Ehy! Ciao a tutti cari lettori. In questo momento la mia professoressa di sostegno, Michelle, mi sta aiutando a scrivere questa storia e a correggere gli errori grammaticali e a mettere pezzi più interessanti. Io invece mi sento entusiasta e carico e propositivo. Questa è la storia della mia vita.
Mi chiamo Andrea e tutti mi definiscono un ragazzo speciale (Chi ha il diritto di dire una cosa del genere? Chi è veramente speciale e chi no? Esiste la normalità?).
Comunque, tutto è cominciato durante queste vacanze estive. Siamo arrivati al mare con papà e abbiamo preso un gelato, e abbiamo fatto il bagno, e abbiamo guardato le signorine, e siamo stati molto bene insieme. Ad un certo punto un omone alto, pieno di tatuaggi si avvicina e dice a mio papà:"Questi sono i nostri posti, te ed il tuo figlio down dovete sciacquarvi dalle palle, ci siamo intesi?". Oltre alle minacce, una cosa mi ha colpito moltissimo:la parola "down". Cosa significava? Era un insulto verso di me?. Alla fine, dato che dovevamo andare via, abbiamo ceduto il posto a quelle persone cattive, e, appena seduti in macchina, sono stato spinto dalla curiosità, ed ho chiesto a mio papà cosa significasse quella parola. "Figliolo, lo capirai quando sarai più grande, sappi che non hai un problema, sei solo un po' più lento degli altri, e se per abituarti al mondo ti servirà tutta la vita, allora ti resterò accanto tutta la vita. Ti voglio bene, non dimenticartelo". Amo mio papà, ma non mi aveva ancora risposto, dopotutto, sono down, mica stupido.
Quello che non capisco, di tutta la gente, è perché continui a guardarmi in modo strano, come se non fossi abbastanza per loro o come se fossi un sasso lanciato dentro un vulcano. Non voglio tutte queste attenzioni, non voglio vedere le persone che ridono di me, non voglio avere un'etichetta addosso che non mi fa vivere la vita al massimo, sempre gioioso anche se ci sono difficoltà, come mi ha insegnato mio papà.
Mi sto dilagando, o per lo meno Michelle ha detto così. Ha detto che devo parlare di fatti concreti, reali, e che ai lettori interessa ben poco se vi racconto di quando ho infilato la testa nella zuppa o di quando mi sono chiuso nel bagno.
L'unica cosa che mi piace della scuola sono i computer. Ogni tanto ci penso, e penso una cosa del tipo "wow, che cosa bella, tutto quello che l'uomo conosce, in pochissimo spazio, posso trovare di tutto qui, e anche molto altro!". Da grande voglio diventare un programmatore. I miei compagni mi dicono che non ne ho le qualità, si sbagliano, li straccerò tutti, taglierò per primo il traguardo del successo. Scusate, mi sto ancora dilagando.
Fatto sta che ero curiosissimissimissimo di scoprire cosa significasse la parola "down", così tanto da accendere il computer che abbiamo a casa e...
Ho trovato milioni di cose sulla "gente come me", si pensa che "quelli come me" non pensino, si pensa che "quelli come me" siano lenti a comprendere le cose, e altre cattiverie indicibili che solo a pensarci mi sento male. Il cuore mi si è stretto, volevo piangere. Ho pensato "ma io so pensare" "ma io non sono stupido". Sono sceso di sotto, papà stava guardando la tv. Mi doveva delle spiegazioni. Ho preso il telecomando da sotto al suo sedere, ed ho spento la tv.
"papà, io sono down, vero?"
papà impallidì, non sapeva cosa dire, in certi momenti mi manca la mamma.
"figliolo, tu sei solo..."
"down, non è così? So come funziona Google, so già tutto, ho visto milioni di immagini di gente simile a me"
"ti sei mai chiesto perché la mamma se ne sia andata?"
Ci ho riflettuto un momento, forse anche troppo, la testa mi stava esplodendo, troppe cose, troppo velocemente. Svenni.
Mi svegliai all'ospedale, desideroso di qualcosa, desideroso di riscatto. Io non sono diverso. Io non sono stupido. Venni dimesso quasi subito. Arrabbiato con il mondo ho preso e ho scritto un cartellone, sono sceso alla piazza del mio paese, ed ho manifestato. Si, ho manifestato per chi è down. Perché noi, noi non siamo diversi.