IL CINEREO

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L'odore acre del sangue saturava il terreno mentre un banco di grigie nubi come una tela ci avvolgeva, nascondendo il secondo sole di Aagon, che quel giorno si era affacciato solo per osservare noi, per osservare quella che definire carneficina non rendeva giustizia a ciò cui mi trovavo davanti. Ero in piedi, le gambe di pietra, nella mia testa solo la fiaccola della disperazione aveva deciso di resistere a quel turbinio di emozioni che in pochi attimi, a me parsi secoli, aveva stravolto la mia anima, prendendola in ostaggio, per gioco, senza volere nulla in cambio. Mai avrei pensato che una guerra Santa potesse spingersi tanto oltre. Come può un dio permettere ai suoi stessi figli di massacrarsi a vicenda come animali allo stato brado? Come potrebbe mai una madre mettere al mondo due figli per farli combattere mortalmente l'uno contro l'altro? Non potrebbe. O almeno così credevo. Mai come ora ho rimpianto una mia scelta. Ma come potevo sapere? Il Caporale Maggiore mi aveva promesso che non avrei rischiato nulla. Mi aveva detto che le truppe nemiche erano ormai decimate, che la guerra era oramai vinta, che nulla avrei rischiato prendendo parte alla guerra per la Sacra terra di Yardrat, ma anzi che al mio ritorno in patria sarei stato trattato da eroe, e mi sarebbero state date fama e gloria, accompagnate da una sostanziosa somma di denaro per vivere sereno con mia moglie e mio figlio. Sono stato un ingenuo. Quale guerra non mette a rischio delle vite? Quale scontro dove uomini, figli di uomini di uomini, che combattono contro uomini, figli di uomini di uomini, anche se per un motivo più alto, una causa, LA causa, può essere approvato e anzi richiesto, ordinato, da uomini, figli di uomini di uomini? Cosa c'è nell'animo dell' essere chiamato umano che lo convince, anzi lo sprona e lo incoraggia, lo rinvigorisce e ne gonfia l'ego, lo aiuta a scegliere di voltare le spalle alla sua vita e a tutto ciò che egli ha costruito con sangue, sudore e lacrime? Cosa?

Ho tradito la mia famiglia, quella famiglia che tanto ho desiderato e faticato per costruire insieme alla donna che amo, lanciandomi alle armi quando ciò che mi avevano promesso era nient'altro che una chimera. Morirò qui, come i miei compagni, i miei compaesani, i miei amici, a cui mai ho dato importanza. E anche se riuscissi a salvarmi strisciando nel sangue di questi e portandomi al livello più infimo possibile mai riuscirei a rivolgere lo sguardo alla mia famiglia e ai cari dei compagni che ho tradito. Cosa potrei dire ad una vedova e ad un orfano che mi chiedono perché la persona che più amano non si trova con me? Cosa gli direi se mi chiedessero cos'ho fatto per tentare di salvarlo? Ma io non posso salvare tutti, non ne sono in grado non avrei mai potuto aiutare ognuno dei miei compagni e non è colpa mia se sono morti io ho cercato di aiutare chi ne aveva bisogno ma non potevo. Sono un uomo. Sono solo un uomo. Non sono un dio.

Ma ora penso che in realtà un dio non esista. Come potrebbe? Un essere sovrannaturale e onniponte che ci guarda e ci comanda come un sovrano, senza che ce ne accorgiamo. Che peso avrebbe realmente nelle nostre vite, nei nostri gesti, nelle nostre azioni quotidiane se esistesse davvero? Davvero un uomo può dire di aver vissuto la sua vita senza pensare che tutto ciò che ha fatto, che ha detto e che ha deciso fino a quel momento fosse stato ponderato e messo in atto da una terza parte occulta, parte che dirige le vite di noi uomini come burattini nel suo perverso teatro degli orrori sanguinolenti? Ho paura. Paura che un dio esista. Ho bisogno di credere che un'entità del genere non possa esistere. E come può? Nessuno può stringere tanto potere nelle sue sole mani. Nemmeno il più grande, potente e glorioso dei re.

Ho paura. La spada trema nella mia mano in preda alle convulsioni dell'anima. La mia anima dannata. La mia dannata anima. Il puzzo metallico del sangue scarlatto sta diventando insopportabile e allo stesso tempo afrodisiaco, irresistibile ma assolutamente odioso, non posso smettere di odorarlo, assaporarlo, ormai mi è necessario. Le gambe tremano e non riescono più a reggermi, ma loro non vogliono riuscire a cedere e io non le voglio convincere, potrebbero non rialzarsi più. Nel petto un peso immenso aveva iniziato a prendere il posto del terrore peggiore, cominciando pian piano ad inghiottire la mia anima come se la vita scivolasse via dagli arti per convergere in un solo punto, una voragine insaziabile e instancabile di cui non potevo più fare a meno. La nera terra Sacra era impregnata del sangue di nemici e amici, assetata e ansiosa anche del mio. Il sole, che sembrava ora quasi candido come la neve di cui tanto ho sentito parlare, chiamava a sé la mia anima con sottintesa malizia. Ero perduto. Quel mostro deforme e incontrollabile che di fronte a me stava facendo ai suoi compagni ciò che aveva fatto ai miei si sarebbe presto accorto della mia presenza e mi avrebbe martoriato. Decine e decine di uomini stavano lottando disperatamente contro di lui per salvarsi dalla morte, anzi, per salvarsi da una dolorosa morte. Credo che molti di loro, come molti di noi, avrebbero ceduto il loro io a questo dio imperativo e superbo pur di evitarsi quella mattanza. Ma come potevano continuare? Continuare a lottare con quella foga quando il loro avversario era la vita stessa, che con quel colosso si mostrava loro per renderli consapevoli della loro fragilità, della loro impotenza. La vita si stava divertendo con loro come un bambino fa coi propri giocattoli, e quando quei giocattoli avrebbero smesso di respirare e le loro ossa non sarebbero più state in grado di rompersi ulteriormente, sarebbe stato il mio turno, il mio turno di soddisfare quel dio di cui io stesso ho messo in dubbio l'esistenza. Spero ancora, scioccamente, che mi stia sbagliando, che davvero non esista, ma sono consapevole che così non è. Potrei scappare, credere nelle mie gambe e dar loro la mia fiducia come la si da ad una madre quando questa ci mette al mondo e chiediamo lei di proteggerci. Ma ho paura, paura che mi tradiscano. Se davvero Dio ci manovra come bambole, allora non ho scampo. E poi chi sono io, per sfidare Il divino? Un uomo che non è padrone nemmeno si sè stesso. E comunque, anche se scappassi, non riuscirei a vivere in pace con la mia maledetta anima. Che stupido essere che è l'uomo. Deve credere che ciò che fa ogni giorno sia dovuto ad un'altra entità per sentire che ha un senso.

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