L'acqua è vita

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Aru sporse pigramente il suo naso nero dalla tana. Non aveva ancora aperto gli occhi, e non si sentiva del tutto risvegliato dalla primavera incombente; così prima riempì i polmoni di nuova e fresca aria mattutina. Il grande orso bruno trascinò le zampe sin fuori dalla grotta. Era ancora stordito, e guardava il panorama al di sotto con estrema sufficienza. A breve anche lui avrerbbe sentito il bisogno di andare a procuraersi del cibo e rinfrescarsi con un sorso d'acqua. Un piccolo usignolo gli passò davanti diverse volte cinguettando ed esibendosi in acrobazzie, sembrava quasi che lo facesse per infastidirlo, ma probabilmente non aveva mai visto un animale come lui oppure era molto stupido, così Aru fece scrocchiare le fauci con un basso e corto ruggito, il piccolo pennutto si diede alla fuga impaurito cinguettando come un forsennato.

Il cielo era celeste e limpido. Sopra le radici di qualche albero si nascondevano ancora grumoli di neve, ma nel giro di pochi giorni ogni traccia di inverno sarebbe scomparso.

Aru si muoveva con lentezza impressionante, sembrava proprio che il suo corpo non volesse decidersi a svegliarsi, poi le sue orecchie si mossero al rumore di squittii in lontananza ma che si avvicinavano in gran numero. Così dal sottobosco più fitto spuntarono fuori decine di musini di lemming che presumibilmente stavano migrando, alcuni passarono anche sotto le sue zampe pelose, e lui non si mosse, uno di quelli che chiudeva la fila lo guardò arrabbiato squittendo più forte. L'orso non gli diede peso, e il piccoletto continuò a correre impettito raggiungendo gli altri.

Aru non aveva visto molte volte la neve, ma non per questo era esattamente giovane. Sino ad ora aveva combattuto solo una volta per una femmina, procurandosi una ferita alla zampa posteriore di cui porta ancora la cicatrice. Ma gli orsi come lui sono molto solitari, e dopo un breve periodo con la sua femmina se ne dovette separare. La ri vide per caso solo una seconda volta, e lei si dimostrò aggressiva dato che nascondeva fra le zampe un piccolo orsacchiotto dagli occhi neri come la pece e il tipico collare di peli biancastri che scompare al momento in cui si devono separare dalla madre.

Appena raggiunse un fiume vi si buttò dentro per rinfrescarsi. Ora poteva sentire perfettamente il proprio corpo rigenerarsi. In alcuni punti più profondi si immerse per mangiare qualche alga. Non era ancora in forma per mettersi a catturare pesci e probabilmente il suo stomaco ancora non si era "accorto" che finalmente piccoli boccioli si nascondevano fra ciuffetti di erba immersi nella neve e che quindi la primavere era davvero alle porte. Quando il sole stava per diventare troppo alto per le sue fasi da animale notturno, Aru decise di tornare nella tana.

Avrebbe continuato a riposarsi sin quasi al tramonto, per poi uscire con più calma.

***

Passarono abbastanza giorni che Dania era più sicura di lasciare i suoi piccoli da soli. Ora mai giocavano fra di loro e non si lamentavano troppo quando lei li lasciava da soli per i lunghi periodi di caccia. Ogni mattina perlustrava la zona per essere sicura che nessun predatore si fosse avvicinato, sino ad allora non ne aveva incontrato nessuno, ad eccezione dell'odore di uno, ma era molto anziano e probabilmente anche lui in perlustramento di caccia.

Quella mattina Dania avrebbe impiegato il suo tempo per andare a pescare qualche pesce. Non lo faceva quasi mai dato che ci voleva più tempo per pescare che cacciare un erbivoro quadrupede. Leccò amorevolmente entrambi i suoi piccoli e loro ricambiarono strusciandosi su di lei. Era piena di gioia nel vederli crescere bene ed in salute. A volte li guardava rendendosi conto di quanto si assomigliassero, probabilmente aveva quel tenue sbrilluccicio negli occhi tipico di una mamma che ammira il proprio piccolo figlio. Nonostante fosse la sua prima cucciolata se la stava cavando bene.

Si allontanò sempre con un velo di malinconia; portava un peso nel cuore quando doveva partire, e sembrava che non ci avrebbe mai fatto l'abitudine. Si girò un'ultima volta e li vide che facevano la tipica lotta da cuccioli, Sapeva che crescendo sarebbero grandi e forti come il padre.

