Sarò nel vento caldo che spira da sud

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Attenzione:

questa storia ha precisi riferimenti ad avvenimenti del passato, in particolare alla seconda guerra mondiale con tutti gli episodi annessi, ma non vuole in alcun modo essere un documento di tipo storico. Pertanto potrebbero esserci inesattezze temporali e licenze "poetiche" per quanto riguarda determinati fatti. Alcuni episodi specifici avvenuti dentro al campo di Mauthausen sono veramente accaduti. I personaggi esistenti non mi appartengono in alcun modo, quelli inventati da me sono del tutto fittizi e non si riferiscono a nessuna persona in particolare.

Sarò nel vento caldo che spira da sud

Prima di suonare al campanello di quella porta imponente, mi concedo un ultimo respiro, giusto il tempo di guardarmi alle spalle e stupirmi, per almeno la terza volta nel giro di un paio di minuti, di quanto quella signorile via della periferia di Londra sia paradossalmente deserta. Non un bambino a giocare in un giardino, non una macchina appena rientrata nel vialetto, nessuna donna alla finestra. Niente, solo un rumore lontano di vita che scorre e il delicato soffio del vento tra le fronde delle siepi. Come se in quella strada il tempo si fosse fermato, come se un incantesimo si fosse abbattuto su quel luogo, lasciandolo incontaminato e puro come il mondo vero non è mai riuscito ad essere.

Mentre con la mano sinistra stringo la borsa piena di libri e appunti, la destra sfiora il campanello, che sento risuonare all'interno della casa con uno squillo acuto. Poi, nuovamente, il silenzio. Nei primi trenta secondi, l'uscio rimane sigillato; sto quasi per convincermi del fatto che non ci sia nessuno, quando, lentamente, il battente scorre, e un viso rugoso e segnato fa capolino in quel debole spiraglio.

“Chi è?” Mi stupisco di quella voce, molto più acuta di quanto avessi potuto immaginare.

“Signor Tomlinson? Sono Anna Rose Blackwood. L'ho chiamata due giorni fa e abbiamo concordato una specie di intervista.” Vedo, sul volto del vecchio, ancora stupore e quindi cerco di specificare meglio. “Sto scrivendo un libro sulla storia di Harry Styles.” Solo a questo punto la porta mi viene del tutto aperta e vengo invitata ad accomodarmi. Il mio ospite mi prende il cappotto e lo appende ordinatamente su un attaccapanni all'ingresso, poi mi precede e mi guida lungo un corridoio alto e stretto, che, tante sono le foto e gli oggetti sparsi, mi pare l'anticamera di un santuario. E, in fondo, non sto sbagliando, perché la stanza nella quale il vecchio mi ha condotto sembra una vera e propria camera dei ricordi. L'arredo è classico: un divano largo di pelle chiara, una libreria a muro zeppa di volumi, un mobile basso che sorregge la televisione, un tavolino di vetro al centro e qualche pouf. Per il resto, la stanza sembra l'interno di un negozio dell'usato e contemporaneamente l'attrazione principale di un museo comunale. Oggetti di ogni genere e tipo riempiono ogni singolo spazio vuoto del pavimento, delle pareti e dei mobili con superficie piatta.

Vengo fatta accomodare sul divano, mentre il mio ospite, con movimenti estremamente precisi e lenti, prende posto sulla sedia a dondolo posizionata davanti alla porta a vetri che dà sul giardino sul retro. La luce che viene dall'esterno rende la sua figura in controluce come incastonata. E' una visione alquanto eterea. A spezzare il surrealismo di quella scena è lui stesso, che si china sul tavolino basso che ci separa per sfilare una sigaretta da un pacchetto per poi mettersela tra le labbra e accendersela, aspirando ed emettendo una nuvola di fumo denso che lo avvolge e quasi lo nasconde alla mia vista.

Solo a quel punto decide di rivolgersi a me.

“Signorina, fuma?” mi chiede, la voce leggermente arrochita dal fumo inalato.

“No, grazie.”

“Fa bene. Anche Harry mi diceva sempre che non avrei dovuto.” Il vecchio pronuncia quel nome come se la persona a cui appartiene fosse nell'altra camera e stesse per raggiungerci. Sono quasi persuasa che Harry sia dietro la porta con un vassoio di tè e biscotti sulle braccia, quando la consapevolezza di quell'uso al passato del verbo mi colpisce in tutta la sua amara verità. Harry non c'è. Impregna l'aria densa di fumo e pulviscolo atmosferico di quella stanza, pesa dentro la mia cartella zeppa di fogli, mi scruta dalle profondità degli iridi azzurri del signor Tomlinson. Ma non c'è.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Sep 18, 2014 ⏰

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