Capitolo I

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sabato 14 gennaio, 2017.

La fredda brezza invernale quasi accarezzava il volto di Sofia, una ragazza qualunque, su una strada qualunque, in procinto di tornare a casa dopo un pomeriggio passato in un anonimo centro commerciale. I grandi e vispi occhi verdi conquistavano lo sguardo di ogni interlocutore, tenendolo incollato al suo viso, mentre i lunghi e vaporosi capelli castani -perennemente fuori posto- le cadevano dolcemente sulle spalle. Fiato caldo le usciva dalle labbra, tremanti dal freddo, conscia del fatto che, una volta tornata a casa, sua madre l'avrebbe accolta, se così si può dire, con un "te lo avevo detto"; sì, lo sapeva che avrebbe dovuto coprirsi di più, ma qualcosa in quel momento la distrasse dalle preoccupazioni, o meglio, catturò la sua attenzione: era il pullman, per la precisione la linea 60. La ragazza era titubante al pensiero di salirvi, non girava mai gente raccomandabile là sopra, però stava congelando e l'istinto di sopravvivenza la spingeva a non morire di ipotermia. Sofia salì quindi a bordo dell'autobus, timbrando il biglietto, per poi appoggiarsi ad un finestrino.
"Spero di tornare viva a casa" pensò, neanche troppo scherzosamente, cercando gli auricolari nella borsa "O, per lo meno, senza coltelli nello stomaco". Una volta trovati, fece partire la sua canzone preferita e guardò il paesaggio innevato, mordendosi le unghie nervosamente: non era psicologicamente pronta alla montagna di studio che l'attendeva a casa.
Si voltò dopo qualche fermata, annoiata dalla ciclicità della vista; fu allora che notò una ragazza seduta poco distante, con addosso un lussuoso cappotto d'epoca -probabilmente una pelliccia- leggermente sbottonato, ed al di sotto un abito a ruota. Sofia socchiuse leggermente le labbra, sorpresa: chi mai indossava ancora abiti del genere? Dovette ammettere, però, che la ragazza era molto chic.
Ma aspetta, chi usava ancora il termine "chic"?
Presa da un attacco d'impulsività, con uno slancio si avvicinò alla sconosciuta, curiosa di conoscerne di più.
«Ehi» iniziò, sorridendo appena «Che cosa ci fa una ragazza così elegante su questa linea?» continuò, impertinente, guardandola dritta negli occhi e facendola, puntualmente, arrossire.
«Stai... Stai parlando con me? E-elegante, dici?» rispose, sistemandosi i capelli, lisci e curati, di un castano poco più chiaro di quello di Sofia, per poi attorcigliarne una ciocca. La ragazza annuì involontariamente al pensiero che le incorniciassero il viso perfettamente- anche se, be', poteva dirlo? Era la prima volta che la vedeva.
«Ad essere sincera, ho messo i primi stracci che ho trovato nell'armadio...» continuò, spostando lo sguardo fuori dal finestrino.
«Ma chi vuoi prendere in giro?!» rise, sedendosi nel posto accanto. La ragazza retrò la guardò, imbarazzata, tirando il vestito in avanti; solo allora si rese conto della nonchalance con la quale si era seduta.
«Oh, scusa, posso?»
«Ormai ti sei accomodata» le fece notare, stringendosi nelle ginocchia, palesemente in imbarazzo.
«Ottimo, perché è l'unico posto libero» ridacchiò, cercando di metterla a suo agio «Dicevo, signorina...» continuò, guardandola nei profondi occhi color ambra, facendole intuire che dovesse continuare la frase: fu allora che notò le piccole lentiggini nascoste dallo scarlatto colore che le ricopriva il viso. Le rendevano il volto dolce, delicato... Diamine, ma c'era qualcosa in quella ragazza che fosse fuori posto?
«Elisabetta.»
«Elisabetta, lei è molto... vintage» affermò, sorridendo.
«Vintage?» rispose, socchiudendo le palpebre e piegando la testa, accennando un sorrisetto. Cosa voleva dire?
«Sì, ma in senso buono. Molto ch-»
«Chic
«Sì!» esclamò, sorpresa. Chi mai avrebbe indovinato quella parola? «Esatto.»
«Ti ringrazio» pronunciò, dandole uno sguardo più attento: l'insolita ragazza indossava uno strano scaldacollo a scacchi, un paio di jeans, un trucco leggero ed una giacca di pelle- "vera o finta?", si chiedeva Elisabetta. Mentre cercava indizi (e mentre si chiedeva come non stesse congelando), notò un pezzo di stoffa della camicia rossa a quadri fuoriuscire dalla giacca, la quale le fece scappare un sorriso.
«Anche se il tuo abbigliamento è alquanto bizzarro. Dove hai lasciato l'accetta?» affermò, coprendosi la bocca.
«Come, scusa?»
Elisabetta non rispose, tirandole semplicemente il lembo.
«È per la camicia? Non lo sai che è all'ultima moda?»
«Moda? Non mi dire...» disse, con una vena sarcastica «Vanno "di moda" anche quei fili che hai attaccati alle orecchie?» chiese, indicandole gli auricolari.
«Oh, queste? Sono le mie cuffiette» rispose, strofinandosi la testa «Ok che hanno i loro anni, ma non chiamarle "fili"» continuò, ridendo.
«"Cuffiette" le hai chiamate? Oh, be'...» Elisabetta mugugnò, confusa «Non importa. Ma, comunque, mi chiedevo... con chi ho il piacere di chiacchierare?»
