16 settembre

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Riesci a sentire il mio respiro irregolare? Sto annaspando.

Quando lentamente e irrecuperabilmente ti vedi scivolare tutto dalle mani, come sabbia tra le dita, ti chiedi se tutto quello che hai costruito sia stato fatto su delle fondamenta solide o se al contrario alla base di tutto ci fosse gomma scadente come chewing-gum che mastichi un paio di minuti e poi sputi all'angolo del marciapiede. Ti senti spaesato, tramortito, scalfito quasi. Un mix di sensazioni sgradevoli che ti obbligano a rintanarti nel tuo angolo disordinato della stanza, a riflettere sul perché tali avvenimenti debbano accadere proprio a te e magari non a quell'altro coetaneo di cui conosci a malapena il nome e che si merita più disgrazie di quante magari possa meritarne tu. Augurare disgrazie ad altri è crudele, ma ho per caso detto di essere innocente? Ho per caso accennato al fatto di essere un angelo?

Era il sedici settembre. Me lo ricordo bene. Reduce da una notte insonne, solo Dio poteva sapere quante poche ore ero riuscito a dormire in quell'ultima settimana. Mi ero chiesto più volte sa sarei finito sull'orlo di un esaurimento. Forse sarei impazzito. Forse avrei perso il senno. O forse un po' l'avevo anche perso quel sedici di settembre.
Ti giri, ti rigiri nel letto sperando che il giorno non arrivi mai, ma subito dopo vedi il cielo schiarirsi, quegli uccelli odiosi iniziare a cantare di prima mattina, il giardiniere del palazzo di fronte incominciare a tagliare erba e, poco affianco a lui, rumori di ristrutturazione del palazzo. Se si fossero messi d'accordo probabilmente non sarebbero nemmeno riusciti nell'intento di risultare così immensamente insopportabili. Ma ahimè, ci erano riusciti. Avevo la soglia di sopportazione e pazienza pari a zero e dopo essermi sforzato di non scoppiare in un pianto isterico, ci avevo rinunciato. Avevo rinunciato al riposo. Avevo rinunciato alla sanità mentale. Non ne potevo più. Su quelle lenzuola sgualcite, che mi ero ripromesso da giorni di cambiare, c'ero io.

Non mi ero reso conto di quanto potesse essere deprimente la vita. Una mattina ti svegli -nonostante non mi fossi nemmeno addormentato-, ti alzi a sedere sul letto, fissi con occhi e cervello atrofizzati per il poco sonno quelle tue quattro pareti inutili della stanza e ti accorgi che non odi più nessun rumore. E solo in quel momento pensi che forse il giardiniere e gli uccellini non erano tanto male, perché sentire il caos nella tua testa fare eco nel silenzio era molto più straziante. Solo in quel momento, in quel silenzio, nessuno attorno, nessuno che si affacciasse dalla porta per dare il buongiorno, nessun messaggio sullo schermo del telefono, nessuno disposto ad udire il mio caos interiore, mi ero reso conto che non mi ero sentito mai così solo in tutta la mia vita. Nessuno può sapere cosa provi, nemmeno la persona più saccente della terra. Possono provarci, possono sforzarsi, o i miei preferiti, possono sminuirti il problema spostando l'attenzione sui loro. Voglio dire, chi è che non ama quest'ultima categoria di persone? Non io di certo, è chiaro.

Ma tornando al sedici di settembre, è chiaro che mi trovavo in un limbo di indifferenza pazzesco

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Ma tornando al sedici di settembre, è chiaro che mi trovavo in un limbo di indifferenza pazzesco. Mi ero sporto quel tanto che bastava per osservare il mio riflesso allo specchio e la cosa più brutta che possa capitare è guardarsi e non riconoscere più se stessi. Guardarsi e chiedersi quando hai deciso di rovinarti la vita in quel modo. Quando hai perso la tua vitalità e quando hai lasciato che un'altra persona potesse avere il potere di spezzarti e disintegrarti. Ero un coglione. Quello non ero io. Era il mio alter ego, magari. Lo speravo tanto, ma mi risultava difficile anche solo da credere. Avevo così tanta rabbia in corpo che avevo paura di implodere da un momento all'altro. Non mi riconoscevo, non ero mai stato così debole, ma davanti a quel riflesso lo ero. Vedevo degli occhi spenti e tristi che non mi appartenevano. I capelli trasandati e poco curati. Le occhiaie molto accentuate. Non si riusciva a leggere più nulla sopra quel viso. Un viso anonimo che chiunque avrebbe potuto benissimo facilmente dimenticare. Perché gli umani funzionano in questo modo: siamo tutti facilmente dimenticabili, i problemi degli altri sono sempre meno gravi dei nostri e... alla fine mi chiedo anche da quando io abbia trasformato la mia visione di vita e delle persone in maniera così pessimista e crudele. Non bisogna fare di tutta un'erba un fascio, il detto dice. Le eccezioni esistono, anche questo viene detto. Ma al di là dei detti e delle parole, devi fare i conti con i fatti e con la vita che ti si fionda violentemente contro. E cavolo, io lo stavo facendo in quel momento.

Accadde quel sedici di settembre Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora