01. Sete di sangue.

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Quanto tempo era passato dall'ultima volta in cui avevo passato una serata fuori senza troppi pensieri e con la certezza che l'indomani sarebbe stato un giorno perfetto? Probabilmente un'eternità, senza ombra di dubbio, ma non potevo rammaricarmene: ero stata io a scegliere di lavorare per l'Ordine della Luce e far parte di un team dell'Unità di intelligence significava dover essere sempre all'erta, anche fuori turno, ed essere psicologicamente preparati a dover affrontare qualsiasi genere di interrogatorio, plasmando le proprie parole in modo tale da strappare la verità anche al più infimo vampiro.
Mi lasciai cadere su uno dei pochi sgabelli liberi del lungo bancone del Nebula - un pub che nel fine settimana, allo scoccare della mezzanotte, si trasformava in un night club- e sventolai una mano davanti al viso del barista più vicino, attirando efficacemente la sua attenzione.
«Un Long Island!» esclamai con un sorriso, ben consapevole di quanto forte fosse come drink. Reggevo piuttosto bene l'alcool e il giorno dopo non dovevo nemmeno andare a lavorare, potevo permettermelo senza troppi problemi.
Con una leggera spinta di piedi feci voltare lo sgabello girevole che, in tutta risposta, produsse un cigolio acuto completamente fuori luogo: controllai l'accenno di pista da ballo dove minimo cinquanta persone si stavano scatenando con le mosse più stravaganti, ma non riuscii a individuare il caschetto rosa fluo di Janette, mia collega e coinquilina.
Mi obbligai a voltarmi quando avvertii qualcuno toccarmi delicatamente sulla spalla e prima ancora che potessi ringraziare il barista per il drink ghiacciato, lo vidi scivolare via verso un altro cliente con un braccio già allungato verso la pila ordinata di bicchieri.
Bevvi un lungo sorso del cocktail e mi si inumidirono gli occhi nell'avvertire l'ondata di calore attraversarmi il petto, ma mi obbligai a mantenere un po' di contegno tornando a scrutare la folla di persone scatenate. Questa volta trovai subito la parrucca colorata della mia amica, cosa che mi permise di tirare un profondo sospiro di sollievo perché, considerato il posto che avevamo scelto per la serata, non mi sarei stupita granché di trovarla con le mani al collo di qualcuno solo perché «Mi sembrava un vampiro».
Se io ero un esemplare accettabile di agente d'ufficio la cui giornata si divideva tra inchieste, ispezioni e interrogatori, lei era la quinta essenza del perfetto Combattente della Pattuglia, sempre pronta a metter mano alle armi per assolvere ai nostri doveri. In sostanza, eravamo due facce opposte della stessa medaglia che avevano trovato un punto di incontro in qualcosa di non troppo convenzionale.
Mi concessi un'altra lunga sorsata del Long Island, lasciando poi vagare lo sguardo sui volti accaldati di chi aveva deciso di sfogarsi con un po' di sano ballo e, così a prima occhiata, individuai un paio di persone che avevano tutta l'aria di essere dei succhiasangue. A parte la pelle pallidissima e lo straordinario fascino che sembrava divenire caratteristica comune di qualsiasi persona trasformata, si potevano riconoscere per come si muovevano tra la folla - con attenzione, quasi a piccoli passi, e con le spalle spesso irrigidite dalla tensione caratteristica di chi è pronto ad attaccare in qualsiasi istante - e per gli occhi sempre in movimento, focalizzati su ogni più piccolo dettaglio per evitare di essere colti in fallo.
Affogai quei pensieri nel drink, rimproverandomi per essere sempre così propensa a portarmi il lavoro ovunque, e lasciai il bicchiere vuoto sul bancone. Ora, senza ombra di dubbio, avevo la mente un po' annebbiata ma ciò non significava che avessi perso ogni briciolo di razionalità; quando vidi Janette avvicinarsi ancheggiando e abbracciata a uno sconosciuto, compresi pressoché al volo che aveva fiutato qualcosa di strano in lui e senza ulteriori indugi balzai in piedi per uscire nel piccolo giardino sul retro.
