capitolo 0

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Alex pov.

Sentivo i polsi e le caviglie bruciare, le cinghie che mi tenevano ferma al lettino erano così strette che mi stavano letteralmente scalfendo la pelle. Potevo chiaramente sentire la carne cruda a contatto con l'aria e l'odore matallico del sangue mi pizzicava fortemente le narici, ma nonostante tutto il dolore ancora cercavo di divincolarmi per liberarmi, come se avessi una dispensa di energia maggiore di chiunque altro.
   - Inizia ad aver effetto... -, avevo sentito dire da uno di quei scienziati che mi avevano ingannato, che ci avevano ingannato. Sapevo di non essere sola, c'erano altri bambini oltre a me e qualche criminale con la pena di morte, ma nonostante sapessi tutte queste informazioni non avevo la minima idea quale fosse l'obiettivo di quei pazzi.
   - ... e se il suo gene non si svilupperà più di così finirà per morire di infezione, ma a differenza degli altri lei è già in parte un mutante -. Cosa intendessero come "mutante" ancora non lo sapevo, ero troppo piccola per sapere di essere diversa da gran parte dei miei coetanei.
Ogni volta che li vedevo avvicinarsi a me con quella strano siringa piena di un liquido violaceo iniziavo a tremare, e se non fosse per lo scotch attorno alla bocca avrei iniziato ad urlare finché non mi si sarebbero spezzate le corde vocali come se fossero due grissini. Quando poi sentivo il liquido scorrermi nelle vene, era come se quella sostanza fosse viva e cercasse di farsi largo in tutto il corpo, e poi una strana sensazione mi faceva svenire a lungo ma poi risvegliare più forte, sempre più energica. Per questo motivo ogni giorno facevano in modo che non fossi capace di muovermi, anche se questo significava procurarmi lividi e ferite.
Ma un giorno, quel giorno, qualcosa era cambiato.
L'ultima iniezione era stata la più dolorosa, ed infatti prima di svenire pensai che non mi sarei risvegliata più, tuttavia quando i miei occhi incontrarono la luce della lampadina e non quella dell'aldilà capii che le mie pene non sarebbero ancora terminate. All'epoca, se non ricordo male, credevo ancora in Dio e mi chiedevo spesso il motivo di tutto quel dolore siccome, prima di allora, non aveva fatto nulla di male e per una piccola e innocente mente come la mia quella in qualche modo era una punizione divina.
Ciò che mi sorprese di più dopo quel risveglio fu l'assenza di dolore a caviglie e polsi, come se tutte quelle ferite che ormai avevano raggiunto le bianche ossa non fossero mai esistite. E fu un certo prurito che si espanse dal cuore fino alle estremità del mio corpo a farmi alzare violentamente il torso dal lettino di ferro, spezzando le cinghie di cuoio che poco prima mi tenevano salde le spalle e il torace. Ma come era possibile? Prima di allora non ero mai riuscita a fare una cosa del genere e quando il mio sguardo scivolò su un polso lo vidi intatto, con solo un sporco rossore nella cute causato dal sangue che ormai si era incrostato. E così, con tutta la forza che avevo in corpo, spezzai le cinghie di entrambi i pulsi liberandomi successivamente anche la bocca dallo scotch e le gambe, ritrovandomi con i muscoli indolenziti che dopo un breve e doloroso stiramento tornavano caldi e morbidi.
Mi sentivo diversa, forte e invincibile, e stranamente non mi chiesi come le mie ferite fossero sparite improvvisamente, ma mi concentrai solo a scappare. Istintivamente portai lo sguardo verso l'uscita, la quale era sigillata meglio di un carcere. Camminai a piedi nudi verso la porta e tentai in diversi modi di aprirla, provando perfino a sfondarla di peso. Ogni colpo sembrava rimbombare per tutto l'edificio, ed infatti non ci volle molto che iniziai a percepire un allarme seguito poi da dei veloci passi e delle voci familiari, ovvero quelle dei scienziati. Subito fui presa dal panico, e iniziai a tremare e camminare all'indietro rannicchiandomi sempre di più, finendo per sbattere con la schiena contro il muro e ritrovandomi su un angolo della piccola stanza isolata. Sapendo di ritrovarmi in trappola e sentendo digitare il codice della porta dall'esterno, i miei occhi corsero da una parte all'altra in cerca di una seconda via di fuga e finì per incrociare una telecamera che mi fissava, con un bollino rosso che lampeggiava a intermittenza. E nonostante avessi a malapena dieci anni, la mia mente aveva analizzato e elaborato lo spazio, il tempo, e tutti gli oggetti presenti con una velocità sovrumana, arrivando alla conclusione che cercare una seconda via sarebbe stato solo sforzo sprecato siccome, in qualsiasi caso, era osservata.
Come previsto, una decina di uomini della quale più della metà armati, entrarono nella piccola e trasandata stanza circondandomi a semicerchio. Sentivo i peli delle braccia drizzarmi, e il cuore battermi sempre più forte nel petto come se da un momento all'altro esplodesse, eppure iniziai a muovermi controllata da una forza superiore. Era come se fossi manovrata da un burattinaio con fili invisibili, e il prurito al corpo che avevo percepito al risveglio era tornato ancora più fastidiodo. Inizia a colpire gli uomini armati, afferrandoli per un arto e lanciandoli o verso il muro o verso altri suoi simili, percependo ogni loro osso e muscolo che si frantumava.
Mi sentivo un animale e non più un essere umano, e per qualche attimo finii a pensare chi dei due fossi veramente.
Un caos di spari, urla e sangue.
Iniziai a piangere, mentre finalmente riuscivo a farmi strada verso l'uscita ma ritrovandomi poco dopo in un vicolo ceco, mentre dietro alle spalle mi stavano raggiungendo chissà quante persone ancora. La paura stava prendendo sempre di più il sopravvento e gli occhi mi bruciavano così forte che facevo fatica a vedere, ma l'udito continuava a percepire chiaramente tutto ciò che in quell'edificio stava accadendo, tra urla passi e sirene. Se prima mi muovevo senza essere molto cosciente nel farlo, in quel momento mi sentivo tutto il corpo rigido e tremante, freddo come la pietra.
E poi, ci fu un'enorme boato.
A causa del forte rumore mi ero portata entrambe le mani alle orecchie, e quest'ultime iniziarono a fischiare e poi non ci sentì più nulla. Nel frattempo, dopo quella forte esplosione, avevo percepito l'edificio prima traballare e poi crollare lentamente, e quasi finii per cadere a causa di una grande scossa. Lentamente inoltre le immagini visive mi si fecero più chiare: grandi fiamme calde, pezzi di pareti e aste di metallo a terra, un forte udore di bruciato che mi soffocava i polmoni e un insopportabile calore sotto la pianta dei piedi.
Non sapevo che fare, anche con un solo movimento sentivo il pavimento cigolare come se da un momento all'altro crollasse, ma non potevo nemmeno rimanere lì e morire lentamente nelle braccia delle fiamme infernali.
Dovevo scappare.
Senza pensarci troppo, iniziai a correre attraverso le fiamme, sentendo il forte calore contro la pelle nuda e i vestiti che bruciavano, ma nonostante questo non sembravo subire alcuna lesione come se la mia cute fosse indistruttibile. Ma in quel momento non ci pensai più di tanto, anche perché non riuscivo neppure più a respirare.
"Aiuto, aiuto!" la gente lì stava morendo, le loro urla mi rimbombavano nei timpani che erano tornati improvvisamente a funzionare, e se non fosse per il forte calore le lacrime mi sarebbe corse sul viso sapendo di non poter far nulla per salvarli. Infondo, prima che mi rinchiudessero in quella piccola stanza, mi tenevano in un'altra sala insieme ad altri bambini più o meno miei coetanei, e spesso ci spostavano insieme a un gruppo di criminali che se non fosse stato per un collare con elettroshock probabilmente avrebbero abusato di noi, e questo per quattro anni. Con loro avevo passato i peggiori momenti della mia vita allora, tra i quali il lavaggio del cervello e l'addestramento, senza parlare delle inizioni.
Ma in quel momento, capii che non era il tempo di cercarli e salvarli, dovevo pensare a scappare e a salvarmi.
Mentre mi cercavo intorno senza ormai più fiato e con i polmoni che bruciavano, mi sentii improvvisamente afferrare una caviglia e quando guardai in basso notai un uomo sulla trentina, con più di metà corpo coperto e bloccato da diversi detriti, alcuni di questi molto pesanti, che riconobbi solo diversi secondi dopo mentre cervano di liberarmi.
   - Ragazzino... per favore... liberami! - mi sentii subito disgustata, non tanto per la mancanza di una guancia del criminale, ma per alcuni ricordi che mi vennero in mente in quel momento.
   - Vai all'inferno bastardo! - Gli avevo risposto schiacciandogli il braccio con il piede libero, sentendo le sua ossa frantumarsi come grissini. Urlò e mi lasciò la presa, e prima di ritornare tra le fiamme lo guardi un'ultima volta come se avessi avuto il presentimento che in futuro lo avrei rivisto.
Tornai quindi a correre, schivando detriti accumolati al suolo e quelli che si spezzavano cadendo dal soffitto, venendo costretta più e più volte a cambiare strada a causa delle vie bloccate. "È davvero questa la mia fine?" Avevo pensato mentre cercavo un'altra via di fuga, notando una finestra aperta infondo al corridoio.
Mi asciugai il sudore della fronte, piegando leggermente le ginocchia e iniziando successivamente a correre il più velocemente possibile, ignorando qualsiasi pericolo e tuffandomi fuori dalla finestra.
Mi ritrivai così a cadere nel vuoto e nel buio, circondata dal nulla.

