Oggi ti ho vista.
Eri seduta in un bar, da sola, a bere un thè. Quanto tempo è passato? Mesi, anni? Sì, anni. Eppure ti ho riconosciuta. Non sei cambiata poi così tanto, sembri ancora quella ragazzina timida, curiosa di conoscere il mondo. Indossavi un vestito celeste, lungo fino a poco più sotto del ginocchio. È un vestito elegante, che fa risaltare le forme del tuo corpo. Il tuo corpo è diverso da come lo ricordavo, le tue curve sono più risaltate. Indossavi persino dei tacchi, da ragazzini li detestavi. Ora ti stanno bene, fanno spiccare le tue lunghe gambe. Sembravi diversa, ti muovevi con sicurezza, accavallavi le gambe con eleganza e sensualità. Sembravi sicura di te, il telefono ti squillava in continuazione, tu rispondevi con il viso serio. Non sei affatto quella ragazzina che ricordavo. Ora il mondo sembra essere ai tuoi piedi. Era così anche anni fa, ma ora ne hai coscienza. Ora sembra che tu sia consapevole del tuo valore.Ti ho vista, con i tuoi soliti capelli lisci e la pelle bianca. Tu sei cambiata, il tuo corpo è sbocciato, ma il tuo viso è sempre uguale. I lineamenti precisi, gli zigomi alti, gli occhi verso l’insù e le labbra carnose. Eri bellissima anni fa e lo sei ancora di più ora. Sono stato a guardarti di nascosto per un po'. Volevo venire a parlarti ma non ne avevo il coraggio. Mi vergognavo. Come potevo parlarti, dopo tutto quello che ti ho fatto? Sembravi felice e sola. Non volevo rovinare il tuo equilibrio, farti rivivere brutti momenti, incasinarti la vita. E poi, parlarti per dirti cosa? No, tu sei andata oltre, l'hai superata, non c'è bisogno di riaprire vecchie ferite.
Mentre ti guardavo, ho ripensato ad una cosa. Ho ripensato al tuo cappello rosso. Quello che indossavi sempre per venirmi ad incontrare nel nostro inverno gelido. Abbiamo persino una foto in cui indossavi quel capello, chissà dove sarà finita. Ricordo quando dicevi abbracciami, ho freddo, solo tu riesci a sciogliere il mio ghiaccio. Tutto ciò che dicevi era poesia, a quei tempi mi sembrano solo tante belle stronzate. Una volta mi facesti leggere un racconto da te scritto. Era una storia d’amore, forse parlava persino di me. Tu mi chiedessi un parere, “beh che ne pensi, come ti sembra?” come se ne capissi qualcosa. Io ti dissi solo che la protagonista sembrava una sfigata. Tu non mi parlasti per ore, poi capii che la protagonista eri tu, che quel racconto parlava di te. Ti chiesi scusa, ma ormai era inutile.
Ricordo le ore perse a pensare ad un posto tranquillo dove passare le serate. E puntualmente ci rifugiavamo nella stazione. Di notte è più bella, dicevi, ogni cosa sembra più bella a luci spente. Poi guardavi le stelle seduta su una panchina, non sembravano poi così lontane da quella prospettiva. Poi ti giravi verso di me e dicevi di aver paura di dimenticare il mio viso. Passavi i polpastrelli lentamente sulla mia fronte, sulle ciglia, sul naso, sulle labbra. Sembrava quasi mi stessi disegnando, come se mi stessi creando tu in quel momento. Hai sempre avuto paura di dimenticare. Il tuo portafoglio sembrava un cimitero di scontrini e biglietti dell’autobus. Dietro c’era sempre scritto qualcosa, il nome della tua migliore amica o il mio, una data, una frase. Avevi anche il primo biglietto del treno che avevi preso per venirmi a trovare. Hai sempre avuto bisogno di prove materiali che testimoniassero la tua esistenza. La tua mente non ti bastava, avevi necessità di toccare i ricordi. Io ti prendevo in giro e tu mi dicevi che il portafoglio era solo la versione tascabile, che camera tua fosse piena di foto, di diari, di lettere. Non mi era difficile immaginarlo.
Ricordo anche che quando ci lasciammo mi dicesti di non riuscire a dimenticarmi, come per ironia della sorte. Come se quei ricordi a cui eri così tanto affezionata ti si fossero rivolti contro.Da ragazzini ti detestavo perché riuscivi sempre a trovare un lato positivo. In realtà non ti detestavo; ti invidiavo. Nelle persone riuscivi a tirar fuori il loro lato migliore, mentre io ero bravo solo ad incasinare la vita altrui. Tu riuscivi a trovare la bellezza anche nei fiori appassiti, calpestati, li raccoglievi e li attaccavi sul tuo diario come per commemorare la loro breve esistenza. Ed io ti penso ogni volta che vedo un fiore appassito, come per commemorare te.