Un brivido mi corse lungo la schiena quando avvertii lo sbalzo di temperatura, mi passai le mani sulle braccia nel tentativo di scaldarmi un po' e raggiunsi l'amaca appesa agli unici due alberi lì presenti, anche se ero piuttosto sicura che gran parte del peso veniva scaricato a terra dai quattro paletti posti a rinforzo sui tronchi. Mi ci sedetti forse un po' troppo stancamente e lasciai vagare lo sguardo sul quadrato di natura che, poco ma sicuro, mi avrebbe ospitata fino a fine serata dato che l'aria era molto più respirabile: a parte me e una decina di bicchieri abbandonati a terra o sulle poche panche presenti, gli unici presenti erano due adulti accompagnati da una ragazza poco più che maggiorenne e sembravano essere nel bel mezzo di una discussione fatta di sussurri e occhiatacce.
Per quanto il mio cervello mi stesse urlando di guardare da un'altra parte perché spiare gli altri non è mai la scelta migliore se ci si trova al di fuori del contesto lavorativo, quel po' di alcool che avevo bevuto sembrava molto più persuasivo e mi ritrovai a fissare i tre sconosciuti senza alcun pudore mentre pensavo a tutto e niente.
La donna sembrava la più esuberante dei tre con quel suo abitino rosso fuoco che metteva in risalto la carnagione scura e i movimenti concitati di chi sa di avere ragione ma non viene ascoltato. La vidi portarsi una mano tra i capelli in un estremo gesto di stizza e la ragazzina al suo fianco trattenne il respiro con un gesto quasi teatrale, incrociando poi le braccia al petto. Non potei fare a meno di pensare che sembrava troppo giovane per avere un bicchiere di Bloody Mary tra le mani e una sigaretta quasi finita tra le labbra.
D'improvviso la donna si voltò nella mia direzione e i nostri sguardi si incrociarono, situazione che mi fece gelare sul posto in un modo mai provato prima. C'era qualcosa in quei occhi scuri ora improvvisamente freddi, quasi arrabbiati, che mi fece pensare subito al piccolo coltello a serramanico nascosto nella mia borsetta. Poi tornò a guardare l'unico uomo del trio e questa volta furono due iridi azzurre a focalizzarsi su di me con la stessa attenzione che io riservavo ai vampiri sotto interrogatorio: nonostante la lontananza, mi stava palesemente studiando nel tentativo, forse, di capire la ragione del mio sguardo fisso su di loro.
Avrei dovuto voltare la testa dall'altra parte, fingere che nulla fosse successo e tornare dentro al locale per divertirmi con Janette eppure rimasi immobile con lo sguardo incatenato a quello dello sconosciuto.
Almeno finché non avvertii qualcosa di gelido sfiorarmi la schiena. Senza pensarci neanche un secondo di troppo, balzai in piedi e infilai la mano dentro la borsetta alla ricerca del coltello serramanico. Mi bastò un'occhiata al disturbatore, un uomo alto almeno una spanna più di me e dalle spalle fin troppo larghe, per capire che non avrei avuto molte chance con quella misera arma e i riflessi ancora annebbiati dall'alcool; in questo caso il mio allenamento non era di molto aiuto.
Non mi restava che giocarmi la carta della ragazzina innocente per poi piantargli un pugno nello stomaco... o una ginocchiata tra le gambe.
«Come mai tutta sola?» chiese lui, incurvando le labbra in un sorriso divertito. Lo osservai squadrarmi dalla testa ai piedi con un moto di disgusto a serrarmi la gola; per quanto cercassi di accantonare ogni mio brutto presentimento, non potei fare a meno di pensare a un paio di risvolti che non andavano affatto a mio favore e un altro brivido mi corse lungo la schiena.
