Locke 2: Il nominalismo

33 0 0
                                    

Locke: i problemi dell'empirismo e l'analisi del linguaggio.

Le idee non possono essere comunicate direttamente, essendo dei contenuti mentali; tali idee devono quindi essere riferite a qualcosa di sensibile che abbia la funzione simbolica di rappresentarle: il linguaggio.
ciò viene definita nominalismo in quanto il filosofo analizza proprio il ruolo dei nomi che l'uomo utilizza nella realtà per indicare le cose tramite il linguaggio.
Locke sostiene che le parole siano soltanto dei segni che simboleggiano le idee delle cose: poiché le cose sono sempre particolari, egli sostiene che non dovrebbero esistere termini generali che costituiscono la maggior parte del lessico all'interno di ogni lingua. L'utilizzo dell'uomo di tali termini generali rappresenterebbe la sua esigenza fisiologica di risparmiare lo spazio all'interno della propria mente, in quanto l'uomo non é in grado di ricordare singolarmente tutti i singoli individui di cui ha fatto esperienza, di attribuire cioè un nome specifico ad ogni animale, pianta o singola foglia che ha esperimentato con i sensi.
Locke afferma, tuttavia, che tale processo di attribuzione di singoli nomi specifici risulterebbe la procedura più corretta da utilizzare, visto che l'uomo conosce sempre singoli oggetti individuali.
In riferimento alla genericità dei nomi comuni, Locke é in grado di spiegare come gli uomini siano in grado di capirsi tra loro. Secondo Locke il problema della conoscenza risulta così strettamente legato al linguaggio: poiché le sensazioni sono strettamente individuali, così come le idee semplici che ne derivano, la comunicazione avviene mediante il linguaggio che utilizza segni simbolici, i nomi, per riferirsi alle cose concrete. Le parole, quindi, rendono generiche e comunicabili le nostre esperienze soggettive. Un esempio di ciò é l'utilizzo del termine cavallo: ognuno di noi forma la nozione di cavallo basandosi su di una serie di esperienze soggettive (i cavalli che ha visto, toccato, sentito in concreto), e poi le trasferisce nel nome generico di cavallo per poterle comunicare ad altre persone; in questo modo l'utilizzo di un nome comune permette di risvegliare negli altri ricordi ed esperienze su quell'oggetto che, per quanto le loro esperienze risultino essere altrettanto soggettive e pertanto diverse dalle nostre, il linguaggio e, in particolare, l'utilizzo di un unico nome permette la comprensione tra due interlocutori, proprio per il fatto che le parole si riferiscono ad una molteplicità di esperienze soggettive che diventano equivalenti tramite l'uso del nome.
Il vantaggio dell'uso di nomi generici é quello di trattare le esperienze in modo più efficace perché riferendo le stesse caratteristiche ad una grande quantità di individui uniti da un nome identico possiamo isolare quegli aspetti che riteniamo più importanti da conoscere e da comunicare agli altri. Il vantaggio di tale meccanismo é di facilitare gli scambi linguistici, anche di esperienze diverse, dal punto di vista pratico.
Locke, tuttavia, sostiene che il problema da chiarire sia l'origine dei nomi generali che derivano, a loro volta, da idee generali. Tali idee, secondo Locke, sono il risultato di un particolare tipo di astrazione: non si tratta di astrarre, infatti, una qualità comune a più individui, ma di eliminare dall'esperienza tutte le determinazioni sia spaziali, che temporali, che differenziano i singoli individui e le loro esperienze soggettive.
Le idee generali rappresentano, quindi, insiemi di idee che sono state ripulite della loro componente specifica di spazio e tempo determinati e che si rifanno soltanto a quelle idee che permettono di classificare gli individui, aventi quelle qualità, come appartenenti alla medesima specie. Le idee, che vengono così conservate, rappresentano una realtà unitaria totalmente inesistente però dal punto di vista oggettivo.
Locke chiama tali idee generali essenze nominali, distinguendole da quelle reali, ritenute immanenti alle cose, ma totalmente inconoscibili all'uomo. Noi, infatti, non siamo in grado di sapere cos'é l'oro di per sé, ma soltanto l'insieme delle qualità che percepiamo: l'idea di oro, e quindi il nome che lo designa, costituisce l'essere unitario di quelle qualità come viene ricostruito da noi: ne rappresenta l'essenza, anche se solo nominale, mentre l'essenza reale rimane aldilà della nostra capacità conoscitiva.
