Yvonne:
Chiusa in camera, con gli auricolari ficcati nelle orecchie, riflettevo su quanto tempo fosse passato da quel fatidico dodici ottobre di tre anni fa.
Provavo a cancellare il ricordo di mio padre nel reparto intensivo, con decine di macchinari attaccati addosso, con la flebo, e un'aria stanca, come se lo sapesse, come se lo immaginasse che da li a poco sarebbe finito tutto quanto. Mi guardò e mi chiese di avvicinarmi, poi mi prese la mano e me la tenne stretta.
"Devi promettermi una cosa" mi chiese con le lacrime agli occhi. Mi aicinai a lui e annuii.
"Devi promettermi che ti prenderai cura della mamma, che le starai accanto tutto il tempo, perchè lei c'è stata per te, e ricordati sempre che ti voglio bene" Una lacrime scese giù, lasciando una riga lucida sulla sua guancia.
Lui era il mio papà in fin di vita. Era lì, ed io non potevo fare nulla se non stargli accanto.
Furono le sue ultime parole, poi chiuse gli occhi, esalò l'ultimo respiro e lì mi resi conto di aver perso mio padre. Cosa lo aveva portato via? Semplice. Cancro. Una parola così piccola, di sei lettere, ma che porta attaccato a se un dolore indescrivibile per chi non lo prova.
E invece dopo tre anni ero lì, sul mio letto, al college. E facevo finta che andasse tutto bene, che mi fosse passata, che fossi tornata la stessa di tre anni fa.
Sentii qualcuno urlare dalla cucina, e mi accorsi di essere con la musica al massimo.
Mi tolsi le cuffie e le appoggiai sul comodino. Mi alzai e mi infilai una maglietta,e corsi in cucina.
"Dio Jacq cosa c'è?" chiesi alla mia coinquilina, nonchè migliore amica da anni, Jacqueline Drow. Lei mi guardò impaziente poi sbuffò.
"Ti sto chiamando da mezz'ora Yvonne!" mi urò contro. "E' pronto da mangiare e tu sei, come sempre, assorta nei tuoi dannati pensieri." Disse sbattendo una pentola sul piano cottura.
Jacq era così, impaziente, folle e probabilmente mentalmente instabile, ma io la amavo così com'era. Ci si abitua all'essere di una persona dopo anni di conoscenza, proprio come io mi ero abituata a Jacq.
"Va bene va bene chiedo scusa" Dissi ridendo. Lei si ccigliò, poi spalancò le labbra in un grande sorriso, e non potei far a meno di notare la sua immensa bellezza, che causava un disagio assurdo. Se kim entrava in una stanza, quest'ultima si illuminava, era così bella da far perdere il fiato. Capelli biondicci lunghi e mossi, labbra fini, pelle chiara come il latte e qualche lentiggine che volava qua e la a inconiciarle i suoi due grandi occhi verdi. Di certo Jacq non passava inosservata, non ra mai successo, da quando la conoscevo. Ma la cosa che amavo di Jacq non era solo il suo carattere forte e deciso, ma il suo sentirsi bene con se stessa, senza mai sentirsi a disagio in qualsiasi situazione. Io ammiravo Jacq, ma allo stesso modo non la sopportavo. Per vederci chiaro, lei era il sole e io la luna. Brillavo di luce riflessa, grazie a lei.
Non ero mai stata la classica ragazza che ama farsi guardare, che voleva essere al centro dell'attenzione, anzi. Io ero la classica ragazza dalle felpe larghe, da posti in fondo all'aula, dalla testa nell'armadietto.
Ci sedemmo a tavola e lei mi passò un piatto con dell'insalata e carne. Mangiammo discutendo della pressione degli esami, della poca voglia di studiare e dell'immensa voglia di andare al mare, di rilassarsi, di sentirsi ragazzi e non vecchi.
Andammo a dormire salutandoci con un semplice abbraccio.
La mattina dopo la sveglia suonò, ma le palpebre erano troppo pesanti per aprirsi. Non volevo alzarmi, e ricominciare la mia vita monotona. Scuola, mensa, in giro per il campus e poi dormitorio e replay.
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