«Sai com'è, non tutti amano i posti affollati» buttai lì, fissando lo sguardo sul suo viso nel tentativo di mostrarmi quanto più disposta a entrare in contatto con lui. Anche se la cosa mi faceva paura.
Lui, difatti, fece due passi avanti, arrivando a mezzo metro da me. Così vicino potei facilmente notare la piccola chiazza rossa all'angolo della bocca, rossa come il sangue rappreso. Inoltre, gli occhi che fino a pochi istanti prima erano stati castano chiaro, ora avevano assunto un'allarmante sfumatura cremisi.
Deglutii a vuoto quando collegai quelle singolari osservazioni a ciò che implicavano, con i polpastrelli accarezzai la lama del coltellino e ringraziai il Cielo fosse di argento... bastava piantargliela da qualche parte, magari vicino a organi vitali, e il gioco era davvero fatto.
«Mh, hai ragione. Stare da soli è molto meglio» proseguì, la voce ridotta a un sussurro suadente.
Bastò vedere la sua mano sinistra allungarsi verso il mio viso perché qualcosa dentro di me scattasse, quella stessa cosa che mi rendeva una Combattente spietata nelle missioni sul campo - poche, ma pur sempre affrontate. Poggiai la mano libera sulla sua spalla in modo tale da mantenere l'equilibrio, caricai indietro la gamba destra e lo colpii con una ginocchiata nel punto debole di qualsiasi maschio. 
Lo vidi vacillare per un istante, il sorriso che fino a poco prima gli incurvava le labbra si trasformò in una smorfia rabbiosa che metteva in bella vista due canini affilati e le sue mani furono svelte a stringersi attorno ai miei bicipiti nel tentativo di tenermi ferma.
Oh no, non l'avrebbe avuta vinta ora che cominciavo a divertirmi.
Con una velocità che non credevo possibile dato l'alcool ad annebbiarmi i sensi, estrassi il coltellino dalla borsa e lo spinsi alla base del suo collo, stando ben attenta a ferirlo solo superficialmente. La pelle attorno alla piccola ferita assunse quasi all'istante un colorito bluastro, indice del fatto che era davvero un vampiro, e la presa sulle mie braccia si allentò quel tanto da permettermi di rilassare i muscoli. Se un primo contatto così superficiale l'aveva indebolito in tal modo, mi sarebbe bastato tenere la lama al suo posto per mantenerlo soggiogato ai miei voleri.
«Interessanti gli effetti dell'argento, non è vero?» sibilai, aumentando la pressione sul suo collo abbastanza da fargli trattenere il respiro.
Doveva essere una nottata rilassante, una pausa per rilassare i nervi sempre tesi, eppure questo fortuito incontro aveva nettamente migliorato il mio umore. Era come se, nel vedere gli effetti prodotti dalla mia arma, avessi acquistato una forza inaspettata, dettata soprattutto dalla sete di sangue. Perché sì, vedere quell'essere alla mia più completa mercé mi invogliava tremendamente a chiedere un trasferimento nella Pattuglia.
«Ehi, ehi, ehi! Che succede?» chiese una voce femminile a me del tutto sconosciuta. Voltai la testa di scatto con una smorfia infastidita stampata in viso, quasi dispiaciuta d'esser stata interrotta proprio sul più bello, e sgranai gli occhi quando realizzai che a parlarmi era stata la donna dal vestito rosso.
Fu come ricevere una secchiata d'acqua gelida in pieno inverno e solo in quel momento realizzai che m'ero esposta fin troppo con quel mio viscerale senso di disgusto per i vampiri: per quanto il mio lavoro fosse prevalentemente in ufficio e mi permettesse dunque di tenere segreta la mia identità di Combattente, mantenere un basso profilo era sempre la scelta più opportuna onde evitare di ritrovarsi con un cappio al collo - o due canini piantati sulla carne - fin troppo presto.