Le essenze sono dunque per Locke degli aggregati di idee ai quali siamo noi a dare un nome unitario. In tal modo noi conferiamo alle essenze anche una realtà unitaria e le utilizziamo per dare un significato alla realtà.
Se le essenze reali, ammettendo che siano qualcosa, rimangono inconoscibili per l'uomo, le essenze nominali invece sono costruzioni mentali dell'uomo prive di ogni rapporto con la realtà stessa.
Locke tenta così di tracciare dei confini netti circa ciò che all'uomo risulta conoscibile e ciò che invece non lo é, le essenze appunto, che sono comunque necessarie da presupporre affinché il nostro intelletto possa ricostruire e conoscere il mondo in modo unitario.
Locke sostiene che, nonostante le essenze nominali non abbiano alc una corrispondenza con le cose, costituiscono lo strumento fondamentale che ci permette di dare un'organizzazione unitaria alle idee semplici allo scopo di permettere all'uomo di poter costruire un mondo fenomenico che sia stabile e comunicabile che gli consente sia di poterne parlare, sia di poter agire in esso. Le idee complesse, invece, pur essendo convenzionali, non sono però arbitrarie: in ogni società vengono unificate con un unico nome le idee importanti per l'esperienza e, per Locke, é per questo motivo che ogni popolo ha dei nomi generali specifici che spesso risultano essere intraducibili al di fuori di una certa cultura e della lingua di un certo popolo.
Locke afferma che, una volta che tali nomi si siano consolidati storicamente mediante l'uso, i nomi generali vengono appresi dai bambini prima ancora che essi abbiano avuto delle esperienze corrispondenti, funzionando anzi come delle linee guida e degli schemi generali in grado di organizzare le idee semplici che via via vengono costruite tramite l'esperienza secondo le associazioni presenti nelle parole.
Secondo Locke, quindi, il linguaggio esprime non solo una visione del mondo e una modalità peculiare di ordinare le esperienze, ma riveste anche un ruolo formativo in quanto, attraverso la trasmissione del linguaggio, vengono anche trasmesse non soltanto idee e parole, ma una modalità peculiare di strutturare la proprie esperienze personali secondo uno stile che, consolidato, viene appreso e fatto proprio dai nuovi membri. Tutto ciò, però, non impedisce che le parole possano essere, a volte, fonte di errore. Locke, infatti, nell'ultima parte del terzo libro, analizza le possibili cause d'imperfezione o di abuso dovute all'uso del linguaggio: tali errori sarebbero la causa della creazione di falsi problemi filosofici e di false credenze in enti fittizi, come aveva già in precedenza dimostrato nella critica alla sostanza, intesa sia in senso spirituale, che in senso materiale. Locke sottolinea come, spesso, le parole possano essere utilizzate allo scopo di mascherare la totale o parziale assenza di idee chiare e ben argomentate, quando non, addirittura, utilizzate in modo volutamente equivoco. Inoltre, Locke, sottolinea come i nomi attribuiti ad alcuni aspetti delle cose spesso possano essere utilizzati per indicare le cose stesse, producendo così delle entità totalmente fittizie, come le sostanze.
Nel Saggio sull'intelletto umano, Locke dedica due interi capitoli all'analisi del problema del linguaggio: un capitolo dedicato all'analisi degli equivoci che derivano dalle imprecisioni che sono dovute all'uso improprio del linguaggio; l'altro capitolo é invece dedicato agli abusi e alle manipolazioni intenzionali, cioè agli usi volontariamente scorretti, del linguaggio. Allo scopo di ovviare a tali problemi, Locke propone che le idee complesse vengano ricondotte ad idee semplici e queste ultime all'esperienza e che ogni termine, anche quelli di uso quotidiano, possa essere definito in modo univoco. L'esperienza viene, in tal modo, assunta da Locke come criterio di significatività del linguaggio, in quanto richiede di eliminare dalla filosofia tutte le proposizioni che non sono riferibili all'esperienza.

FilosofiaWhere stories live. Discover now