Non ricordava da quanto tempo se ne stava lì seduta, sentiva la testa pesante e l'odore di thè pizzicava la sua fame da più di due ore. Era come se sentisse l'infuso di cannella e vaniglia mischiarsi ed insinuarsi nel suo stomaco, per riempirlo in un modo o nell'altro. Non mangiava da due giorni e non ne aveva voglia, in realtà, ma affrontare un volo di sedici ore con quella dolce fragranza di frutti di bosco, le risultò atroce. Seimila novecento ottantadue chilometri. Irina le aveva dato poche indicazioni e un nome. Sua madre non era mai stata una persona loquace e non lo è stata nemmeno quando sua figlia è partita da Pittsburgh per arrivare all'Aeroporto Polkovo, a San Pietroburgo in Russia. Il mal di testa era diventato opprimente e le era quasi difficile respirare normalmente. Seimila novecento ottantadue chilometri. Era arrivata.
***
Quando la sigaretta si accese, il mal di testa era diventato quasi martellante che le era sembrato di soffocare prima che le porte si aprissero e lei potesse finalmente uscire da quell'edificio pieno zeppo di persone. La nicotina leniva il nervosismo, placava l'ansia e la voglia di strapparsi l'epidermide a morsi. Se ne stava lì, seduta sulla propria valigia e aspettava la persona che l'avrebbe accompagnata nella sua nuova casa, se così la si può intendere. Se ne stava lì e inspirava, inspirava, inspirava quanto più fumo riusciva ad inalare. Le tremavano le mani, faceva freddo. Era l'undici Marzo e lei era talmente scombussolata da non sentire nulla, nemmeno una delle parole nuove che la circondavano. Conosceva il russo, sua madre lo era e molte volte la sentiva cantare in quella lingua ma lei era cresciuta in America, nella sua amata Pennsylvania, con la sua piccola casa accanto al Museo Carnegie. Il caffè da John la mattina prima di prendere il bus e arrivare a scuola, Charlie e i suoi videogame, i suoi sogni strani e l'odore di marijuana nella macchina di suo padre. Le piaceva la sua città, le sue noiose abitudini, le corse nella neve, l'odore costante di pioggia che la faceva sorridere, la zuppa calda di Irina all'ora di cena. Ora tutto era cambiato. Settemila novecento ottantadue chilometri la dividevano da tutto ciò a lei sempre conosciuto e lei si sentiva strana, scomposta, sbandata. Era tutto diverso, anche il freddo russo le sembrava qualcosa di alieno. Senza accorgersene ne accese un'altra e più si guardava intorno e più l'emicrania sembrava pulsare ancora più forte. Vedeva taxi, strade troppo grandi per essere paragonate alla sua cittadina. Aveva un senso di nausea e il tremore delle sue mani non era diminuito affatto.
Si sentiva frustrata, le sembrava tutto così grande.
"Ciao." D'improvviso, una voce carezzevole la raggiunse e quel suono così dolce le sembrò quasi traumatico. Si girò lentamente e davanti a lei si presentò un uomo sorridente, indossando un cappotto scuro e avvolto da sciarpa e cappello che per poco gli nascosero gli occhi. Era alto, troppo per il fisico minuto di lei.
"Tu devi essere Elena, giusto?" Lei notò i suoi occhi gentili e quell'ondata dolciastra quando pronunciò il suo nome la rese quasi arrendevole, pregava per un po' di riposo. Annuì lievemente, ancora aggrappata saldamente alla sua valigia. "Io sono Borislav, ho il furgone parcheggiato dall'altra parte dell'aeroporto. Se vuoi posso portarti la valigia." Elena scosse piano la testa, prendendola e avvicinandosi all'uomo. Il suo forte accento si sentiva ma non le importava. Era un volto amico, una persona gentile, le bastava quello. Aveva il passo svelto, lui, e aveva fatica a stargli accanto. Lui se ne accorse e senza dire nulla, afferrò il bagaglio, continuando a camminare. "Com'è andato il viaggio?" le chiese, di getto.
Elena quasi scoppiò a ridere, non volle nemmeno trattenersi. L'angoscia le divorava le viscere, respirava a tratti e non riusciva a reggere tutto, non voleva.
Il furgone aveva l'aria condizionata e Elena la accese d'impulso, quasi a voler sentire dell'aria calda. Di colpo però se ne pentì subito. Borislav la guardò sereno mentre accendeva il motore. "Tranquilla, l'avrei accesa io."
