I raggi del sole, attraversando la finestra della sera prima mi si posarono sul viso, svegliandomi, otto minuti prima che la sveglia suonasse e mi ricordasse che avrei dovuto cominciare a dipingere la nuova tela che mi si era palesata davanti. Di fretta e furia corsi sommerso di ansie e quasi contento. Afferrai le mie vans verde militare, la mia felpa nera e la mia amata t-shirt blu, in mezzo una papera con una citazione simpatica: "don't give a duck".
Mi lavai il viso, l'acqua era gelida, e con un brivido mi sveglió. Ero seduto, sopra una sedia in legno, (che avevo già avuto modo di sperimentare, scoprendo che qualche volta emetteva fastidiosi cigolii) mordicchiando un biscotto preso distrattamente dalla scatola aperta di Pan di Stelle. Ma sarebbe dovuto passare solo qualche attimo prima che il cioccolato mi andasse di traverso: saltai dalla sedia sentendo un rumore pesante e amplificato, il clacson dello scuolabus. Mi diressi a passo svelto davanti casa, presi sulle spalle il mio zainetto e salii. Salii sul pullman che mi avrebbe accompagnato verso la mia nuova meta: una nuova vita, una nuova speranza per ricominciare. Se chiudo gli occhi tutt'ora riesco a rivivere ogni singolo momento. Ogni singolo attimo. Il brusio delle persone che ancora non mi conoscevano echeggiare da una parte all'altra. Il mio sguardo fisso sul finestrino a guardare le strade, le persone, farsi sempre più piccole e lontane. Avrei inserito un auricolare nel mio orecchio destro poco dopo, per riuscire a capire cosa succedesse attorno a me e allo stesso momento a godermi la mia essenziale musica, che creava sempre uno sfocato sfondo a ciò che vivevo, in maniera ogni volta più differente. Le urla dello scorbutico autista spezzarono quella semi-quiete che mi ero creato. Mi si formarono quei pugni stretti che arrivano per alleviare l'ansia,da primo giorno in quel caso. Comparve senza neanche che me ne accorgessi il forzato sorrisetto in volto. Aprii il portone, cercando di ignorare le occhiate gettatemi dalle persone confuse. Mi sentii perso non sapevo dove andare e la maggior parte degli studenti era già entrata in classe, temevo di fare ritardo.
Una donna dall'acconciatura castana e occhi verdi mi fece cenno di avvicinarmi a lei. Senza conoscerla ma senza esitare la seguii, mi accompagnò davanti alla porta di quella che sarebbe diventata la mia nuova classe, e dentro di sè i miei nuovi compagni.
Ma appena fui lì mi bloccai..non so perché, forse mi feci prendere dall'ansia ed inoltre mi vergognavo, che figura avrei fatto se non fossi nemmeno riuscito ad aprire la porta della mia classe? Me la aprii lei. Senza che dissi nulla, come se mi avesse letto il pensiero aprii la porta e mi spinse leggermente avanti. Emozionato come nemmeno un bambino di 8 anni quando deve fare una delle sue prime recite dissi: "Buongiorno, sono Sascha..Sascha Burci, nuovo allievo dell'Universitá degli Studi di Milano..spero di non darvi troppo fastidio". Il professore presente in quell'ora mi fissò per qualche attimo e mi disse: "Buongiorno, è di qualche minuto in ritardo, ma dato che è la sua prima volta la perdono, può andarsi a sedere nel secondo banco a partire dal muro sinistro dell'aula."
Non rividi mai più quella donna. La descrissi qualche giorno dopo ai miei compagni ma loro mi dissero che non c'era nessuno di somigliante alla descrizione che lavorasse in quella scuola. Non ho mai saputo chi fosse. Vi sembrerò impazzito ma una parte di me forse pensa seriamente sia stato un angelo o qualcosa di simile che mi abbia aperto la porta della camera che avrebbe per sempre segnato la mia vita in maniera indelebile.
Mi sedetti sulla sedia, aprii lo zaino e tirai fuori il mio blocco per gli appunti. Non vi è sfuggito nulla?
Un banco alla mia destra c'era.
E sicuramente non era vuoto se non ho potuto sedermici. Era lì.
Il ragazzo, di bassa statura, che guardava fisso un pezzo di carta strappato da chissà quale libro, intento a scarabocchiarlo con una penna nera. I suoi occhi in cui l'autunno di dimorare aveva deciso erano abbinati di natura alla sua nuvola di capelli. Provai emozioni così contrastanti in quel momento, che purtroppo non riesco a descrivere a parole. Con un fil di voce mi spinsi a dire: "ehi..sono Sascha..tu..tu come ti chiami?"
-
"..dici a me?"
"Ahaha si"
"ah scusa non me lo chiede quasi nessuno,apparte alcune di quelle persone che mia madre chiamava bulli..Stefano comunque"
"bel nome..ma come hai fatto a non accorgerti che lo stavo chiedendo a te?"
"pff colpa di questi"
Stefano si indico con gli indici gli occhi e fece uno di quei suoi ingannevoli finti sorrisi.
Ero troppo stupido in quel momento per capire cosa stesse cercando di dirmi..quegli occhi erano così accoglienti,perché avrebbe dovuto rifiutarli?