Seguì un ruscello che l'avrebbe potata sino ad un insenatura dove sapeva per certo che diversi pesci rimanevano bloccati per mezza giornata, sino a quando le correnti del mare non sarebbero cambiate. Non era sola, prima di lei aveva fatto capolino un coccodrillo che se ne stava beatamente fermo sul bagnasciuga con la bocca semi spalancata. Lei preferiva cacciare di giorno perchè le altre tigri invece si muovevano prevalemntemente di notte, così, per non lasciare incustodito il nido quando in giro c'erano più predatori aveva scoperto che il mattino era perfetto, ma quel mattino l'avevano preceduta. Si avvicinò con cautela all'animale, normalmente le tigri non cacciano coccodrilli o peggio alligatori, così doveva scoprire se aveva, diciamo, buone intenzioni. Ed anche se gli arrivò a meno di una zampata di distanza lui non si mosse. Lo annusò incuriosita, non ne aveva incontrati molti in vita sua, e lui non mostrò invece il monimo interesse.

Portò di nuovo l'attenzione allo specchio d'acqua e già poteva notare un bel numero di pesci. Spostò il peso sulle zampe posteriori e si diede lo slancio con i poderosi muscoli.

I pesci erano più veloci di lei, ma ne prese un bel numero, decidendo che potevano bastare, anche perchè non poteva trasportarne molti. Si sgrullò l'acqua di dosso, ma poi saltò impaurita perchè il coccodrillo aveva chiuso velocempente le fauci ed un uccello grigiastro vi si era rimasto incastrato dentro. Ecco la sua colazione. Con le quattro zampe trascinò il corpo sino dentro l'acqua buttandovisi dentro, e silenzioso si allontanò.

Dania tornò felice dalla sua cucciolata, ripercorse il sentiero a ritroso e pian piano si alzò una brezza leggera. Con essa uno strano odore che non conosceva. Tese le orecchie e iniziò ad avanzare a passo svelto ma teso. Un'altra volta quell'odore, ma quasta volta seguito da dei lamenti che però riconobbe subito.

Corse più velocemente che mai, e raggiunse i suoi piccoli che la chiamavano.

Le sue paure furono esaudite, ed una grande tigre aveva già affondato i denti su uno dei suoi piccoli. Lei ruggì saltando alle spalle dell'assassino, ma egli si salvò per un pelo dal suo colpo mortale perché ebbe la fortuna di girare la testa di lato, così i canini di Dania non presero bene la trachea. Nonostante lui tentasse di levarsela di dosso lei si teneva ben salda, così da tentare un nuovo colpo. Lui si gettò a terra e riuscì ad allontanarsi. Dania fissava atterrita lo scempio, voleva inseguirlo ma le tremavano le zampe, c'era sangue ovunque.

Il maschio non perse tempo quando si accorse che non era inseguito, e ne approfittò per colpirla al fianco. All'inizio non voleva ucciderla, semplicemente credeva che uccidendo i piccoli avrebbe potuto accoppiarsi con lei. Ma Dania si ribellava, lo graffiò sulla spalla destra e lui ululò dal dolore, non voleva mollare, nessuno dei due lo avrebbe fatto. Sembravano quasi alla pari, nonostante lei fosse di dimenzioni più piccole gli dava de filo da torcere.

Entrambi perdevano molto sangue, ed in seguito ad una lotta disperata Dania si ritrovò a terra mentre lui le mordeva con ferocia la zampa anteriore sino a spezzarla. Probabilemente non sarebbe mai tornata come a prima. Ora mai per la rabbia non sentiva neppure dolore, era troppo ferita dentro da sentire quello che accadeva fuori dal suo corpo. Lui non si accorse che quella posizione era favorevole, così Dania poggiò entrambe le zampe anteriori sulle spalle di lui, in modo da aggrapparsi, mordendogli l'attaccatura del collo. Per il peso fu costretto a piegarsi in avanti, e lei con le zampe posteriori le graffiò con foga la pancia.

Questa volta lui si allontanò ferito per non fare più ritorno.

Dania ansimava pesantemente e sentiva che stava per svenire. Guardò il suo nido e qualcosa si mosse; uno dei piccoli era ancora vivo.

La forza dello spiritoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora