Ἀπόλλων καί Ὑάκινθος

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A volte i libri di storia possono nascondere ai nostri occhi ciò che solo chi ha vissuto in prima persona ha potuto comprendere e tramandare.

Come la concezione che esseri umani e divinità non siano poi così distanti, o per lo meno, era così che funzionava nella mitologia greca.
Che tu sia un dio, una ninfa, un gladiatore o un principe, non fa alcuna differenza, tutti provano emozioni cosí travolgenti da portarti a perdere la testa per qualcuno, prima o poi.

E se l'immortalità degli dei potrebbe essere vista come un'immensa fortuna, non si può dire lo stesso del loro modo di provare sentimenti: dei sentimenti umani, ma amplificati all'ennesima potenza.
Come l'invidia per la felicità degli uomini, che li porta ad inviare le sventure da cui tutti siamo inesorabilmente colpiti.

Certamente ciò accade anche per sentimenti positivi, come l'eros e l'agape, che se combinati in una sola entità, creano un miscuglio equilibrato di quello che noi mortali chiamiamo amore.

Apollo non si rendeva conto di non aver provato mai questo equilibrio di sensi, egli era il dio del sole, della medicina, della musica e del tiro con l'arco, insomma, un vasto bagaglio di capacità da cui derivavano anche grossi doveri.

Tuttavia, il biondo non nacque dall'unione di Zeus con Era, bensì con Leto, inutile dire che l'ira della prima dea non gli rese sempre la vita rosa e fiori, così, come accade a un cavallo lasciato in libertà, egli galoppava per conto proprio, sbizzarrendosi in corteggiamenti in giro per l'Olimpo e il resto del mondo umano, non importava che la persona in questione fosse un uomo o una donna, una creatura divina o umana, ciò di cui aveva bisogno era semplice divertimento.

O almeno così credeva, fin quando una dolce sensazione non si sparse per il suo petto, mandandogli cuore e mente in cortocircuito. La causa era un giovane fanciullo dalla straordinaria bellezza, Giacinto, figlio del primo re di Sparta.

Il principe vantava un corpo allenato, con riccioli castani che gli ricadevano sulla fronte e un animo gentile. Non era la prima volta che attirasse l'attenzione di qualcuno, ma l'amore di Apollo non se l'era mai guadagnato nessuno.

Il dio passava giornate intere ad osservarlo, ammirandone anche i più piccoli dettagli, la sua bellezza l'aveva stregato e il suo obiettivo era quello di abbindolarlo, come era solito fare con tutti gli altri. Ma fu la personalità di Giacinto a tendergli una trappola, tanto che Apollo si sarebbe perso per sempre in quei suoi splendidi sorrisi.

Nessuna persona fu mai capace di eguagliare ciò che provava per Giacinto, solo la sua ossessione non corrisposta per Dafne poteva essergli leggermente accostata, se solo non fosse stata scatenata dalla vendetta del dio Eros, e non dal suo cuore.

Apollo ricordava ancora alcuni momenti passati con il giovane, erano soliti stendersi sull'erba a pancia in su, osservando il sole. Chiacchieravano per ore e la curiosità del più piccolo era sempre inarrestabile, ma ad Apollo piaceva la sua ingenuità e spontaneità.

Amava accarezzare i suoi riccioli e mostrargli la sua abilità nella poesia e nella musica. Giacinto era estasiato da quelle parole che risuonavano come musica nelle sue orecchie, a volte restava ammaliato nel vederlo suonare l'arpa. Nonostante fosse passato un tempo innumerevole, il biondo ancora provava una tale dolcezza al sol ricordo del ragazzo che tentava di esercitarsi nel tiro con l'arco per meravigliare l'amato.

Ed era bravo, eccome se lo era, per la prima volta quell'egocentrico di Apollo si ritrovava a mettere se stesso in secondo piano per concentrarsi solo ed esclusivamente su Giacinto.

Il dio finì per seguirlo ovunque egli volesse dirigersi, spesso venendo meno ai suoi compiti. Come quella volta in cui si scambiarono il loro primo bacio, dolce e puro, per nulla tipico di Apollo, quello era anche uno dei ricordi più divertenti che custodiva.

Infatti per recarsi dal giovane era partito di primo mattino, trattenendosi lì a lungo, dimenticandosi che il sole non sarebbe sorto se non ci fosse stato lui con il suo carro del sole a portarlo sin in cima.
L'Olimpo restò per svariate ore nel buio più totale, i due innamorati risero a crepapelle, l'espressione imbarazzata sul viso lentigginoso di Giacinto sarebbe stata indimenticabile.
Ma una mancanza simile non può essere perdonata a un dio, e come accade anche in epoca contemporanea, le dicerie girano da persona a persona e ben presto diventano comuni.

