Questa è la storia di Diego de la Vega e delle circostanze che fecero di lui il leggendario Zorro. Finalmente posso rivelare la sua identità, che per tanti anni abbiamo mantenuto segreta, e lo faccio con una certa esitazione, visto che il foglio bianco mi intimorisce quanto le sciabole sguainate degli uomini di Moncada. L'intento di queste pagine è prevenire gli attacchi di chi è deciso a diffamare Zorro. Il numero dei nostri rivali è considerevole, come sempre succede a chi difende i deboli, salva le donzelle e umilia i potenti. Ovviamente ogni idealista si fa dei nemici, ma noi preferiamo contare gli amici, che sono molti di più. Mi sento in obbligo di narrare queste avventure perché servirebbe a poco che Diego rischiasse la propria vita in nome della giustizia, se poi nessuno lo venisse a sapere. L'eroismo è un mestiere mal pagato, che spesso conduce a una fine prematura; per questo attrae persone fanatiche o sensibili al fascino della morte. Esistono ben pochi eroi dal cuore romantico e dal carattere amabile. Diciamoci la verità: non c'è nessuno come Zorro.
Partiamo dall'inizio, da un evento senza il quale Diego de la Vega non sarebbe mai nato. Tutto cominciò in
Alta California, nella missione di San Gabriel, nell'anno 1790 di Nostro Signore. A quel tempo la missione era
guidata da padre Mendoza, un francescano con spalle da boscaiolo e un aspetto più giovanile dei suoi quarant'anni
ben spesi, energico e autoritario, per il quale la parte più impegnativa del ministero era mettere in pratica la
lezione di umiltà e bontà di san Francesco d'Assisi. In California c'erano molti religiosi, sparsi in ventitré
missioni, impegnati nel diffondere la dottrina di Cristo tra le varie migliaia di pagani delle tribù chumash e
shoshone, e altre, che non sempre si prestavano di buon grado a riceverla. I nativi della costa della California
disponevano di una rete di scambi commerciali attiva da oltre mille anni. La zona era ricca di risorse naturali e
ogni tribù si era specializzata in un settore particolare. Gli spagnoli erano rimasti meravigliati dall'economia
chumash, così complessa da poter essere paragonata a quella cinese. Come moneta gli indios usavano conchiglie
e organizzavano regolarmente fiere, dove oltre al baratto si concordavano i matrimoni.
Il mistero di quell'uomo adorato dai bianchi, condannato alla crocifissione, confondeva gli indios, che non
comprendevano il vantaggio di soffrire in questo mondo per godere di un ipotetico benessere in un altro. Certo,
nel paradiso cristiano si poteva stare su una nuvola a suonare l'arpa con gli angeli, tuttavia la maggioranza di loro
preferiva di gran lunga, dopo la morte, cacciare orsi con i propri antenati nelle terre del Grande Spirito. Non
comprendevano nemmeno perché gli stranieri piantassero una bandiera per terra, tracciassero linee immaginarie,
la dichiarassero di loro proprietà e si risentissero se qualcuno vi entrava per inseguire un cervo. L'idea di
possedere la terra risultava loro assurda quanto quella di spartirsi il mare. Quando a padre Mendoza giunse la
notizia che varie tribù erano insorte al comando di un guerriero con la testa di lupo, recitò le sue preghiere per le
vittime ma non si preoccupò eccessivamente, perché era certo che San Gabriel non corresse alcun pericolo. Far