♟ first

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Le note della suoneria -Highway to Hell- risuonarono gracchianti. Giunse alle sue orecchie storpiata in maniera quasi sacrilega, quella canzone che adorava, dal microfono del cellulare.

Una sola persona era tanto stupida da credere di poterlo chiamare pochi minuti prima della mezzanotte senza doverne pagare le conseguenze, eppure era esattamente così. Per quanto odiasse quell'uomo avrebbe fatto meglio a rispondere e sottostare ai suoi capricci; dopotutto, anche se la cosa non gli piaceva per niente, non era lui che aveva il coltello dalla parte del manico. Doveva agire cautamente, essere un bravo soldatino pronto ad eseguire, anche se significava mettersi in ridicolo. In quella situazione la priorità non era il suo orgoglio, c'era in ballo qualcosa di molto più importante e non poteva rischiare di essere sostituito, non ora che mancava così poco. Quel lavoro era tutto.

Esalò un profondo sospiro, mentre si disfava delle lenzuola e cercava a tastoni il telefono abbandonato sul comodino, fino ad afferrarlo con le dita sottili.

Quando le nude piante dei piedi toccarono il legno vecchio del pavimento un brivido di repulsione gli corse lungo la schiena. Odiava quel posto. Le assi ormai scheggiate e molli d'umidità, il mobilio usurato, l'aria pesante. Eppure, ironia della sorte, era il luogo perfetto per uno come lui, marcio tanto quanto il legno e forse anche di più.

Accettò la chiamata.

Si dia il via al solito teatrino.

  «LaChance, ma che piacere! Splendida serata, non trova?» esclamò, celando il proprio sarcasmo dietro un tono di voce amichevole e spensierato.

Prese a camminare avanti e indietro sul tappeto polveroso tra il grande letto a baldacchino e la scrivania di legno tarlato, fermandosi poi sotto alla finestra. Oltre il vetro, il cielo notturno era scuro e privo di stelle, anche la luna non era altro che un pallido miraggio coperto da uno strato sottile di nubi. La stanza era avvolta in un'oscurità quasi perfetta, rotta da un'unica, flebile luce proveniente dalla strada.

  «Non giocare con me, Stonewall, la tua vita è appesa ad un filo» la voce di LaChance appariva calma, ma Caleb poteva percepire l'ira che vanamente tentava di celare. Ah! Quell'individuo era proprio uno spasso. «Mancano cinque giorni al 14 di aprile. Che cosa hai fatto, in tutto questo tempo? La mia pazienza ha un limite»

La tua paura, invece, no.

Un ghigno divertito si dipinse sulle labbra del giovane, durò solo pochi istanti e poi venne tramutato in un sorriso imbarazzato. Si portò una mano dietro la nuca, completamente coinvolto nella sua recita perfetta, una trappola in cui chiunque sarebbe caduto.

   «Boss... le ho già spiegato come lavoro. Diciamo che le mie abilità richiedono un po' di tempo»

  «È falso, non mi hai spiegato proprio un bel niente riguardo al tuo... metodo»

L'importante è che tu lo tema.

  «Non ho mica intenzione di deluderla, LaChance, può stare tranquillo. La saluto!» e si affrettò a chiudere la chiamata, prima che la conversazione si prolungasse più di quanto non fosse necessario.

Finalmente lasciò che la rabbia e l'odio prendessero possesso del suo corpo e con enorme soddisfazione scagliò il cellulare contro la parete, osservando compiaciuto una ragnatela di crepe disegnarsi sul vetro. Si chinò a raccoglierlo, ma si rese subito conto del fatto che l'oggetto fosse oramai inutilizzabile.

Una risata sottile -suonava come di scherno- giunse dalla parte più in ombra della stanza. Lì dove si trovava il capezzale del letto un paio di occhi cremisi lo scrutavano divertiti, brillando nel buio. Il loro proprietario era rimasto pazientemente in silenzio per tutto quel tempo, tanto che anche il suo respiro era diventato quasi impercettibile, trattenendo per sé -e, d'altronde, era suo solito- osservazioni e commenti. Finalmente si permise di parlare, senza preoccuparsi di nascondere il tono divertito

target『fudoukidou』Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora