Le Fredde Mani Del Pianista

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Lattee, al punto che quasi si mimetizzavano tra i tasti candidi, diventando parte di essi, riapparivano drammatiche contro gli sprazzi di nero in frammenti di tempo rapidi, successione di note fragili e spezzate. Jungkook seguiva con dovizia, quasi dovesse prendere appunti, imprimere quelle mani nella mente così come nell'anima.

Era successo tutto in un attimo: altri ragazzi dell'ultimo anno lo avevano accerchiato, uno gli aveva sussurrato qualcosa e Yoongi l'aveva spintonato con le mani nascoste nelle maniche, un'abitudine insolita che pareva contraddistinguerlo.
Era facile immaginare il seguito, infatti Jungkook si era preventivamente ritirato ad una certa distanza di sicurezza, con i suoi amici. Aveva però continuato a tenere un occhio sulla scena, a differenza dei compagni che avevano ripreso a chiacchierare del più e del meno.
Con quelli delle superiori, dicevano, non bisognava immischiarsi mai.
Sotto il suo sguardo perplesso (che bisogno c'era di umiliare un'altra persona?) il ragazzo spintonato aveva rovesciato l'intero contenuto del suo bicchiere da asporto, imitato dal resto della comitiva.
Gran parte degli studenti più grandi avevano cominciato ad inneggiare un coro di "sporco frocio" e Yoongi era semplicemente corso via.
Jungkook, ignorando come quel commento ferisse persino la sua stessa persona, era discretamente rientrato nello stabile ed aveva ricercato Yoongi.
Lo trovò nei bagni del primo piano e gli si avvicinò cautamente, frugando nella tasca dei pantaloni.
«Che stai facendo?»
Jungkook sussultò, le mani tremavano, strette attorno ad un fazzoletto di stoffa azzurro; lo tendeva verso il maggiore perfettamente ripiegato così come di norma lo custodiva in tasca.
«Ti serve?» e chinò immediatamente il capo per non guardare il caffè che colava sul colletto di Yoongi e, da esso, per la camicia e giù fino al suolo.
I capelli del maggiore sarebbero diventati secchi e appiccicosi, a causa di quello che gli avevano fatto.
Non osava immaginare come ci si dovesse sentire dopo un'umiliazione del genere.
«No.»
Alla risposta secca dell'altro, Jungkook alzò lo sguardo con timore. Non capiva perché Yoongi sembrasse perfino offeso dal suo gesto.
La verità stava nel fatto che la carità non gli era mai piaciuta, cosa che avrebbe scoperto poi nel corso degli anni, a furia di sbattere la testa contro il muro che il maggiore, caparbio, avrebbe eretto ad ogni suo gesto gentile.
«Ma, hyung, sei sporco e...»
«Ti ho detto che non mi serve, stammi lontano, stai iniziando a diventare fastidioso».
E se ne andò dandogli una spallata.

Dov'era la realtà, la sedia dall'alto schienale dell'auditorium improvvisato ed i suoi jeans strappati a contrastare col pantalone di foggia sartoriale dell'uomo accanto, dov'erano i dolori al petto e le pugnalate nello stomaco? Non aveva idea di dove fosse la cruda paura, che un giorno si volgeva al vivere e quello dopo al morire.

«Che hai detto?»
Le mani del maggiore erano strette attorno alla stoffa della sua felpa, sembrava si fosse preso la dovizia di non sfiorare la sua pelle nemmeno per sbaglio. Nonostante quello che c'era fra di loro, nonostante i loro respiri si stessero mescolando anche in quel momento, Yoongi rinnegava ogni tipo di contatto.
«L'hai sentito, o sei anche diventato sordo adesso?»
Jungkook trattenne una smorfia di dolore quando Yoongi lo sbatté contro il muro, ma non perse la fermezza nello sguardo neanche per un misero istante. Non era una battaglia che voleva perdere.
«Stai diventando impertinente, e non mi piace.» la voce di Yoongi era roca, e non era bello. Faceva solo paura.
Jungkook non l'aveva mai vista, quella parte del suo hyung; non avrebbe mai immaginato che persino Yoongi fosse in grado di ricorrere alla violenza, di lasciarsi andare alla cecità della rabbia e degli istinti più bassi allo stesso modo dei suoi aguzzini. Fu la prima volta in vita sua che sperimentò la delusione.
«Non era quello che volevi? Che smettessi di nascondermi?»
«Non hai capito un cazzo.» lo sguardo furioso di Yoongi fece male, Jungkook si trovò a ricacciare indietro un conato di vomito.
Tutto quello era peggio di un semplice rifiuto, si trattava di una rinuncia.
Possibile che bastasse così poco per distruggere un equilibrio?
«Perché, cosa avrei dovuto...»
«Volevo che tu fossi felice» Yoongi lo strattonò con violenza e Jungkook strizzò gli occhi quando colpì il muro con la testa «Felice, cazzo».
«Sono felice».
«Non dovevi esserlo con me!»
Il modo in cui gli gridò contro, il volto arrossato e le vene sul collo pulsanti, impietosi fiumi azzurri sulla sua pelle cerea, quello fece ancora più male. Lo spaventò persino, facendogli incassare la testa fra le spalle.
Yoongi boccheggiò, realizzando solo in quel  momento di aver perso il controllo e di aver ferito il minore, sia fisicamente che emotivamente.
«No... Jungkook scusami io... »
Cercò di dire qualcosa, le mani allentarono la presa e gli occhi si fecero lucidi, ma cosa poteva dire in una situazione del genere?
Jungkook lo spinse via e si piegò su se stesso. Vomitò anche l'anima, ma nemmeno un briciolo della sofferenza che aveva in corpo.
Non erano i suoi sentimenti che lo preoccupavano, non era la sua testa a dolere così tanto, ma la consapevolezza che Yoongi, chiudendosi in sé stesso, stava rinunciando a vivere. Non soffriva per sé stesso, il più giovane dei due.
Yoongi provò ad avvicinarsi, ma stavolta fu il minore ad allontanarlo.
Il "ti amo" che aveva pronunciato ancora aleggiava nell'aria.

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