Era strano come riuscisse a capirla senza che lei parlasse, come non si infastidisse del suo mutismo. Non lo faceva di proposito, non voleva essere scortese ma dopo tutto quello che era successo, dopo tutto quanto, non aveva parlato con nessuno. Voleva solo dormire. "Casa mia forse ti piacerà. Abito in un quartiere chiamato Kolomna, è uno dei più belli qui" parlava tranquillamente lui, come se si conoscessero da una vita. Elena non aveva mai avuto rapporti con la famiglia di sua madre, lei non ne parlava mai ed Elena non aveva mai chiesto nulla. Se ne rese conto solo in quel momento, quel momento di totale smarrimento e confusione, con la voce amorevole di Borislav che le raccontava qualcosa a proposito di un canale Griboedov, che lei aveva vissuto in una bolla. Una bolla costruita in silenzio, con il tempo. Conosceva i suoi nonni paterni, gli zii, gli amici più lontani ma la famiglia di sua madre era come se non fosse mai esistita, non conosceva nessuno. All'emicrania allucinante si aggiunse anche l'incomprensione, facendo diventare tutta quella situazione straziante.
"Ehi" Di colpo Elena fu riportata alla realtà. Si voltò e ritrovò quegli occhi chiari, sereni, quello sguardo fiducioso e lo scontro fra i suoi pensieri fu forte. Come poteva essere tutto così confuso, disordinato? "Va tutto bene, non aver paura." E a quelle parole le venne da piangere, un impulso deciso che però cercò in tutti i modi di fermare. Era vero, aveva paura. Era successo tutto così di fretta che non capiva più nulla. Lo sguardo di Borislav era l'unica cosa nitida, controllata. "Prova a dare un occhiata, siamo quasi arrivati."
Inspirò profondamente, desiderando ardentemente un soffio della sua nicotina e guardò per la prima volta fuori dal finestrino.
L'emozione le tolse il fiato.
Colori, era tutto un colori vivaci, colori spenti, colori delicati, colori tenui, rosso, verde, blu ricoperti da uno strato bianco di neve. Il tempo era limpido ma il vento gelido lo poteva percepire anche da dentro il furgone. Le strade erano affollate, negozi che aprivano, le persone che già di prima mattina toglievano il ghiaccio dalle macchine, Elena era stremata ma allo stesso tempo meravigliata. Passando da un ponte, Elena vide dei palazzi immensi di un rosa pallido, gli alberi avvolti dal bianco facevano da sfondo ad un panorama che iniziava ad esserle più cristallino.
Si fermarono davanti una casa verde. Era un edificio torreggiante, con delle scale prima di un portone di legno scuro. Borislav scese mentre Elena faceva lo stesso. Lo vide prendere le sue cose e andare direttamente verso l'abitazione.
Aprendo l'ingresso principale, Elena si fermò di colpo guardando Borislav mentre si toglieva il cappotto e il cappello.
"C'è qualcuno qui con te?" Era la prima frase che pronunciava da quasi due settimane e quasi non riconobbe la propria voce, era incerta. L'entrata era composta da una scala dipinta di nero che portava al piano superiore mentre alla sinistra, con le pareti dipinte di un grigio sfumato, si doveva trovare la cucina. Elena era avvolta dal calore di una casa che non sembrava essere di una sola persona.
Borislav si voltò verso di lei, con uno sguardo sorpreso ma comprensivo.
"Sì, qui ci viviamo io, mio figlio Dimitri e mia moglie Agata, la... sorella di tua madre."
D'un tratto, Elena ebbe un conato di vomito talmente forte da farla piegare in due. La sensazione disgustosa le salì in gola così prepotentemente da farla quasi gridare. Il suo corpo voleva vomitare ma Elena aveva lo stomaco vuoto. Appoggiò entrambi i palmi sul pavimento e respirò a fondo mentre Borislav le si avvicinò preoccupato. "Dimitri!" Urlò a qualcuno che Elena non riuscì a vedere, la voce le sembrava attutita, smorzata. Le si chiudevano gli occhi, non sapeva nulla. Si arrese piano, leggermente, lentamente. Non sapevo più nulla, non sapeva dove si trovava, non sapeva perché sua madre l'avesse tenuta lontano dalla sua famiglia, non sapeva nulla. Era un abisso, cupo, profondo.
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FAME
RomanceElena Volkov è una ragazza autolesionista, bulimica, incontrollata e rabbiosa che dopo la morte di suo padre si troverà a vivere in un'altra nazione, dove tutto è diverso, lontano da quella che è stata la sua vita. Diventa esitante, impacciata, timo...