La strana estate di Louis
Erano gli anni sessanta quando conobbi Jack. Avevo quindici anni e stavo giocando a calcio con i miei amici nel parco di fronte casa sua, quando la palla colpì il vetro della sua finestra. In giro si vociferava che Jack fosse pazzo perché erano anni che non usciva di casa. Quindi, quando il pallone si schiantò sul vetro, immaginai il peggiore degli scenari, ma l'unica cosa che vidi fu una mano che spostava le tende apprestandosi a rilanciare la palla attraverso il vetro rotto. Quel pomeriggio mi limitai a tornare dai miei amici senza dire nulla, ma la sera bussai alla porta di Jack. Quando aprì rimase sbalordito e si affrettò a richiudere, ma mi imposi.
<<Grazie, signore.>> Dissi.
<<Di cosa?>>
<<Per averci restituito il pallone. Mi dispiace per il vetro. La ripagheremo.>>
Jack agitò una mano in aria:<<Lascia stare, ragazzo. Ho già fatto da solo.>>
Guardai alle sue spalle e notai che aveva riparato la finestra con una grata di legno.
<<Va bene, signore. Grazie ancora.>>
Mi scrutò e io feci lo stesso: notai che non doveva avere più di quarant'anni e mi chiesi perché passasse le giornate chiuso in casa.
<<Ho appena preparato il tè.>>
Indugiai sull'uscio e quando se ne accorse spalancò la porta.
<<Fai come vuoi. Immagino che tu non debba familiarizzare con gli sconosciuti. Lascio la porta aperta, se vuoi entrare a farmi compagnia bene. Altrimenti puoi andartene, ma non aspettarti che io esca di casa perché non succederà. Qui riesco a proteggermi.>>
Non capii cosa volesse dire, ma mi intenerii ed entrai. Per tutta la durata del tè mi parlò della sua vita: era stato un militare e aveva partecipato alla seconda guerra mondiale quando aveva vent'anni. Aveva prestato servizio per un anno poi un proiettile nel cervello lo aveva costretto a tornare a casa. Notai la cicatrice sulla tempia, ma lui sembrava assolutamente normale, non trovavo conferma nelle voci di quartiere.
Presi a frequentare casa sua regolarmente. Andavo da lui dopo i corsi estivi o nei momenti liberi. L'unico giorno in cui non andavo era la domenica. Mia madre non voleva che io passassi del tempo con uno sconosciuto, soprattutto con qualcuno si vociferasse fosse pazzo e, venni poi a sapere in seguito, omosessuale. A me non importava, avevo l'impressione che fosse molto solo e apprezzavamo la compagnia l'uno dell'altro.
Un giorno, mentre stavo per bussare alla sua porta, sentii delle voci provenire dall'interno. So che non avrei dovuto ma origliai.
<<Jack, ascoltami, ti prego.>> Era la voce di una donna.
<<Ancora tu? Vattene!>>
<<Devi prendere le pasticche, Jack. Poi potremmo uscire a fare una passeggiata.>>
<<Devi andartene! Tu non sei lei! Lo so che sei venuta con loro! Vedo la macchina da qui, sai?>>
<<Sono venuta da sola. Sono io, Jack. Sono Linda!>>
<<No che non lo sei. Le somigli? Certo, ma non sei lei. Il governo ha fatto qualcosa a te, ai miei parenti e a John.>>
<<No! Non è così!>>
Ero talmente preso dalla conversazione che non mi accorsi quando la donna aprì la porta: era bella. Mi passò a fianco senza dire una parola e si asciugò le lacrime.