RESTI SULLE FERROVIE

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Asfodelo camminava curvo e con la testa inclinata all'ingiù. Diceva che lo aiutava a non guardare gli altri e non essere guardato a sua volta.
Odiava venir osservato, era strano lui, secondo il parere della gente, e lo sapeva che era ciò che pensavano ma ogni volta si ripeteva:
"mille volte meglio strano, che come loro".

Non aveva una ragazza, quantomeno un ragazzo; non aveva amici; non voleva compagnia; non andava a scuola, preferiva la solitudine; non sorrideva; non rideva.
Era sempre impassibile, una statua senza anima e senza cuore.
"mille volte meglio essere una statua, che un dipinto d'emozioni", si ripeteva sempre.

I genitori non potevano essere definiti tali. La madre lo odiava, per quanto ciò poteva essere possibile, non lo sopportava, voleva solo un figlio normale, con amici e ragazza.
Il padre beveva. Beveva davvero molto, tanto. Lo si trovava sempre con una bottiglietta di birra in mano con il collo infilato nelle sue fauci.
Era aggressivo, molto. Non faceva altro che picchiare il figlio e bere. Picchiare e bere, anche contemporaneamente, nulla lo fermava. Non si sapeva se lo picchiasse perché lo odiava o perché era costantemente ubriaco, fatto sta che ogni sera doveva spaccargli almeno il labbro inferiore e fargli un occhio nero, come se non fossero già accerchiati da chiazze scure a causa dell'insonnia.
Era per questo che odiava la sua "casa", la sua "famiglia", il mondo. Stava sempre fuori.
"mille volte meglio stare in giro, che in quella catapecchia", si ripeteva.

Era tormentato costantemente da delle voci.
Voci in testa, per capirci. Erano tante, tantissime, non riusciva mai a contarle tutte.
Parlavano, parlavano, parlavano, e non la smettevano. Lo facevano rimanere sveglio la notte.
"non vedi che orrore che sei? non è meglio fare un favore a tutti e sparire per sempre dalla faccia della terra?", gli diceva una.
"sei nato per soffrire e far soffrire"
"se avessi il controllo di questo corpo, mi sarei già messa una corda al collo"
"sei odiato da tutti, persino da te stesso. perché continui a vivere?"
E altre simili sentenze di morte.
Non riusciva ad abituarsi a quelle voci, erano fastidiose e irritanti.
Sbatteva sempre il capo al muro più vicino finché non smettevano per qualche minuto di parlare, ma poi riprendevano.
Aveva delle cicatrici sulla fronte.
"mille volte meglio il dolore, che quelle voci", diceva.

Il ventidue di un grigio febbraio, aveva assistito alla milionesima scenata dei suoi genitori che litigavano e rompevano qualsiasi cosa era frantumabile.
Gridavano cose. Cose che lui non ascoltava mai. Cose che potevano centrare con lui, cose che lo riguardavano, o semplicemente erano stupidaggini.
Neanche si amavano, i suoi genitori.
"mille volte meglio litigare, che amare", ripeteva a se stesso.

Il ventidue di un grigio febbraio, era uscito da casa a causa del rumore del litigio dei genitori.
Non aveva una meta precisa, andava un po' ovunque gli capitava, ma mai andava in posti affollati.
Con capo chino, aveva attraversato tutte le strade attraversabili, senza fermarsi al rosso dei semafori.
Le voci però, non lo lasciavano in pace. Gli gridavano parole d'odio, parole di morte e suicidio. Erano davvero persistenti questa volta. Così tanto che rischiò di essere investito un paio di volte.
Teneva la testa tra le grandi mani e la scuoteva, poiché lì intorno non vi erano muri su cui sbattere.
Solo che le voci non si fermavano. Continuavano a parlare e parlare.
Lui non ce la faceva più. Era troppo da sopportare. Troppe voci, troppe persone, troppi litigi, troppo male.

Le voci andavano più persistenti di prima. Erano davvero numerose, intenzionate ad esortarlo ancora di più.
Non poteva controllarle, non poteva farle smettere, non poteva neanche parlarci. Ma ascoltava, ed era quella la cosa peggiore.

Il ventidue di un grigio febbraio, un ragazzo di nome Asfodelo, un tipo strano che sentiva le voci, si stava dirigendo verso le ferrovie, unico posto tranquillo senza nessuno nei paraggi.
Con il capo tra le mani, era riuscito ad attraversare la rete attraverso un foro aperto da chissà chi.
Era rimasto fermo ad aspettare, mentre si contorceva dal dolore delle voci disumane.
Un fischio, era quello il segnale.

Il ventidue di un grigio febbraio, a dieci minuti dall'impatto con il treno, si potevano vedere i resti del corpo di Asfodelo, viscere e carne.
Solo la testa era rimasta intatta, con ancora le mani, staccate dal resto del corpo, attaccate ad essa.
E un sorriso di pace in viso.
Asfodelo, che non sorrideva mai.
"mille volte meglio morti, che con le voci in testa", si era ripetuto per l'ultima volta.

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𝐑𝐄𝐒𝐓𝐈 𝐒𝐔𝐋𝐋𝐄 𝐅𝐄𝐑𝐑𝐎𝐕𝐈𝐄Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora