1. Prologo

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Straordinario come le persone dipendano da altre persone, tutto ciò che ci circonda e ci succede è un motivo per cambiare il nostro stato d'animo, un piccolo dettaglio, una sorpresa inaspettata, un incontro casuale, uno programmato, una parola detta al momento giusto o più comunemente una detta nel momento sbagliato. L'hostess mi era appena passata affianco, eravamo atterrate da cinque minuti e ancora il segnale che avvertiva di poter slacciare le cinture era rosso. L'aria che usciva dall'apertura sopra la mia testa continuava a scompigliarmi la ciocca di capelli che era sfuggita alla treccia che mi ero fatta poco prima di partire, anche se per tutto il viaggio in aereo mi risultava piacevole e continuavo a domandarmi il motivo. La luce che riusciva a passare dal finestrino alla mia destra mi finiva sui piedi, seminudi dai sandali estivi sfruttati al massimo nelle ultime settimane trascorse a Miami; provai un senso di sollievo e mi allungai per sgranchirmi le braccia, dopo tutte quelle ore di viaggio. Mi sistemai la ciocca ribelle dietro l'orecchio e mi allungai leggermente in avanti per recuperare il mio margarita sunrise dal tavolino. Feci gli ultimi sorsi del cocktail e passai il bicchiere alla hostess. Quasi mi sentivo più leggera, come se stessi per assaporare la libertà. Tutte le persone sedute in aereo, o almeno quelle sedute in prima classe, erano irritate dall'attesa straziante di rivedere i propri cari, o di essere in ritardo per questioni di affari. E la maggior parte di essi iniziava a sudare, compresa la sottoscritta, anche se pure questo non mi dava noia. Più l'attesa era lunga, più aumentava la mia eccitazione. Qualsiasi cosa fosse successa non mi avrebbe scombussolato l'umore e ciò da una parte avevo paura ad ammetterlo perché ero quasi certa di conoscerne il motivo, anche se non glielo avrei mai confessato. Nel momento esatto in cui stavo per ricadere nei miei pensieri profondi e per rivangare il passato, fortunatamente, in tutto l'aereo si sentì un suono lieve e tutti immediatamente si alzarono per recuperare le loro valige e i loro oggetti. Mi tolsi la cuffia che ormai non produceva più musica da un pezzo e arrotolai gli auricolari al telefono. Presi la mia borsa e appoggiai la mia mano nella spalla di Gwen, scuotendola lievemente.
"Ehi Gwen, siamo arrivati, esci dal letargo." Aprì leggermente gli occhi, rendendosi conto che tutte le altre persone stavano scendendo.
"Oddio quanto ho dormito? 12 ore?" Guardò l'orologio e subito dopo si sfregò gli occhi con entrambi i polsi.
"Sicuramente non ti sei appisolata 10 minuti, mi hai praticamente lasciata da sola per tutto il viaggio." Non ero realmente incazzata, anzi ero felice di aver finito il mio libro mentre G era in letargo, però avrei comunque finto di essere furiosa, mi conosceva troppo bene e qualsiasi cosa avessi detto non se la sarebbe bevuta.
"Ma finiscila Daisy, so perfettamente che non ti sei annoiata, e scommetto il mio ristorante a Milano che il libro che hai iniziato ieri l'hai finito a metà viaggio."
Ecco appunto.
"E per l'altro metà viaggio?" La guardai con aria di sfida, come spesso facevo, mentre ci alzavamo dalla nostra prima classe per scendere finalmente dall'aereo.
"Oh ma per favore, come se non ti conoscessi, non te ne porti mai uno solo dietro, mi credi stupida? E poi ero stanchissima, come fai a non avere pietà dopo quello che mi hai fatto sopportare ieri sera, come ultima notte a Miami?" Effettivamente avevamo esagerato un po' con l'alcol ed eravamo rimaste sveglie tutta la notte ad una festa di un mio vecchio amico nella sua villa, che si affacciava sull'oceano. Poche ore prima della nostra partenza eravamo ancora in spiaggia a fumare una canna con persone conosciute poche ore prima.
"Come se non ti fossi divertita! Mai una volta che mi ringrazi per le feste stratosferiche in cui ti 'obbligo' a venire." Trascinai il mio trolley di Louis Vitton e arrivammo davanti all'hostess che mi era passata di fianco. Feci un sorriso e le augurai una buona giornata.
"Grazie, stronza, per avermi permesso di fumare così tanto da dover divorare mezzo ristorante all'aereoporto stamattina."
"Oh vabene, ci rinuncio." La vidi sfoderare uno dei suoi sorrisi più sinceri e quello mi sarebbe bastato come ringraziamento. Ci conoscevamo troppo bene io e mia cugina, e lei non era tipa da smancerie, quando era grata per qualcosa lo faceva intendere a modo suo; questa era una parte di lei che non avrei mai cambiato.
Prima di uscire dall'aeroporto ci fermammo da starbucks per combattere la stanchezza di Gwen, anche se effettivamente non avevo bisogno di un caffè, che mi avrebbe resa più impaziente di quanto ammettevo. In fila davanti a noi c'era una coppia giovane, che litigava su chi dovesse pagare i cappuccini. Banalità. Niente di più banale di litigare per chi dimostrasse più amore rispetto all'altro. Arrivati alla cassa fu lei a pagare e neanche mi resi conto del sorriso che mi uscì in quel momento. Guardai Gwen ricevendo il suo consenso al solito cappuccino aromatizzato al pistacchio. Ne ordinai due da portar via e pagai lasciando la banconota da cinquanta al ragazzo sorridente che mi aveva servito con tanta naturalezza. Appena la prese il suo sorriso si allargò ulteriormente e mentre mi girai per uscire sentì un 'grazie' da parte sua.
"Perchè l'hai fatto?"
"Troppo carino per lavorare alla starbucks." Sorrise per la mia affermazione e uscimmo dalla caffetteria per dirigerci ai controlli.
Gwen era ormai troppo stanca per aprire un altro discorso su qualsiasi cosa ed io ero troppo emozionata al nostro ritorno a casa per pensare a cosa dire, così restammo in silenzio per tutto il tempo che trascorremmo ad arrivare ai controlli dei passaporti.
"Pensi sia venuto a portarci a casa?" Mi chiese Gwen asciugandosi la fronte leggermente imperlata di sudore. Probabilmente causata dal mio passo veloce. Faticava spesso a starmi dietro quando ero su di giri.
"Non vedevi l'ora di chiedermelo vero?" Dissi, distogliendo lo sguardo dalla fila per guardarla negli occhi. Sapevo che ci avrebbe pensato come ci avevo pensato io per quasi tutto il viaggio, anche se una parte di me non avrebbe voluto vederlo mai più, ero consapevole che il mio buon umore era alimentato dalla speranza che fosse fuori dall'aereoporto ad aspettarci.
"Non voglio infierire, lo sai perfettamente, vorrei solo sapere cosa ti passa per la mente. Solitamente lo so, ma non lo hai nominato per tutta l'estate e so che non vi siete mai scritti, perché me l'ha detto."
"Mi ha nominata?" La speranza si stava alimentando ancora di più e sapevo che prima o poi sarei crollata, anche se con tutte le mie forze cercavo di impedire al mio corpo di elaborare quello che stava succedendo. Stava accadendo tutto troppo in fretta e questo mi stava mettendo parecchio a disagio.
"Mi ha detto che gli manchi, un paio di volte.. In realtà non dovrei dirtelo, ma so l'importanza che ha per te, e so l'importanza che hai avuto per lui." Più cercavo di elaborare le parole di Gwen, più sentivo che stavo per svenire. Perché stava parlando al passato se davvero gli mancavo? Perché dirmi queste cose quando il mio umore era alle stelle? Avevo appena regalato 40 dollari al barman di uno starbucks e Dio mi odiava comunque. Mi ripresi velocemente e feci un lungo e profondo respiro prima di risponderle.
"Grazie Gwen, ammetto che ci ho pensato ogni tanto durante il viaggio, e una parte di me spera di aver ragione. Però so che tutto quello che è successo è solo un enorme conseguenza di come mi sono comportata. Vorrei solo ricominciare tutto da capo e non sono sicura se ricominciare con le stesse persone o con persone totalmente diverse." Buttai fuori tutto quello che pensavo ma non ero sicura di aver detto davvero quello che provavo, però ero grata a Gwen di aver aperto l'argomento, prima che uscissimo da lì, prima che avessi una delusione o tutt'altro. Dovevo parlarne, e volevo farlo, ma più andavo avanti con il discorso, più facevo fatica a trattenere le lacrime. Non volevo piangere davanti alla mia migliore amica, anche se mi sarei finalmente sfogata, dopo tre mesi di oppressione.
