Marco Antonio e Cleopatra - Un amore tormentoso

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Ahi, me misero! Qual sorgente di complicazioni siete per l'Urbe oh dannati Giudei, con le vostre insignificanti rivolte da estricare! Quanti sacrifici occorre compiere, quanto sangue occorre versare per compiacere il popolo romano! Eppure, stavolta, avverto la necessità di porgervi la più grande delle gratitudini: mai sia che non mi fossi avviato per un tal tortuoso itinerario pur di sedare la vostra ennesima insorgenza, perché così mai avrei conosciuto colei che mi rese prigioniero dietro le sbarre del suo fascino. Eh sì, parlo della donna più colta, erudita, illustre che voi posteri altro non potrete che bramare dalle pagine di un libro storico: Cleopatra Tea Filopatore, regina d'Egitto, appartenente alla stirpe dei Tolomei! Ella accolse perfino il magno Giulio Cesare, di cui fui luogotenente, prima in un sontuoso banchetto, ove fu lambito da una voluttuosissima policromia di luci, e successivamente sotto le sue lenzuola. Da lui ebbe un figlio, Tolomeo Filopatore Filometore Cesare, il mio Cesarione, e a lui diedi in dono tutto l'affetto che un imperatore potesse mai rendere al suo successore... beh, un affetto di tipo materiale, ma presumo abbia la medesima valenza. Ottaviano, il mio acerrimo nemico e pupillo di Cesare, subito intravide nella nostra relazione una straordinaria opportunità di propaganda bellica. Miserere, me ne giunsero di tutti i colori! Dapprima ero un alcolista, poi un adultero, uno scialacquatore, infine un esuberante... e quel che mi brucia è che, tra queste infime qualità, ne ebbe azzeccate quattro su quattro, poiché solevo spedirgli missive in cui confidavo ogni mio singolo turbamento. Ahimè, quanto me ne pento, è proprio vero che chi vive per sé campa cent'anni, considerando che il morbo peggiore di cui ci si possa mai ammalare altro non è che quella dell'anima, l'essenza vitale come la definì Socrate magnanimo.
Ma andiamo al succo della questione, miei affabili lettori, ché non voglio voi sprofondiate nel torpore più totale, e, qualora sul serio dovesse levarsi uno sbadiglio dalle vostre labbra, date la colpa agli storici e agli archeologi, che, in assenza di altra occupazione, si sono immediatamente e irrimediabilmente prestati a rinvenire i miei sudici rotoli papiracei.

Conobbi Cleopatra Filopatore nella prosperosissima Tarsos, la quale si presenta ai visitatori per mezzo di un esotico cancello ad arco, cinto da molteplici e slanciate palme e odorosi cespugli di ortensie. Teneva stretta la capigliatura corvina, che ricadeva in parte all'altezza delle clavicole e in parte dietro le spalle, e in più una corona così dorata da essere degna della sposa del Sole, una volta sotto i suoi raggi. La tiara era ornata con rubini, smeraldi, diamanti e minerali sempre più preziosi, che culminavano, al centro, con la figura di un cobra dal cappuccio vermiglio e dalle fauci spalancate, quasi in atteggiamento intimidatorio nei confronti di chi si trovava al suo cospetto. Reincarnava la sua stessa regalità e solennità, lo dico con assoluta certezza. Essa, inoltre, aveva indosso una veste candidissima che lasciava in parte scoperte le gambe carnose e rossacce, indubbiamente ricamata dalle dita sartorie più abili sulla faccia della terra. La cinta altrettanto dorata e, ai piedi, i sandali dal cuoio del bue più caro agli dèi dissipavano ogni dubbio in merito alla sua natura: così non riuscii in alcun modo a discriminarla da una divinità, anzi, mi pareva lungi superiore a una divinità, se mi è lecito dirlo. Sciaguratamente, da anima concupiscibile (forse per questo non fui tanto caro al mio popolo) gli istinti non poterono che prevalere sulla ragione, e mi diressi a tempo debito da lei. Scesa dal carro, a cui erano legati i cavalli imbizzarriti e dalla foltissima criniera, credo che avesse sussurrato qualcosa:
"Santi numi, chi è costui che sta venendo verso di me? Giuro solennemente su me stessa che, la prossima volta, mi coprirò interamente la faccia con il velo più nero che c'è, persino più buio della notte stessa".
"Mia regina, temo che il problema non sia proprio la faccia... " disse l'auriga, cogli occhi puntati sulle cosce della Tolomea.
"Io invece suppongo di sì! Dici che esagero con l'ombretto? O forse, si tratta del mio naso? Penso che sarà ciò che mi renderà nota ai posteri".
"No, mia signora! Cosa sta insinuando? Io mi rivolgo alla sua stravolgente e spregiudicata personalità, che tanto acceca l'animo di chi le ronza intorno, e alla sua rinomata cultura." continuò l'auriga, accentuando le parole "personalità" e "cultura" e continuando a scrutare, con occhi sempre più penetranti, gli arti inferiori della bellissima. Ebbi una fortuna sfacciata a venirle incontro in quel momento, altrimenti avrei permesso a quell'uomo di compiere una scelleratezza, poiché Cleopatra appartiene a me soltanto ed io appartengo a lei. Io e Cleopatra siamo due facce della stessa medaglia, lei è il mio orgoglio e il mio vanto, la mia arma contro la mia frigida e odiosa moglie, contro Ottaviano e l'intero popolo romano, che mi ha pugnalato alle spalle, e il sangue ancora sgorga al pensiero di ciò che mi è stato fatto. Io, il più illustre tra i Romani, disconosciuto come tale? Non siete proprio credibili!
"In cosa posso esserle utile?" mi chiese Cleopatra.
"Mia signora, il mio nome è Marco Antonio, luogotenente del magnanimo Cesare e condottiero romano. Sono qui giunto per porre fine all'ennesima rivolta degli Giudei. Tuttavia, con una tanto mirabile visione dinanzi ai miei occhi, non posso che trattenermi più a lungo in questa meravigliosa città. Mi dica, con chi ho il piacere di parlare? Con una regina? O forse una dea?".
Cleopatra fece un sorriso malizioso una volta sentito il nome di Cesare. Probabilmente la scintilla scattò una volta appresa la mia identità in qualità di suo luogotenente, anche se sono convinto che si innamorò per la mia bellezza.

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⏰ Ultimo aggiornamento: May 24, 2022 ⏰

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