«Sofia» rispose, porgendole la mano «È un piacere conoscerti, Elisabetta!»
«Piacere mio, Sofia.» affermò, stringendogliela saldamente.
«E comunque, la camicia la indossano praticamente tutte le ragazze che conosco. Basta fare un giro nei corridoi della mia scuola, o anche solo per stra-»
«Stai dicendo che frequenti un ambiente scolastico? Tu?!»
Sofia si strofinò sotto il naso, imbarazzata. Cosa intendeva con quelle parole?
Elisabetta poggiò una mano sulla bocca, rendendosi conto di cosa avesse appena detto, guardando in basso, mortificata.
«Ammetto di non dare l'impressione d'una studentessa modello, non che lo sia, ma non bisogna giudicare un libro dalla copertina, non trovi?» le rispose con un sorriso di circostanza.
«Hai ragione, hai ragione. Ma che modi sono?!» rispose, veramente dispiaciuta, appoggiando la fronte sul palmo della sua mano «Perdonami. Dimmi di più, voglio sapere che scuola frequenti» chiese poi con sincero interesse. Sofia la guardò di sbieco, chiedendosi perché le stesse ancora dando retta, quando sospirò e accettò la richiesta.
«Certo, va bene. Faccio scienze umane, a-»
«Scienze umane?» la interruppe, perplessa «Che scuola è? È nuova?»
«Be', più o meno... Era lo psicopedagogico, hai presente?»
Elisabetta la guardò più confusa di prima.
«Se ti dicessi... le magistrali?»
«Ah! Ma potevi dirlo subito!»
«Ma io non- lasciamo perdere. Comunque, principalmente studio materie come psicologia, pedagogia...»
«Psicologia?» la interruppe nuovamente, facendole alzare gli occhi al cielo «Davvero credi a quelle scempiaggini che vogliono far passare come... Come lo chiamano... Studio della mente umana?»
«Ehi! Bada a come dici, non sono cazzate» rispose, alzando leggermente il tono di voce «È roba seria.»
«Ti sembra il modo d'esprimersi adatto ad una ragazza?!» urlò, alzandosi. Gli altri passeggeri rimasero impassibili, quasi come se le due giovani non stessero discutendo; quasi come se non esistessero. E forse, data l'esuberanza delle due, era un bene.
«Io parlo come mi pare e piace, e non "come dovrebbe fare una ragazza"» ribatté Sofia, incrociando le braccia «Mi spiace che non sia di suo gradimento, signorina» continuò, alzando un sopracciglio.
Elisabetta, furibonda, si sedette nuovamente al suo posto, consapevole che sarebbe dovuta rimanere di fianco a quella buzzurra per ancora diverse fermate. Appoggiò la testa al finestrino e si fece catturare dalle pittoresche strade della città, le quali probabilmente erano state pulite recentemente, notando che quell'inverno non avesse nevicato affatto. Pensò a quanto le sarebbe piaciuto prendere la testa della fanciulla di fianco a lei e seppellirla sotto un cumulo di neve gelida, mentre un sorrisetto perfido le attraversava il viso.
Ma le due non rimasero in silenzio per molto tempo.
Almeno, non Sofia.
«Ehi, Elisabetta»
La giovane non rispose, continuando a guardare lontano, offesa.
«Arrabbiata?» continuò, colpendole scherzosamente il fianco col gomito, sentendosi un "non toccarmi" di risposta.
«Mi scusi, principessina. O forse dovrei chiamarla "sua maestà la regina"?»
Ci fu un attimo di silenzio.
«Quanto sei sciocca.»
«Sì?» disse, ridendo «La regina Elisabetta non vuole essere toccata.»
Elisabetta tentò di ignorarla voltandosi ancora di più verso il finestrino, destando la curiosità della sfacciata Sofia.
«Oh. La neve è più interessante di me?»
«Smettila d'infastidirmi» pronunciò, scocciata. E lo era davvero. Ma allora... come mai voleva che quella strana ragazza le parlasse ancora? «E poi, di che parli?» chiese, assecondando il suo inconscio, ma neanche tanto, desiderio di mandare avanti il discorso.
«Della neve. Quella cosa bianca, fredda, che scende dalle nuvole...»
«So cos'è, non serve il sarcasmo. Ma cosa c'entra adesso?» continuò, ancora più confusa.
Sofia alzò gli occhi, incredula, indicando appena fuori dal finestrino, per poi arrendersi.
«Nulla, non c'entra nulla. Facciamo pace?»
«Va bene, ma solo per questa volta» rispose borbottando, alzando il mignolo. Solo allora Sofia si rese conto dell'innumerevole quantità di anelli sulle sue dita, lasciandosi scappare un verso di stupore, e infine stringerle il dito col suo.
La voce registrata della vettura pronunciò il nome della fermata imminente, facendo sobbalzare Sofia.
«È la mia, devo scendere. Ci si becca in giro, regina?»
Elisabetta sbuffò, lasciando spazio ad un sorriso.
«Va bene, "ci si becca", stramba.»
Sofia le regalò un sorriso a trentadue denti, per poi scendere. Si chinò a raccogliere un po' di neve fresca, lanciandola successivamente contro il marciapiede.
«Che c'entra la neve?» pronunciò, facendo il verso a ciò che aveva detto poco fa la nuova ragazza conosciuta sul pullman. Portò le mani nelle tasche e si incamminò verso casa sua, poco distante, canticchiando.