«Fatti gli affari tuoi» scattai, più a mia difesa che per allontanarla davvero da lì.
Non potevano scoprirmi.
«Abbiamo dei contatti nell'Ordine, ci pensiamo noi» intervenne la ragazzina dai lunghi capelli castani. Con la coda dell'occhio la vidi allungare una mano verso il coltello che tenevo ancora pressato contro il collo dello sconosciuto, sembrava così sicura di sé che non opposi resistenza quando le sue dita gelide fecero leva sulle mie per farmi mollare la presa e poi, aveva appena detto di conoscere qualcuno all'Ordine.
Abbassai lo sguardo ai miei piedi, solo in quel momento mi resi conto che ero in tachicardia e con il fiato corto come avessi appena finito due ore di combattimenti corpo a corpo e tiro al bersaglio. Al contempo, una strana sensazione sembrava scaldarmi il petto: per quanto fossi consapevole d'aver agito in modo davvero inconsueto - la mia routine comprendeva una scrivania, centinaia di dossier informatici e tanta tranquillità -, non riuscivo a sentirmi davvero in difetto perché m'era sembrato così naturale difendermi da quell'essere, anche se, in fin dei conti, non mi aveva ancora fatto del male.
«Sicuri?» mi ritrovai a domandare, guardando i tre sconosciuti senza riuscire a registrare davvero i loro volti. Mi sembrava d'essere immersa in una gigantesca bolla di sapone che mi rendeva la realtà circostante tanto offuscata da farmi girare la testa.
«Ma sì, l'hai indebolito abbastanza da poterlo controllare senza problemi» insistette la donna dal vestito rosso. Ora, così vicine, riuscii a vedere le lunghe treccine che componevano la sua cascata di capelli scuri ondeggiare debolmente a seguito del suo protrarsi verso lo sconosciuto: gli strinse una mano sulla spalla libera tanto forte da farlo grugnire infastidito, con la sola forza del braccio lo costrinse a muoversi verso di lei e lo fulminò con un'occhiataccia che sembrava più di rimprovero che di disgusto.
«Basilia, comunque» si presentò lei, senza però cercare alcun tipo di contatto. Era davvero quello il momento opportuno per le presentazioni? Storsi appena la bocca mentre l'idea d'aver appena fatto una cavolata si formava nella mia testa; una volta tornata a lavoro avrei dovuto controllare se lei fosse effettivamente presente negli elenchi dei civili che supportavano l'Ordine senza farne parte o se fosse imparentata con qualcuno di noi. Dopotutto, non potevano esserci molte persone con un nome così particolare. «E loro sono Edmund e June.»
La ragazzina alzò una mano in segno di saluto e il suo viso dai tratti lievemente orientali non tradì alcuna vera emozione. L'uomo abbozzò un sorriso che, però, non raggiunse gli occhi, troppo impegnati a studiarmi con attenzione come fossi una cavia da laboratorio. Ancora.
«Hayley» risposi, annuendo appena con la testa. Probabilmente, quelle erano le presentazioni più imbarazzanti in cui m'era capitato d'incappare. Avrei voluto ringraziarli per l'appoggio, ma m'ero resa abbastanza ridicola per quella serata e avevo ancora molto su cui riflettere.
«In ogni modo, ottima prestazione» ridacchiò Basilia, facendomi un occhiolino prima di girare i tacchi e incamminarsi verso l'uscita secondaria del Nebula con i due amici a farle strada e  la camicia bianca dello sconosciuto ben stretta nel pugno destro.
Rimasi a guardarli finché anche l'ultimo lembo di tessuto rosso non scomparve dietro la staccionata di solide assi di legno e solo allora mi obbligai a tornare dentro al locale, pronta a convincere Janette a tornare a casa. Avevo fin troppi pensieri per la testa perché riuscissi a divertirmi.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Oct 31, 2019 ⏰

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