"Hai paura." Quasi bisbigliò, dicendolo, ma sentii quelle parole come se le avesse urlate. Come se avessi finalmente aperto gli occhi dopo uno di quegli incubi che sembrano durare anni, e invece durano una sola notte.
"Sono terrorizzata." Ammisi alla fine. Quasi senza accorgermene era arrivato il nostro turno, mi affrettai ad arrivare alla gabbia e lascia il documento sul banco. Dopo una rapida occhiata da parte della tizia seduta davanti a me e un cenno di consenso per andare avanti, ripresi il mio documento e lo misi via nel frattempo che aspettavo Gwen.
Fui grata di aver interrotto il discorso, per riuscire a sistemare per quei pochi secondi i disastri nella mia mente. Eppure il mio buon umore non era ancora sparito, nonostante la piega che stava per prendere il nostro discorso. Girammo l'angolo e uscendo scrutai in volto praticamente ogni persona davanti a noi, distogliendo lo sguardo appena capivo che non era lui. Quasi mi vergognavo a cercarlo così sfacciatamente, lo sapevo che non sarebbe venuto, ma d'altro canto ero davvero convinta del contrario. Strinsi la presa del trolley fino ad avere le nocche bianche, un po' per rabbia, un po' per nervosismo ma soprattutto per delusione. Nessuno lo aveva invitato e sicuramente non era obbligato a venire. Ma una parte di me sperava fino in fondo che in lui ci fosse ancora il coraggio e la volontà di sistemare la nostra amicizia. Pian piano la mia speranza si stava trasformando in delusione cronica e notavo dall'espressione di Gwen che se ne stava accorgendo. Nonostante la forza che cercavo di controllare una lacrima mi rigò il viso, facendomi infuriare ancora di più con me stessa. La asciugai velocemente sperando che Gwen non si fosse resa conto di niente, ma la mia faccia sconvolta si notava più di quanto volessi realmente. Lasciai di poco la presa cercando di controllarmi il più possibile, rendendomi conto che mi stavo rendendo ridicola nell'affrontare la situazione in quel modo. Se avessi davvero voluto vederlo glielo avrei chiesto, e se avesse voluto davvero vedermi me lo avrebbe chiesto, o per lo meno, lo avrebbe chiesto a Gwen. Non ero invidiosa di lei, lei per me era come la mia anima gemella, perciò qualsiasi scelta avesse fatto, o qualsiasi cosa avesse sbagliato nei miei confronti l'avrei sempre perdonata, l'avrei sempre guardata con gli occhi di chi guarda il suo primo amore. E come le avevo ricordato qualche istante prima, tutto quello che era successo era colpa mia. O almeno ormai mi ero convinta a pensarla così. Ero talmente incazzata con me stessa che volevo iniziare ad urlare e a comportarmi in modo imbarazzante, solo per potermi dare la colpa per qualsiasi altra cosa. Ero stata sciocca, avevo ancora il cervello di una bambina di due anni e quasi mi rimproverai un'altra volta nella mia mente per non aver ancora imparato a crescere. Non sapevo neanche di cosa avevo bisogno per sentirmi meno fragile, ma sicuramente avevo bisogno di un cambiamento, sicuramente mi sarei impegnata con tutte le mie forze per dimostrare a me stessa che non ero fragile come pensavo. Che potevo cavarmela e che potevo andare avanti, nonostante nel profondo mi odiassi con tutte le poche forze che dimostravo. Tutta la positività che avevo, tutta la gentilezza che cercavo di trasmettere stavano lentamente scomparendo in me, e questo fu un motivo in più per odiare me stessa. Questa è la depressione? Questo succede alle persone ricche? Con tutti i soldi che possiedo sono destinata a sentirmi così? Potevo comprare qualsiasi cosa mi sarebbe capitato a vista d'occhio. Ma quello che mi faceva stare male non potevo fallo sparire con qualche milione. Mi sembrava fosse passata una vita mentre ancora guardavo le facce di tutte la gente che aspettava fuori dall'aereoporto. Quando ormai mi ero effettivamente rassegnata vidi Paul, con un cartello in mano con su scritto: 'Daisy Smith e Gwen Barrows.' e per poco non scoppiai a piangere, con Gwen che mi stringeva la mano ed io che neanche me ne ero accorta.

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