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Sembriamo quasi averci preso gusto nel ferirci a vicenda. Hai minacciato di andare via, 'sta volta, dopo averti dato l'ennesima coltellata, e solo a quel punto ho posato il coltello e preso le bende. Per qualche istante siamo tornati ad amarci come prima, come una volta, come facevamo prima di questa assurda lotta.
Amati talmente tanto da diventare ossessione, e dall'ossessione all'odio il passo è stato veloce. Ma no, non ci odiamo abbastanza. O meglio, l'odio fa a gara con l'amore, ma sono in parità da troppo tempo, e questo ci sta distruggendo.
Io ti ferisco, tu cerchi di scappare, io ti fermo, e poi il ciclo ricomincia, ma all'inverso: sarai tu a ferire me, io ad andare e tu a ricucire le ferite. Non riusciamo a persuaderci del fatto che questa partita a scacchi che stiamo continuando a cercare di vincere non avrà un vincitore o un lieto fine. Ché io e te, Jungkook, siamo poli uguali che non possono avvicinarsi, neanche volendo: se lo facessimo, finiremmo per respingerci inevitabilmente. Lo sai, no, Jungkook? Tu lo vedi, questo lieto fine? Questo gioco d'odio e d'amore che portiamo avanti ci ferisce e basta, ché nessuno dei due è più furbo dell'altro al punto da ricevere un premio che reciti "Hai vinto il tuo posto felice! Buon finale da fiaba!", ché non c'è nessun premio, ché qui si vince solo quando l'uno ha distrutto entrambi. Altrimenti si continua a giocare.
Mi stai uccidendo, come io sto uccidendo te, e non riesco ad incolparti, perchè guardandoti negli occhi vedo solo quanto tu sia bello e l'amore, il tuo e il mio, riflesso nelle tue iridi dolci. Poi torna il dolore, e s'annulla tutto. Ossessione, amore, odio, gelosia: tutto s'inchina davanti al nostro dolore.
Come siamo passati a questo? Cosa ci ha fatto quella maledetta gelosia, guidata dall'ossessione? Ché ci amavamo senza limite, senza confine, senza capirci davvero, e questo sole, senza te, si sta spegnendo.
Poi la prima ferita, touché, fu colpa mia. La gelosia ha guidato il mio passo dalla prima ragazza. Doveva solo rendermi così stupido da non pensarci, da anestetizzare, ma dopo il dolore s'è fatto di nuovo forte e prepotente, e il rimorso ha coperto tutto. Corsi a dirtelo, forse ero ancora sotto anestetico mentre speravo mi avresti perdonato. A pensarci a mente lucida sarebbe stato assurdo farlo, e al tuo posto neanche io l'avrei fatto.
Fu lì che ci perdemmo. Mi guardasti, gli occhi lucidi che mi ferirono forse più di ogni ragazza che ti trascinavi dietro ogni sera. Mi feristi, ti avvicinasti piano e, sollevata la testa, i tuoi occhi conficcarono la spada nel petto. Fece male, è innegabile, ma forse me lo meritavo. Così come meritavo tutte le parole rabbiose e deluse che mi rivolgesti dopo. Era vero tutto quello che mi urlasti, che potevo correre da te e non da una qualsiasi, che stavamo ancora insieme, anche nascondendolo, che tu avresti potuto farmi dimenticare il mondo, che non mi serviva una bambola di pezza, da usare e poi lanciare in qualche cassonetto.
Quella sera vincesti tu, i tuoi occhi furiosi guardarono i miei piangenti e un nuovo freddo si impossessò di loro. Un freddo che li possiede ancora e che ha contagiato anche i miei. Un freddo che si scioglie solo nei momenti in cui decidiamo di amarci, per poco, fugacemente e con fatica. E se anche ci amiamo ancora, entrambi puntiamo alla vendetta, al far del male all'altro, senza accorgerci che facciamo del male anche a noi stessi. E lo facciamo inconsapevolmente, ci basta guardare gli occhi ghiacciati dove sotto la vita del sentimento scorre ancora per farci partire in quarta alla ricerca dello strumento di tortura più crudele.