La serata trascorse veloce: una volta finita la cena e fatta una doccia, la castana si buttò sul letto, aprì il lettore musicale e prese il paio di cuffiette usurate; al ricordo di Elisabetta soprannominarle "fili" rise, facendo seguire poi un sorriso malinconico; erano vecchie, quello di sicuro, ma ormai erano le sue compagne di viaggio. Poteva affermare di esservi affezionata? Sì, era quella la parola giusta.
Iniziò a pensare a quanto quella ragazza fosse strana, misteriosa, intrigante; a quanto ne fosse attratta. Si chiese dove fosse diretta, in che zona della città vivesse, che scuola frequentasse, quali persone conoscesse. L'avrebbe più rivista? Sarebbero potute essere... amiche? Elisabetta non era affatto il tipo di persona che Sofia si sarebbe mai aspettata anche solo di voler conoscere, ma qualcosa le aveva fatte incontrare. Forse... Il destino? Nah. Sofia non credeva a forze sovrannaturali. Strinse forte il cuscino accanto a sé ed aprì WhatsApp.
Effettivamente... avrebbe potuto chiederle il numero di telefono.
«Sono un'idiota...» borbottò, col mento affondato nel morbido cuscino «Adesso valla a ritrovare.»
Rispose sconsolata ad un paio di messaggi, si fece cullare dal ritmo del brano, per poi chiudere gli occhi.

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Salve, o sventurat* lettore/lettrice! Volevo ringraziarti per essere arrivat* fin qui e aver deciso di dare una possibilità alla mia storia.
Cosa ne pensi? Che sensazioni ti ha dato? È strutturalmente e grammaticalmente corretta?--- sono cose importanti. Il tuo parere è importante, quindi critiche e consigli sono ben accetti.

Spero di ritrovarti al prossimo capitolo. A presto. ♡

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⏰ Last updated: May 24, 2019 ⏰

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