capitolo 1

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Capitolo riscritto il 18/10/2020

Aumento la velocità della mia corsa e arrivo a casa giusto poco prima della pioggia.
Hanno comunicato poco giorni fa, che ci sarebbe stata un'allerta meteo. Le scuole sono chiuse, cose che non succede quasi mai a Londra. Ne ho approfittato per portarmi avanti con lo studio e fare un po' di ginnastica. Ho avuto molto da fare ultimamente e mi sono trascurata completamente.

Papà mi ha costretta ad andare in ufficio con lui, ho fatto le solite cose e l'ho aiutato con i conti.
Una vera rottura, ma è quello il mio posto e va bene così.

Tiro fuori dalla tasca le chiavi di casa, dopo aver aperto il cancello e attraversato il vialetto.

Fortunatamente i miei non ci sono, ultimamente sono stati molto opprimenti. Se mamma era via c'era a casa papà, o se avevano da fare mandavano la domestica, che mi odia profondamente, mi accompagnavano loro a scuola tutti i giorni, cosa che non è mai successa, mi ci ha sempre portata Gary, il nostro autista.

Vado in cucina e mi preparo un toast.
Oggi è domenica e staranno via fino a cena, hanno il solito pranzo con i colleghi.

Sento il campanellino del tostapane, segno che è pronto, mangerò e poi andrò a farmi una bella doccia.
Mi sfilo la felpa accaldata, inzia a fare veramente caldo in questa casa.

Attraverso il corridoio per tornare in cucina, riempio il vassoio con anche della frutta e salgo in camera mia.

Una folata d'aria fredda mi fa rabbrividire, le tende della porta finestra sbattono da una parte all'altra.

"Ma che cavolo.." ero sicura che la porta fosse chiusa.
Cerco di non farmi troppe paranoie, si sarà aperta per il vento.

La richiudo in fretta e mi copro con il plaid che era poggiato sul piccolo divanetto.
Mi rilasso subito, mangio in tranquillità mentre guardo la televisione.

Il rumore di vetri che si frantuma mi fa sobbalzare.
Mi alzo spaventata, mi guardo attorno per cercare di capire da dove provenga.

Attraverso il corridoio e mi fermo a guardare fuori dalla finestra e vedo che nessuna delle macchine dei miei genitori è qui.

Che cosa è stato?
Sono sicura di non essermelo immaginata anche se ammetto di essere molto paranoica.

Ispeziono il piano, tutti i bagni, la camera matrimoniale dei miei genitori e il loro ufficio da cui prendo un paio di forbici.

Scendo lentamente le scale, e mi trovo poi in cucina dove tutto sembra tranquillo. Controllo la sala per l'accoglienza, il salotto e infine la sala da pranzo dove trovo uno dei piatti del matrimonio di mia madre in frantumi.

Era dentro al mobiletto in vetro, come diavolo c'è finito lì per terra?
Il panico inizia a impossesarsi di me ed inizio a tremare.
Devo chiamare qualcuno.

Quando mi giro vado a sbattere contro il petto di qualcuno.
Mi scappa un urlo di sorpresa.

È un ragazzo alto, con qualche cicatrice qua e là, gli occhi sono scuri come la pece e indossa un capellino nero che gli copre i capelli e una parte della fronte.

"Mi sono divertito a fare il fantasma, ma ora vieni con me." Dice sorridendo in modo sadico, il suo accento è stranissimo, lui non è inglese.

La prima cosa che mi viene da fare è andare dall'altra parte del tavolo per mettere più distanza tra di noi.
"Chi sei?" Cerco di dirlo in modo minaccioso e alzando le forbici che ho in mano.

"E secondo te, te lo dico?" Si avvicina e capovolge interamente il tavolo, ribaltando tutto ciò che vi era sopra.

Mi raggiunge in poche falcate.
Richiude il mio corpo tra se sue braccia, e inizia a sbraitare qualcosa in una lingua che non comprendo quando inizio a dimenarmi.

Il mio corpo inzia a tremare come una foglia e le lacrime mi offuscano la vista.
Cerco di divincolarmi invano.

"Lasciami!" Urlo.
Lui mi toglie le forbici dalle mani e nel mentre si taglia un dito, di poco ma il giusto per fargli allentare la presa.

Mi divincolo e inizio a correre per raggiungere le scale e salire di sopra, dove c'è il telefono per poter chiamare quelcuno.

Faccio a malapena tre scalini e me lo ritrovo alle spalle che mi cinge dalla vita.

"Lasciami" urlo più che posso, sperando che qualcuno mi senta.
Ma anche se fosse, nessuno verrebbe ad aiutarmi. Siamo nel quartiere più pregiato di Londra e qui tutti si fanno gli affari propri.

"Maledetta stronza" bisbiglia al mio orecchio facendomi venire i brividi.
Mi sento sotto shock, faccio fatica a muovermi e sento che mi sta per venire un attacco di panico.

"Ti prego, lasciami" Lo imploro singhiozzando.
Sento la punta di un ago posarsi sulla mia pelle, fa una leggera pressione ed è come se tutto attorno a me fosse sparito.

Mi sento terribilmente leggera e poi un dolore che parte dall'altezza del petto si insidia in tutto il corpo facendomi piegare in due dal dolore.
Non vedo e non sento più nulla, tutto attorno a me è nero.

L'uomo mi carica sulla sua spalla e scende le scale.
Poi perdo i sensi.

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