- Adamo! È così che lo chiameremo.
Tutti avrebbero potuto sentire quella voce stridula. Chi aveva installato quegli altoparlanti si era ben preoccupato di questo. Lui non la sentì.
La sua vita cominciava in quell'esatto momento, con l'acqua che borbottava, come se l'avessero gettato in una pentola ad alta pressione a bollire con il resto delle verdure. I suoi occhi si aprirono, un paio di punti grossi e neri, la rappresentazione dell'abisso, dell'eterno vuoto.
Si spaventò di quel che vide. Aveva la bocca nascosta da una mascherina: un respiratore. Delle bollicine salirono verso l'alto.
Abbassò la testa, si guardò le mani e poi, prendendo coscienza della condizione in cui era, spinse via il vetro che aveva di fronte, andando a sbattere contro la parete opposta, alle sue spalle. Era intrappolato e, a giudicare dalle forme dell'incubatrice, capì che si trovava in un cilindro alto forse un metro più di lui.
L'aria cominciò a venir meno, il fiato gli morì in gola spezzato e l'acqua cominciò man mano a scendere. La testa calva affiorò a galla e poté così vedersi meglio in quel riflesso. Un fischio gli ronzava nelle orecchie, come di aria che sfugge da uno sfiato violentemente.
Sentì ancora il bisogno di lamentarsi. Sbattette più volte le mani, appiattite contro lo schermo che lo racchiudeva in quella capsula.
L'acqua si ritirò in quattro forellini posti ai suoi piedi. Lo sfiato si placò e alle sue spalle, il vetro si aprì. Scoprì di essersi appoggiato al piano trasparente, dando completamente fiducia a questo, affidandogli la sua stabilità ma, quando venne meno, lo fece cadere indietro, sbattendo con violenza la schiena sul pavimento freddo.
Aprì la bocca, annaspando. Alzò le braccia al soffitto e guardando l'unica luce che rischiarava l'intero quadrato cercò di prendere il controllo di sé. In un solo attimo, poi, convogliò quanto più ossigeno possibile, con la stessa bocca che aveva a lungo spalancato in cerca dello stesso elemento che per attimi preziosi era venuto a mancare. Si avvicinò le mani al collo. Tremava e nello stesso tremolio respirava pesantemente, i polmoni gli facevano male per quanta aria aveva ingurgitato in un sol boccone e li aveva percepiti in un primo momento cavi.
Ora che tutto era tornato alla normalità, poté sciogliere la presa e abbandonare le braccia lungo i fianchi, inebetito dalle difficoltà appena superate, dall'ambiente circostante. Tutto quel che gli fu concesso era respirare e guardare di fronte a sé il contenitore in cui era stato a lungo conservato. Si trattava di un'incubatrice di forma cilindrica, alta forse tre metri, coi vetri appannati dall'aria sfuggita.
Un fumo leggero aleggiava attorno al suo corpo nudo. Gocciolante, tentò di sedersi. Non riuscì a muovere un solo muscolo, se non quelli delle braccia. Si sentiva come se le gambe gli fossero state divorate da una bestia senza pietà. Tentò più volte di sforzare i muscoli, quelli che non riguardavano gli arti superiori, ma invano. Il dolore e l'intorpidimento lo portarono ad un gesto disperato. Dopo aver mostrato i denti, una schiera ben provvista di palette, canini e molari di poco ingiallita, egli urlò, chiudendo con forza gli occhi e abbandonandosi alla furia e alla disperazione.
- Guarda! Ha pianto!
Per la prima volta ebbe l'occasione di sentirla e Dio solo sa, ad Adamo, quali pensieri impuri fossero venuti in mente, in quel momento. Era stridula, forte e squillante, era la voce di una donna.
- Il nostro Adamo è forte, il nostro Adamo è pronto per vivere - una seconda voce subentrò. Era solo in quella stanza, con quattro altoparlanti a fracassargli i timpani, uno per ogni angolo di quel quadrato.
La sua testa si appesantì, il corpo fece ancor più fatica a muoversi ma ci stava riuscendo, pian piano. Strinse ancor più i denti e fra di quelli un secondo urlo, scaturito dallo sforzo, trapelò.
Il suo collo era un groviglio di arterie, la sua pelle solo un velo bruno su di una muscolatura taurina.
Appoggiò le mani sul pavimento e poté rivolgere verso l'incubatrice schiena e busto. Aveva il fiato corto e il petto gli si muoveva avanti e indietro, la pancia gli si gonfiava e sgonfiava secondo un tempo ora più regolare.
L'aveva di fronte, la vasca. Era nel centro di una stanza che sembrava più ampia di quanto lo fosse in realtà, ingigantita dai vari terminali che si distendevano, uniti fra di loro lungo le pareti. Schermi con misure forse più piccole di quelle di un portatile.
- Chi cazzo siete?
- Io sono tua madre - gracchiò la femmina.
- E io tuo padre - tuonò il maschio, più austero.
- Cosa volete da me?
- Calma, ragazzo, calma - immaginò che l'uomo al di là degli altoparlanti si fosse difeso con un paio di palmi aperti posti fra lui e lo schermo. - Sei nostro figlio. Vogliamo solo il tuo bene.
- Io non sono vostro figlio e voi non siete i miei cazzo di genitori! - Urlò colui che loro avevano chiamato Adamo.
- Certo che lo siamo! - Controbattette la femmina.
Sarà stata la voce e quell'atteggiamento meschino da finta matrigna, ma Adamo stava già escogitando la sua vendetta, per quando l'avrebbe avuta di fronte.
- Tua madre dice la verità, Adamo. Noi vogliamo solo aiutarti a crescere, - disse fra le risate a stento contenute della sua consorte, l'uomo. - Sei pronto?
Non aveva parole per rispondere, non aveva alcuna intenzione di stare alle loro regole né la voglia di seguire i loro discorsi.
- No, - rispose lui - vi spiego io come andrà a finire: io uscirò di qui e... - seguirono minacce dal vivace gusto cinico.
Si irrigidì, subito dopo. Si portò una mano sulla fronte, stringendo i denti e gemendo. Faceva male, come se un trapano avesse iniziato a rompergli il cranio, bucando la parete scheletrica. Non fu solo emicrania. Nel chiudere gli occhi vide qualcosa: scatti, lampi, fotografie che gli passavano davanti. Nella rapida successione non capì granché, ma vide un paio di fari luminosi puntati addosso, come se fosse stato colpevole di un qualche crimine, colto in flagrante.
Urlò di nuovo, prendendosi con ambedue le mani la testa.
- Adamo, Adamo! Ovviamente nel tuo caso crescere sarà un tantino più, come posso dire? Veloce! Sei già arrivato ad avere ricordi della tua vita passata? Notevole! Fai grandi salti in avanti, figliolo.
La voce logorroica non aveva intenzione di mettersi a tacere, mascolina, ma a volte instabile, come un ponte di cristallo scintillante con delle crepe lungo il sentiero.
L'uomo in mezzo alla stanza, d'un tratto, riprese a vedere quel che lo circondava e non più una visione frammentata. Gli sembrò come di esserci appena arrivato, in quella fredda sala.
- Abbiamo un piano per te, tesoro. - Di nuovo tornò a disturbarlo la graffiante voce della femmina.
- Sì, ce l'abbiamo.
Si affiancò l'altro.
- Il mio piano è questo: esco di qui, vi prendo a cazzotti e con i vostri intestini vi soffoco.
Ringhiò, puntando il dito contro un punto qualsiasi. Gli sembrava di parlare con la stanza stessa!
- Non ci arriverai senza dei vestiti caldi.
C'era un qualcosa di diverso, ora, nel tono di voce che adottò il "padre". Sembrò, tutto d'un tratto, esser diventato più autoritario e ferreo. Ad Adamo parve quasi di avere paura, ma la rabbia era troppa per lasciarsi intimorire.
- Noi sappiamo dove sono, i vestiti caldi - disse la donna.
- Li troverò da solo.
Si guardò attorno, girando su se stesso in tondo, volendo esaminare la stanza. Vide la porta di ferro e si intestardì, cominciando a camminarvi contro. Vi arrivò di fronte e prese a tirare il maniglione verso di sé. Era bloccata. Nella rabbia, colpì la fredda superficie metallica con qualche manata e provò dolore. La mano era un peperone rosso e gonfio.
- Hai bisogno di noi.
Decisa gli disse la voce femminile. L'uomo, a giudicare dai mormorii che la sua voce produsse, parve annuire, assecondando la compagna.
- Hai bisogno di noi.
- Alla tua destra ci sono degli armadietti. Dentro vi troverai dei vestiti. Noi premiamo i rapidi progressi del nostro figlioletto. - Si concessero una risata tutti e due insieme.
Adamo, ormai sconfitto, abbandonò l'idea di scardinare la porta, o, perlomeno, di provarci e avvicinò al freddo sportellino dell'armadietto più vicino la mano, aprendolo. Vi trovò una torcia e una riserva di batterie. Doveva averne già alcune montate dentro.