Dopo qualche minuto hai messo via il telefono, hai posato la tazzina sul tavolo e ti sei messa a sfogliare un libro. Hai sempre adorato i nuovi libri e quando li terminavi dicevi di essere cambiata. Io ti chiedevo il motivo e tu rispondevi di aver vissuto una vita in più. Ora ho capito cosa intendevi. Vedi, tu per me sei stata quella vita in più. Sei un libro di cui non saprò mai il finale perché me ne sono stancato troppo presto.
Quando ci lasciammo ti chiesi se mi odiassi. Tu hai risposto di no, che il bianco non può diventare nero, al massimo si trasforma in qualche tonalità del grigio. Dunque, hai aggiunto, non si può odiare chi si è amato una volta, l'amore non può trasformarsi in odio, al massimo può diventare rabbia, rancore, ma mai odio. Ed io quasi fui deluso della tua risposta. Avrei preferito che tu mi odiassi, piuttosto che continuare ad amarmi nonostante avessi frantumato il tuo cuore. Chissà cosa provi ora quando ti ricordi di me, di noi. Chissà se anche tu provi nostalgia.
L'ultimo ricordo che ho di te, è il tuo viso rigate dalle lacrime. Io ti dissi che era finita e tu mi rispondesti che non era mai iniziata. Mi salutasti così, dicendomi che non ti ho mai vissuta. Ora ti guardo e penso: non ti ho vissuta. Me ne sono andato, ho mollato, mi sono arreso. Tutte espressioni migliori per dire che ti ho abbandonata. Ho sempre amato le cose facili, dimenticandomi che si possono perdere con la stessa facilità. Tu invece eri impegnativa, gelosa, a volte persino fastidiosa. Erano i tuoi meccanismi di difesa. Facevi discorsi filosofici alle tre di notte, mi parlavi di cose di cui non mi fregava un cazzo, romanticizzavi qualunque cosa ti capitasse sotto gli occhi. Io invece volevo qualcosa che non mi facesse pensare. Tu mi amavi, io no, non mentre stavamo insieme. Ti ho amata dopo, quando sei diventata un ricordo, quando ho cominciato a capire i tuoi discorsi filosofici. Ti ho amata in ritardo, quando non era più necessario.
Dopo di te ho avuto tante donne, ognuna di loro aveva qualcosa di te. Ma nessuna di loro è riuscita a disegnarmi come facevi tu, nessuna mi ha mai toccato come facevi tu.Vorrei sedermi vicino a te, prendere un caffè e dirti tutte queste cose. Raccontarti del cappello rosso, dei fiori appassiti, delle stazioni, delle stelle. Vorrei leggere i libri che leggevi tu, vedere la tua collezione dei ricordi, chiederti in prestito il diario in cui annotavi le tue poesie. Vorrei fare tutto ciò che non ho fatto anni fa, farlo come se il tempo si fosse fermato. Vorrei tornare ad avere diciotto anni.
Dopo averti persa - e dopo averti cercata in ogni donna - ho capito che esiste un solo vero amore, per ognuno di noi. Il mio vero amore sei stata tu, ma me ne sono accorto tardi. Vorrei sedermi accanto a te, ma tu non te lo meriti. Tu meriti qualcuno che si accorga della tua bellezza, positività e leggerezza mentre ti ha davanti, mentre ti vive. Io ho perso la mia occasione, devo accettarlo, andare avanti. Meriti qualcuno di meglio, qualcuno che avesse creduto in te quando ne avevi bisogno, qualcuno abbastanza coraggioso da restare. Non posso ripiombare lì, davanti a te, e chiederti semplicemente scusa. È troppo tardi.Sei stata lì seduta per circa mezz’ora, io ti ho guardata per tutto il tempo. Oggi ti ho rubato mezz’ora della tua quotidianità, l’ho fatto di nascosto. Poi me ne andai. Tu eri talmente concentrata a leggere quel libro da esserti dimenticata il tuo thè. Decisi di camminare verso te, ma lo feci in modo furtivo. Mi misi la giacca autunnale e camminai a testa bassa. Non volevo mi vedessi, ma io volevo cogliere i particolari del tuo viso per un’ultima volta. Quando eri abbastanza vicina mi girai a guardarti, eri proprio come ti custodivo nei miei ricordi. Abbassai lo sguardo per rubarti il titolo del libro che leggevi e con stupore mi accorsi che portava il tuo nome.

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I fiori appassiti
Short StoryRacconti nostalgici di un'infanzia serena e di un'età adulta ansiogena.