Only one of the two

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“Come un fiume comparato ad una goccia di pioggia 

Ho perso un amico 

La mia testa ubriaca è un diavolo in una tana di leone 

E stasera so che tutto deve ricominciare 

Quindi, qualunque cosa tu faccia, non lasciar perdere.”

'Us aganist the world'- Coldplay

Non saprebbe dire se quell’immobilità che lo aveva colto all’improvviso –irrigidendogli tutti gli arti del corpo e i pensieri- fosse cosa da due minuti o se stesse lì, ai piedi della navata, da pochi istanti.

Tutto quello che John sapeva era che stava per sposarsi, ma che portava un lutto nel cuore.

I barbagli di luce che filtravano dalle vetrate della chiesa rischiaravano, in una sorta di mistica atmosfera, tutto l’immenso interno del luogo conferendo un’aura di candida luce persino alle teste degli invitati che, a causa proprio di quell’intensità inaspettata, John non riusciva a distinguere.

Procedette con passo incerto in avanti, ambendo a sottrarsi da quello stato di rigido rifiuto, e serrò i pugni lungo i fianchi per costringersi a rimanere integro, combattendo contro una parte di lui che voleva frantumarsi al suolo.

Pensò che il cammino che  i suoi passi stavano calpestando fosse il più lungo di tutta la sua esistenza. E la sua esistenza poteva benissimo ripetersi nell’arco di quei rimbombi sordi dei tacchi delle sue scarpe, tirate a lucido per l’occasione.

Stava andando tutto bene.

Poi lui era tornato.

Ed ora, superando i primi banchi, avvertì la sua presenza come fosse elettricità.

Non si sarebbe voltato per niente al mondo e una volta raggiunto l’altare volse lo sguardo in alto, quasi stesse facendo ammenda per ciò che la notte precedente aveva lasciato accadere, e di cui non si pentiva:

Seduto sulla poltrona, affondato nel tepore del tessuto di pelle e con un libro in mano che non stava realmente leggendo, John si accorse dell’ombra allungata di Sherlock che indugiava sulla soglia della porta. Provò istantaneamente un brivido lungo la colonna vertebrale poiché c’era stato un tempo in cui avrebbe giocato carte false e compiuto l’impossibile anche solo per rivedere quella sagoma accanto alla sua.

-“John?”

La voce di Sherlock lo raggiunse come una pugnalata, costringendolo ad abbassare le palpebre e chiudere il libro con un gesto secco, ansioso; non rispose subito, ma non ce ne sarebbe

nemmeno stato il bisogno perché il suo –ritrovato- coinquilino, ora, si stagliava contro di lui.

Il buio della stanza rischiarato solo dalla debole luce di una candela e quello della notte mobile che li avvolgeva rendevano la sua figura evanescente, quasi dovesse scomparire da un momento o l’altro.

L’ex medico si passò un dito sulle labbra, poi finalmente si decise ad alzare lo sguardo verso Sherlock.

E incontrò i suoi occhi. Quegli occhi mercuriali che un tempo indugiavano su indizi, crimini, che giudicavano colpe e avvaloravano prove; quegli occhi fin troppo azzurri –con quella microscopica gocciolina marrone che John si erano ritrovato più e più volte a rimembrare durante l’assenza- che si erano posati con indulgenza su di lui per tutta la sera, lì, in un locale di Londra dove stava festeggiando il suo addio al celibato.

Per tutta la durata della cena John si era ritrovato a cambiare posa sulla sedia, ma ogni volta trovava la posizione appena assunta ancora più scomoda di quella precedente, questo fin quando capì che non c’era proprio niente da fare: dallo sguardo di Sherlock Holmes non ci si poteva salvare.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Oct 15, 2014 ⏰

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