...

E quella maledetta sensazione di caduta mi fa svegliare di soprassalto, spalacare gli occhi e stringere fortemente le lenzuola nel palmo delle mani. È successo di nuovo, ed infatti il formicolio all'intero corpo non tarda ad arrivare.
Ho nuovamente sognato il passato, sognato quel giorno.
Mi passo una mano tremolante nella fronte, asciugandola dal sudore e sospirando lentamente per riacquistare il corretto battito cardiaco. La luce del mattino entra placa attraverso le tende della finestra, e il rumore del traffico mi trapana l'udito ma l'odore di rosa canina della stanza mi fa sentire subito più rilassata, e il plurito in tutto il corpo inizia a diminuire sempre di più.
Peccato che, spostando lo sguardo verso la sveglia, capisco di essere maledettamente in ritardo.
- Merda! L'appuntamento con con Peter! - esclamo scendendo subito dal letto e afferrando un mucchietto di vestiti sopra alla sedia della scrivania, per poi uscire dalla stanza e chiudendomi dentro il bagno.
Appoggio gli abiti sopra a un piccolo ripiano e porto entrambe le mani sotto l'acqua del lavandino, per poi buttarmi l'acqua nel viso e sollevare lo sguardo verso lo specchio. Sbatto più volte le palpebre prima di riuscire a mettere meglio a fuoco la mia figura, e ciò che vedo mi provoca una profonda scossa lungo tutto il corpo: i capelli sono tornati al loro biondo fragola naturale, ancora.
Questo non ci voleva proprio.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Jul 26, 2019 ⏰

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