò verso l'ingresso, tenendosi il ventre, ma la capoblocco le sbarrò la strada. «Nessuno entra senza una guardia», disse minacciosa, spalancando la porta per mostrarci una fossa profonda scavate nella terra. Additò la donna. «Tu! Per ultima. Per le altre è ora di cagare».
Dalle latrine ci spostammo in un piazzale polveroso, dove ci fecero aspettare per ore sotto il sole cocente, in modo che le guardie si potessero contare. Di fianco me molte donne madide di sudore, con i volti emaciati e gli sguardi spaventati.
[***]
Il sole scese è il cielo si fece buio. Tornammo al casotto. La nostra cena fu una fetta di pane nero raffermo, sapeva di fango ma lo mangiai lo stesso. Mi arrampicai in una cuccetta insieme ad Isabel. Ero stanca, ma non riuscivo a dormire. Il letto era duro come una pietra e la stanza troppo silenziosa. Ed allora iniziai a pensare, pensai a tutte le persone che adesso stavano comodi nei loro letti puliti e con le lenzuola profumate. Loro avevano cibo, acqua e vestiti puliti. Andavano a scuola e potevano suonare il pianoforte. Eh già, il pianoforte, erano passati cinque giorni da quando non toccavo più il mio pianoforte. Non ero mai stata una sola giornata senza esercitarmi al mio strumento da quasi sette anni. Estrassi il mio Do dall'elastico sfilacciato delle mutande che mi avevano dato e accarezzai il morbido e consumato legno ad occhi chiusi.
Caddi in un sonno difficile e mi svegliai al rumore delle grida. C'era una campanella che suonava, e le ragazze stavano saltando freneticamente giù dalle cuccette e infilandosi le scarpe. Balzai dalla mia, tirai la coperta sulle assi di legno grezzo e seguii Isabel ai lavabi. Alcune donne ci superarono di corsa. Una urinò per strada. Nessuno voleva perdere la colazione.
«Farete la doccia e verrete rasate una volta al mese» la capoblocco era alla porta. «Fino ad allora, a meno che non vogliate puzzare come ratti di fogna, vi suggerisco di trovarvi un rubinetto. Forse vorrete lavare anche la biancheria».Raccolse un paio di mutande dal pavimento infangato e le lanciò alla donna che le aveva scartate. «Non ne avrai un altro paio pulito fino al prossimo mese». Si rivolse di nuovo a tutta la stanza. «E se le lavate farete meglio a riaverle addosso prima di colazione. Non voglio puttane che se ne vanno in giro nude, nel mio blocco»
Guardai le altre donne nude litigare per accaparrarsi un lavandino arrugginito cercando di sfregare con quell'acqua sporca il corpo.
La pelle mi prudeva, e anche la testa, mi chinai sopra un catino e, con le mani a coppa, mi sciacquai il viso.
Inutile, ero più sporca di prima.
Tornai alla baracca e vidi una coppia di gemelle, le stesse che subirono un interrogatorio con un uomo dai buffi occhiali rotondi. Era semplicemente elettrizzato come se non avesse mai visto una coppia di gemelli.
Quando la capoblocco tornò dai lavabi mi misi in fila, con la mia tazza, dietro alle gemelle ed aspettai in attesa della colazione. Ottenni un goccio di acqua nera e fredda, e lo trangugiai. La capoblocco lo chiamava caffè, ma sapeva di sciacquatura di piatti. Una donna esile come uno stecco e con le labbra screpolate piangeva curva sulla sua tazza.
La capoblocco posò con violenza il mestolo «Se lei non mangia, non mangerà nessuno» prese la pentola di acqua nera, aprì la porta con un potente calcio «Fuori! Adesso!» la donna lentamente uscì tremante. Aveva la gonna bagnata, ma non si capiva se a macchiare il tessuto fosse stato il caffè o la paura. La capoblocco la segui fuori e la porta sbattè alle loro spalle. Mi guardai attorno febbrilmente. Non ci era permesso piangere? Che cos'altro non ci era permesso fare? Nessuna incrociò il mio sguardo.
Le poche donne, compresa me, che avevano ricevuto il caffè lo svuotarono bevendo in tutta fretta, prima che la capoblocco tornasse. Una ragazza si era piegata e bere le gocce sul pavimento. Quelle rimaste senza colazione guardavano la porta con rabbia.
«Puttana», sussurrò qualcuna, ma non parlavano della capoblocco. Parlavano della donna che aveva pianto nella sua tazza.[***]
«Nipote, che cosa devo fare per farti togliere il naso da quei noiosi libri?» Chiese esasperato il comandante sbattendo la mano sulla coscia.
Il ragazzo alzò il viso dal libro «Musica, qualcuno che suoni il pianoforte» disse soltanto, ricacciando il viso fra le pagine.
«E musica sia!» Rise il comandante bevendo del vino da un bicchiere di cristallo.
//Spazio autrice//
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•La pianista di Auschwitz• LevixReader
Fanfiction[T/N] ha quindici anni ed è una pianista di talento. È cresciuta in una famiglia ebrea, ma quando la città in cui vive viene rastrellata, dovrà conoscere gli orrori di un campo di concentramento. Lei e sua sorella Isabel dovranno affrontare da sole...