-Ma' vuoi fare il caffè?
-Mo' vaje 'o bar te lo prendi la 'a mamma. Anzi fa' na bella cosa vallo a pigliare a tutti e portalo qua prima che inizia il secondo tempo.
Era la classica domenica scialba di fine Gennaio, con l'angoscia della sessione invernale addosso e il peso delle aspettative che ti guarda da lontano. Ma il caffè, durante la partita del Napoli poi, è sempre stato un sedativo, un varco spazio-temporale che ti piglia e anestetizza la realtà intorno a te, quando bevi il caffè non vvuo' sape' niente. Nisciuno t'adda rompere 'e scatole. E' n'attimo che dura tutto il tempo che vuoi tu. Ci sono diversi modi di bere il caffè, ognuno ha la presunzione di dire che il suo è quello esatto, lo status quo do' caffè. Allora il caffè va preso bollente, con le tre "c", va bevuto tutto un sorso, devi sentire il fuoco alla bocca dello stomaco appena ingerito. C'è chi lo prende facendo freddare la tazza, c'è chi lo manda giù a due sorsi, chi a tre. Dipende da quanto bisogno hai di prenderti un momento più lungo o più breve. C'è a chi piace stretto e forte, a chi piace un po' più leggero, chi preferisce l'acqua corrente e chi l'acqua in bottiglia. La cosa comune è che il caffè è sacro. È aggregazione, è pausa, è generosità. Ti trovi nel bar per un pacchetto di gomme, ti giri, e tieni il caffè pagato. Perché poi alla fine noi qua ci si accontenta di poco, e anche il più disperato degli uomini riesce a mettere da parte gli innumerevoli problemi che gli trapanano il cervello almeno per il tempo del caffè. E' 'na livella sociale 'o cafè. Quando beviamo il caffè non ci sono distinzioni di classe e di genere, non ci sono discriminazioni.
Ma quando manca il caffè allora vuol dire che la situazione è irrimediabilmente compromessa. Se non hai nemmeno il caffè in casa vuol dire che hai perso la tua umanità. Non hai vie di scampo. Nessuna porta su cui scritto "exit".
E io la domenica andavo sempre a mangiare a casa di mio zio. Che poi era casa di mio nonno. Che poi era casa del Sig. Natale, perché effettivamente stavano in fitto. Talvolta portavamo noi la scheda per il digitale da casa così che potevamo vedere la partita del Napoli con nonno e zio, così che nonno e zio potevano vedere la partita con noi, anzi, così che nonno e zio potevano vedere la partita che altrimenti non avrebbero visto. Ma l'abitudine di andare a mangiare da loro ce l'abbiamo sempre avuta, anche quando eravamo vicini di casa e quando la situazione non era pietosa come in quel periodo. Quando ancora c'era la nonna, quando i soldi non mancavano e il caffè manco si doveva chiedere perché era già a tavola dopo l'ultima portata. Quando non c'era bisogno che portassimo la nostra scheda da casa 'pè cce vedè 'a partita. Quando Scarlato ribaltava il Foggia al San Paolo e i cuori si riempivano d'amore e di gioia, perché siamo un popolo abituato all'esiguo e così come il cafè, pure 'o pallone e 'a serie C, Scarlato con la fascia di capitano a braccia aperte sotto la curva B stanno là a ricordarci che l'amore è 'nu munento. 'Na tazzulella 'e caffè.
-Mamma ma mi scoccio di scendere con 'sto freddo. Mietette int'a machina, vaje o' bar, saluta a quello, saluta a quell'altro e a' partita è abbiata. Ma che ti costa a fare un attimo il caffè.
Dal lavandino della cucina mamma gesticolava e si sbracciava cercando di farmi capire qualcosa, ma francamente la mia testa era già catapultata in quell'astratto mondo utopico, amaro, denso e fumoso.
-Vai al bar prendi pure qualche schifezza ai bambini.
Io che poi mica ho tutta sta pazienza iniziai ad inalberarmi e ad alzare la voce quando con un cenno mamma mi fece capire di dovermi avvicinare a lei. Sbuffando mi alzai dalla mia postazione sotto al televisore e andai da lei in cucina.
-Nun me 'fa alluccà, ti ho detto vai a prendere il caffè al bar perché qua stanno solo le cialde per le macchinette, aprono le cialde e mettono il caffè nella moka perché le cialde gliele regalano. Ti vuoi bere 'sta brodaglia? Saje che esce da dentro a quella macchinetta, acqua sporca. Vai al bar.
Zio si era appisolato sul divano, nonno sulla sua poltroncina pendeva dalle labbra degli opinionisti che commentavano un primo tempo non del tutto brillante. I bambini giocavano per la casa con la loro solita irrequietezza. Io mi ero portato pure i libri per studiare, cosciente che non li avrei tolti dalla cartella, come ogni domenica. Mamma faceva i piatti. E il caffè non c'era, e quello che c'era era difficile chiamare caffè.
Presi le chiavi della macchina e squillò il telefono di mio zio. Il sonno leggero e noioso della domenica pomeriggio lasciò il volto di mio zio che con uno sbadiglio rispose al telefono.
...............
-Che staje dicendo?
La voce grossa con cui mio zio è solito parlare richiamò a sé tutta l'attenzione della casa, il caffè sparì dai miei pensieri e tutti ci catapultammo intorno al divano. Anche mio nonno distolse lo sguardo dal televisore e con tutta la macchinosità necessaria si alzò dalla poltrona tenendosi il fianco con una delle braccia e si rivolse a mio zio.
-E comm'aggia fa? Non mi puoi dare il tempo di apparà 'na cosa 'e soldi? Ma po' a stento parlo italiano, comme cazz' faccio?
Nessuno capiva niente. Non potevamo mai arrivarci.
-Vabbuò ja, grazie, ti chiamo tra poco e ti dico.
Un "Ch'è stato?" Si alzò nel soggiorno all'unisono.
-Un mio amico mi ha detto che se domani sto in Inghilterra può farmi lavorare in una fabbrica. Contratto, assegni familiari, tutto in regola.
-E quindi?
Disse la moglie.
-Vulite 'fa nu poco e cafè?
Disse mio zio, poi mi chiese di cercare il volo più economico per Manchester.
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Un caffè "al volo".
Short StoryIl caffè, la routine, le tradizioni culturali di un popolo che sa sempre reinventarsi. Le necessità, il lavoro che non c'è, i soldi che non bastano. Siamo tutti migranti alla ricerca di un futuro migliore. O almeno di un futuro.