- Armadietto sbagliato! - Lo ammonì la signora.
Giunse al secondo e vi trovò quel che cercava: una giacca scamosciata con una pesante imbottitura di lana, un paio di jeans logori qua e là, calzettoni, intimo e un paio di stivali, anche loro con della pelliccia all'interno, neri. Sotto tutto, vi era anche una canottiera bianca, pulita. Si vestì di fretta. I calzoni non gli stavano affatto male, un po' larghi sulle cosce e nascondevano totalmente la forma dei suoi grossi polpacci. La canottiera, invece, era stretta sul corpo.
- Eravamo indecisi sulle misure, piccolo, - si scusò la donna dietro i microfoni. - Almeno con giubbotto e canottiera ci siamo avvicinati. - Non ne avevano combinata neanche una giusta ma, in contraddizione alle emozioni che provava, si sentì grato nei loro confronti per avergli concesso almeno dei vestiti. Lo scamosciato era un po' stretto per il suo busto mentre gli stivali sembravano essere stati fatti appositamente per i suoi piedi.
Dopo aver indossato a fatica calzini e scarpe, Adamo si guardò attorno, non sapendo bene dove buttare l'occhio e allora si ricordò di avere a disposizione una torcia. La afferrò saldamente e la provò contro il muro. Faceva abbastanza luce, nonostante l'ambiente fosse illuminato per bene. In situazioni peggiori, avrebbe sicuramente potuto rischiarargli la via.
Si nascose nella tasca interna del giubbotto i pacchetti di pile e guardò ancora una volta la stanza, posando di nuovo lo sguardo sulla fila di computer. Vi si avvicinò e guardò.
- Fossi in te, non toccherei - l'uomo lo aveva bacchettato, questa volta.
- Fa' come ti dice - sussurrò, con finto tono amorevole, l'altra.
Trattenne a fatica l'istinto di colpire con forti pugni quelle tastiere e i monitor e si voltò, osservando la porta, l'incubatrice e gli armadietti in un'unica occhiata circolare.
- Sei pronto, allora, - si fece sentire di nuovo l'uomo.
- Aspettatemi, vi verrò a prendere, - minacciò, a denti stretti, Adamo.
Afferrò la maniglia e tirò con tutta la forza che possedeva, credendo di trovare il portone sigillato. Era stato sbloccato. Quando l'ebbe aperto, si trovò così di fronte ad un muro e in quel punto una fiaccola rischiarava, in parte, il corridoio. Aveva il buio a destra e a sinistra.
Puntò prima da una parte e poi dall'altra, dopo aver acceso la sua torcia. Niente di interessante sul soffitto e nelle altre direzioni non vide nulla se non ombra. La torcia rischiarava, sì, ma non quanto avrebbe voluto lui. Le impervie strade che gli si erano presentate di fronte erano troppo profonde perché una stupida torcia potesse farvi chiarezza del tutto!
Un tonfo sordo. Non provenne da lontano.
Quando si voltò, capì che la porta si era chiusa automaticamente alle sue spalle. Imprecò, cominciando a sudare freddo. Non aveva caldo, anzi. Aveva più freddo lì, rispetto a dove era stato prima.
- E ora?
Gli parve di sentire quelle due parole rimbalzare lungo il corridoio.
Vai a destra. No, a sinistra. Che diavolo cambia? Niente, tanto vale provare la sinistra.
Adamo scelse la destra. Se non altro, ci avevano pensato le varie superstizioni in cui credeva a infangare il buon nome dell'altra scelta.
Gonfiò il petto, prese un respiro di troppo e avanzò, puntando qua e là il fascio di luce. Restò in silenzio, camminando come una pantera ben addestrata a sopravvivere laddove l'ombra cerca in tutti i modi di strangolare e di uccidere. Le orecchie si drizzarono e i sensi si acuirono: mai, prima di allora, aveva percepito così opprimente l'oscurità. Non succedeva niente. Camminava. L'aria sembrò quasi fermarsi e, in quel clima, le sue aspettative aumentarono.
Un passo falso. Strinse le mandibole. La mattonella sotto di lui perse stabilità, si frantumò, una spaccatura lieve. Una goccia rigò la sua fronte ambrata e, fermo, con gli occhi ipnotizzati dal magnetico buio, rischiarato in parte dalla torcia, non disse niente.
Al diavolo la prudenza: scattò in avanti.