Fu così che Giacinto attirò anche l'attenzione di Zefiro, vento di ponente, la cui gelosia era tale da spingerlo ben presto ad agire.
Come tutte le storie d'amore più profonde, la tragedia subentra presto per avvolgere il finale nel dolore e impartire una lezione che i posteri non dovranno dimenticare.

Quel giorno, il dio del sole aveva condotto il ragazzo in una grande distesa di verde, per tutto il viaggio aveva continuato a chiedere spiegazioni o piccoli indizi per capire dove fossero diretti. Ma la testardaggine di Apollo batteva la curiosità di Giacinto.
Quando finalmente giunsero nel luogo prescelto, il biondo mostrò il disco che fino ad allora aveva nascosto dietro la schiena.

Poiché Giacinto, in quanto futuro re di Sparta, era sempre pieno di impegni e faccende da tenere sotto controllo, il dio aveva ben pensato di farlo distrarre per un po', ne aveva bisogno dopo tutto quel lavoro.

Se l'Apollo di parecchi anni prima avesse visto quella scena, probabilmente sarebbe scoppiato a ridere non credendo ai suoi occhi. Lui che non si legava a nessuno, aveva appena posto la felicità di qualcun altro prima della sua, lui che era interessato solo ed esclusivamente al divertimento dell'eros, l'amore carnale, era adesso pervaso di agape, amore puro.

La mano di Giacinto aveva stretto leggermente quella di Apollo, a cui era stata intrecciata durante tutto il cammino. Gli aveva rivolto uno sguardo di ringraziamento e commozione, poiché quel dio dal comportamento così vivace e intraprendente era oramai il fulcro di tutto.
E così presero a divertirsi, come due adolescenti privi di preoccupazioni.

Apollo avrebbe voluto che il tempo si cristallizzasse solo per poter restare sempre con lui, e il tempo in quell'istante si fermò, esattamente nel momento in cui una folata di vento causata da Zefiro l'invidioso fece sì che il suo lancio del disco colpisse l'amato esattamente alla testa, facendolo accasciare dolorosamente per terra.

E Apollo si sentiva ancora perso nel tempo senza barriere quando le lacrime scesero copiose dal suo viso, per poi finire su quello candido di Giacinto, poggiato tra le sue braccia. Tra tutte le abilità che il dio possedeva, come era possibile che non ce ne fosse una adatta a risanare quella ferita da cui stava fuoriuscendo una quantità di sangue che un corpo umano non avrebbe potuto sopportare?

Apollo provò tutte le arti mediche di cui era a conoscenza, piangendo e urlando il nome del compagno, il quale certamente non avrebbe voluto vedere per l'ultima volta il suo amato in quelle condizioni. Così gli portò una mano sul volto, gli accarezzò i capelli, poi la guancia, il petto, per poi posarsi per terra mentre sussurrava un "grazie" ricco di significato, che Apollo non avrebbe mai dimenticato.

Ed è dal sangue di un mortale e le lacrime di un dio, o per meglio dire, dal loro amore, che nacque il fiore "Giacinto". Poiché é così che funziona la vita, tutti sono sottoposti alla necessità, la quale si manifesta nei mortali come μοίρα θανάτου, destino di morte, e si sa che nulla può respingere il fato.

Apollo da quel momento in poi avrebbe ceduto volentieri la sua immortalità, poiché aveva compreso che non serve essere immortali per essere felici, a volte basta semplicemente una vita piena di affetto e vissuta per davvero per sentirsi completi e realizzati, a quel punto non hai più bisogno di nulla, la vera immortalità è quella dei ricordi dei bei momenti passati.
Non è poi così male essere mortali quando si comprende il vero significato della vita stessa.

Noi ragazzi di questa generazione abbiamo dimenticato come si fa ad amare, forse perché odiare è più semplice ed essere superficiali è meno faticoso, dovremmo osservare di più lo sguardo di chi ci sta davanti che lo schermo del nostro cellulare.

Forse dovremmo imparare tutti ad essere un po' più umani.
                                             

ᴀᴘᴏʟʟᴏ ᴇ ɢɪᴀᴄɪɴᴛᴏDove le storie prendono vita. Scoprilo ora