Improvvisamente, il fascio di luce cominciò a toccare qualcosa. Il corridoio stava finendo e tre scalini affiorarono al suo occhio. Raggiunse l'angolo e poi si guardò alla sua sinistra: una porta. Si appoggiò ai mattoni che senza la sua torcia sarebbero stati soltanto limiti invisibili ma tangibili.
- Non sei un uomo coraggioso, Adamo - gli rinfacciò la donna.
- Sta' zitta! -
- Sei pronto, Adamo? -
Gli chiese la voce maschile. C'era un altoparlante dietro la sua testa, nel perfetto angolo di quell'insenatura.
- Non voglio parlare neanche con te - strinse i denti, alzò di poco la voce.
Le sue parole rimbombarono nell'apparente infinità di quel cunicolo ma nulla poteva sovrastare, ora più che mai, il vento al di fuori.
- Non hai risposto alla mia domanda - gli fece notare l'uomo.
- Apri questa fottuta porta o giuro che...
- Parole troppo dure per un bambino della tua età, - sbuffò al microfono, lui. - Mi preghi di uscire, spingi con forza dal ventre di tua madre, ma non sai che cosa c'è al di là di quella porta. -
Per un attimo, seriamente pensò di starsene in quella stanza dove si era risvegliato. Che sarebbe potuto succedere di male? Morire di fame e sete? Non vedeva alternative migliori.
Da dentro poteva sentire il vento abbattersi in qualsiasi direzione contro ogni corpo. Era il sovrano indiscusso: nulla poteva batterlo, talmente forte era.
- Fallo e basta!
Anche questa volta, non si risparmiò la veemenza.
La porta era della stessa fattura di quella della camera dell'incubatrice. Due effetti sonori, uno metallico e uno elettronico e si sbloccò.
Per un attimo ebbe un ripensamento. Meglio morire di fame e sete che...
Lo fece. Aprì la porta. Il vento davvero dominava la scena. Malmenava l'aria, sparava qua e là neve, che andava a coprire il ghiaccio formatosi per terra. A parte la consapevolezza di avere i piedi affondati nella neve, non gli rimaneva niente. Si guardò indietro dopo aver compiuto un paio di passi in avanti e capì che, da quel bivio iniziale, sarebbe comunque approdato lì, in quella terra di nessuno, indipendentemente dall'esito della scelta iniziale.
Si alzò la cerniera del giubbotto e, puntando la torcia (a cui mancava la potenza e la profondità necessaria per penetrare nel buio), cominciò così a camminare.
Nonostante avesse un paio di gambe forti, una smorfia di fatica gli deturpò il viso. La neve era un ostacolo duro da saltare.
- Sì, Adamo, ora mi capisci - nelle sue parole sentì la deformazione fonetica tipica di chi parla mentre sorride o peggio, di chi si impone di non scoppiare a ridere. - Nasciamo, lo vogliamo con tutto il cuore. Alcuni, i meno fortunati (o, chi lo sa, forse proprio coloro che subito vengono baciati dalla dea bendata?) perdono in partenza, ma il resto? Guardati attorno, Adamo.
- Benvenuto nella vita! - Disse papà.
- Buona fortuna, tesoro! - Disse mamma.
Quelle voci lo avevano introdotto in un'esistenza, già in partenza, fatta di stenti. Come se i muscoli, per qualche passo e basta, si fossero già arricchiti di acido lattico, Adamo avanzò, portando sulle spalle il peso del vento e della neve. Tutto attorno, in un campo lungo dove un carpet di candido freddo si stendeva solo per lui, udì ancora quelle odiose voci. Erano lì, con lui, sempre e comunque, dappertutto, ovunque andasse. Erano in quelle torri che intravedeva nonostante l'inferno ghiacciato si fosse scatenato di fronte a lui, al di là di una reti che, sollecitate dai proiettili spioventi di neve, schioccavano di energia statica, elettrificate. Lungo i pali, dei riflettori nascondevano dei gracchianti altoparlanti che emanavano suoni grezzi di risa. Mamma e papà ridevano di lui, ma il loro figlio, Adamo, non gettava la spugna.
E continuò a camminare, verso l'ombra che non prometteva nulla di buono. L'oscurità lo chiamava e lo attirava a sé, sussurrandogli attraverso le correnti gelide: "Vieni, Adamo, sono io, la Vita, ti stavo aspettando..."
Non poté fare altro che avanzare, avanzare e avanzare... e avanzò, fra le braccia della notte più spietata di sempre.
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Neo Genesis
Science FictionUn uomo "nasce". Sente la voce dei propri genitori, impara a conoscerli ma non si rivelano essere una madre e un padre amorevoli.